RELAZIONE AL VI CONGRESSO DELLA CSS
di Giacomo Meloni a nome della Segreteria Nazionale

CAGLIARI 11 MAGGIO 2008

SARDIGNA PATRIA NOSTRA
TRABALLU-AMBIENTI-SVILUPPU

LE EMERGENZE E LE SFIDE MONDIALI
GUERRE E PACE
DIRITTI E LIBERTA’
CRISI ENERGETICA ED ALIMENTARE –  NUOVI MODI DI PRODURRE
EMERGENZA CLIMA - SALVARE IL PIANETA

LE EMERGENZE IN SARDEGNA
TRABALLU
AMBIENTI
SVILUPPU

ONORE AI NOSTRI EROI
GIOVANNI MARIA ANGIOY NEL BICENTENARIO DELLA MORTE (25/2/1808)
ANTONIO SIMON MOSSA A 90 ANNI DALLA NASCITA  ( 22/11/1916)
ANTONIO GRAMSCI  A 70 ANNI DALLA SUA MORTE (27/4/1937)
FRANCISCU MASALA  RECENTEMENTE SCOMPARSO
ELISA SPANU NIVOLA  RECENTEMENTE SCOMPARSA
PEPPINO MAROTTO  ASSASSINATO A 82 ANNI IL 29/12/2007
MARTIN LUTHER KING  A 40 ANNI DALL’ASSASSINIO  (4/Aprile/1968)

PER UN NUOVO STATUTO SARDO A 60 ANNI DALLA SUA PROMULGAZIONE
CON LEGGE COSTITUZIONALE N° 3 DEL 26 FEBBRAIO 1948

2008 DICHIARATO DALL’ONU ANNO DEL PIANETA TERRA

Gentili Signore,
Graditi ospiti,
Delegate e delegati a questo nostro VI Congresso Nazionale

LE EMERGENZE E LE SFIDE MONDIALI

Le guerre e la pace

Abbiamo voluto iniziare questo nostro VI Congresso Nazionale con la proiezione del breve filmato sulla guerra in Iraq, iniziata il 19 marzo 2003 -cinque anni fa- guerra che, nelle intenzioni del Presidente  americano Bush, doveva essere breve, con bombardamenti “intelligenti e mirati quasi simili ad operazioni chirurgiche” sul territorio iracheno per colpire le postazioni militari nemiche, salvaguardando il più possibile le popolazioni civili.
E’ pur vero che è stato abbattuto l’odiato tiranno Saddam Hussein, condannato a morte e giustiziato per impiccagione insieme ai suoi fedelissimi; ma questa guerra -ancora in atto- ha coinvolto un intero popolo e le perdite umane tra gli stessi soldati USA superano le quattro mila unità sopravanzando il numero delle stesse vittime innocenti dell’attentato dell’11 settembre 2001 alle due Torri e soprattutto questa guerra ha colpito indiscriminatamente la popolazione irachena, che piange decine di migliaia di morti tra cui numerose donne e bambini.
Da questo nostro Congresso si alzi un coro civile e una sdegnata protesta perché si ponga fine definitivamente a questa strage e si favorisca da subito il controllo del territorio da parte del Governo legittimo e liberamente scelto dal popolo iracheno.
Terminammo il nostro V Congresso l’8 dicembre 2003 con lo stesso auspicio, ricordando l’appello accorato del papa Giovanni Paolo II, indimenticabile pontefice la cui figura si iscrive a pieno titolo nella Storia dell’Umanità come un Grande del XXI secolo.
Quelle parole, pronunciate il 16 marzo 2003, hanno lasciato il segno: “Non più guerre. Io che ho vissuto e sono un sopravissuto alla seconda Guerra Mondiale, ho il dovere di dire ai giovani non più guerre!”
La Confederazione Sindacale Sarda, che per sua costituzione è pacifica e antiviolenta, conferma il NO a Tutte le Guerre.
Oggi, nonostante  nel mondo vi siano in atto numerose guerre non solo in Iraq, ma in Afganistan, nel Medio-Oriente, in Asia, in Africa dove la guerra nel Darfur ed in Somalia miete un enorme numero di vittime innocenti, assistiamo quasi impotenti a queste stragi né la stessa ONU ha più i mezzi e l’autorevolezza per bloccare le guerre.
Gli scenari mondiali potrebbero mutare. C’è grande aspettativa per l’esito delle elezioni americane del prossimo novembre perché i candidati alle Presidenziali hanno espresso posizioni molto critiche  sull’impiego americano nei fronti di guerra e si apre una grande speranza soprattutto se a vincere quelle elezioni sarà un candidato democratico come Barack Obama, attuale governatore nero dell’Illionis.

Diritti e libertà

L’altro filmato ci riporta al tema della difesa dei diritti umani nel mondo. La “resistenza” dei monaci buddisti perseguitati e massacrati dalla polizia cinese ci ricorda le recenti stragi di monaci  in Birmania.
Gli accorati appelli del Dalai Lama non possono rimanere inascoltati né la fiaccola delle Olimpiadi da simbolo di pace e fratellanza tra i popoli può assurgere a elemento di divisione tra le nazioni. La Cina deve dare prova di civiltà, smettere da subito la repressione in Tibet ed aprire le frontiere, non solo quelle commerciali, ma soprattutto quelle morali ad iniziare dal rispetto dei diritti umani fondamentali.
Intanto il tribunale di Lhasa, capitale del Tibet, dove il 10 marzo scorso si erano verificate le proteste anti-cinesi più dure, ha condannato 17 manifestanti a pene che vanno dai tre anni di reclusione all’ergastolo. Le autorità cinesi dichiarano che gli arrestati nei giorni della protesta sono stati 400 ed i morti 19 tutti attribuiti ai fautori delle proteste;mentre le autorità tibetane sostengono che gli arrestati sono oltre 2000 ed i morti più di 150.
La fiaccola delle olimpiadi deve poter splendere nei prossimi giochi olimpici in Cina e non possiamo permettere a nessuno che a spegnere per sempre quella fiaccola sia il sangue dei monaci e della popolazione tibetana.

Diritto dei popoli all’autodeterminazione

E sui diritti civili si apre la grande questione della libertà dei popoli alla autodeterminazione. Non possiamo qui tacere la repressione in atto contro il popolo basco da parte dello Stato Spagnolo e, in diversa misura, anche di quello francese sia sul versante basco sia sulla stessa Corsica.
Vi è una costante, una linea continua negli scorsi decenni con persistenza della tortura, degli arresti di massa e arbitrari, di una politica penitenziaria dalle conseguenze brutali, di sospensione delle attività di associazioni ed organismi, di chiusura di siti internet e di mezzi di comunicazione, di messa fuorilegge di partiti -primo fra i quali BATASUNA- e di discriminazione totale di una parte della popolazione dalla partecipazione alla vita pubblica, di arbitrio giudiziario e brutalità poliziesca. In definitiva, una situazione eccezionale che ha generato un grave scenario di violazione dei fondamentali diritti civili e politici.
Queste circostanze hanno obbligato centinaia di cittadini e cittadine a creare un muro di contenimento, a scontrarsi con la repressione e a partecipare a diverse piattaforme civiche, associazioni per i diritti umani, organismi di attivisti  di quello che è stato chiamato Movimento Pro Amnistia.
Ma lo Stato Spagnolo, ossessionato dal mantenimento della strategia repressiva contro settori sempre più ampi del popolo basco, ha alzato il tiro tenendo undici dirigenti di Batasuna in carcerazione preventiva, senza processo, per quattro anni, limite massimo concesso dalla legislazione spagnola. Per ciò le manifestazioni del movimento sono state proibite dalla magistratura e violentemente attaccate dalle Forze di sicurezza dello Stato.
Non mi dilungo ulteriormente su questi aspetti perché la presenza tra noi del dirigente del sindacato basco, membro del Comitato Nazionale del LAB, compagno IGOR URRUTIKOETXEA ci aiuterà nel suo intervento a capire ciò che sta accadendo nei Paesi Baschi, dove si è interrotto un lungo processo di pacificazione, salutato dalla  CSS  e da tutti i Sindacati  che fanno  parte della Confederazione Internazionale dei Sindacati delle Nazioni Senza Stato come un periodo di grandi speranze che aveva portato all’autosospenzione unilaterale delle azioni armate da parte  della stessa ETA.
La rottura di questa tregua ci interroga drammaticamente, avendo come fronte unito dei Sindacati delle Nazioni senza Stato scelto in modo inequivocabile la via pacifica, democratica e non violenta per la risoluzione di problemi sociali, indicando la stessa via per l’obiettivo della liberazione nazionale dei popoli oppressi.
I processi di liberazione nazionale dei popoli oppressi sono lenti ed inarrestabili. La stessa Europa non può non riconoscere le nazioni senza stato che sono al suo interno né una Magna Carta Europea e Costituzione può sancire impunemente la supremazia delle vecchie nazioni sui popoli, tra cui il popolo sardo, che da lungo tempo lottano per il loro riconoscimento.
La coscienza e l’aspirazione all’indipendenza e liberazione nazionale in Sardegna viene da lontano e annovera padri illustri nel percorso della storia del Partito Sardo d’Azione come sicuramente il grande Antonio Simon Mossa a cui si deve la prima idea di un sindacato tutto sardo, a cui si è ispirata la CSS nel suo nascere. Nel periodo più recente l’indipendentismo è rappresentato, oltre che da numerosi movimenti ed associazioni, da veri e propri partiti: da Sardigna Nazione Indipendentzia, fondata da Angelo Caria ed ora guidata dal leader Bustianu Cumpostu che è iscritto alla CSS e fa parte del Consiglio Nazionale; sullo stesso terreno  lavora l’IRS (Indipendetzia  Repubrica de Sardigna) il cui leader nazionale è Gavino Sale  e recentemente A’ Manca Pro S’Indipendentzia guidata da Eric Madau. Anche in Sardegna la repressione dei movimenti indipendentisti è stata dura ed ha colpito principalmente la libertà di opinione e di associazione sia al tempo in cui finirono in carcere il prof. Bainzu Piliu ed Oreste Pili sia recentemente nel Luglio 2007  allorchè furono arrestati e poi sottoposti agli arresti domiciliari  dieci militanti di A’MANCA PRO S’INDIPENDENTZIA che vergognosamente attendono ancora  un regolare processo. I fatti dimostrano come anche la magistratura e polizia italiana sia allertata e metta in costante osservazione i militanti indipendentisti considerati elementi pericolosi ai danni dell’unità della Nazione Italiana.
Se nelle intercettazioni telefoniche che costituiscono la base principale degli atti d’accusa dei militanti di A’ Manca fossero state presenti frasi come quelle pronunciate nella recentissima campagna elettorale dall’on.Bossi della Lega NORD e dall’on.Lombardo del MPA che invocavano il ricorso alle armi in caso non fosse avvenuta la ristampa delle schede, siamo sicuri che in Sardegna la repressione non si sarebbe fatta attendere  e sarebbe stata ancor più dura.
Il fatto ci deve far riflettere perché, mentre i nostri movimenti indipendentisti qui in Sardegna hanno
strutture  di piccoli gruppi che non  hanno riscontri elettorali significativi, in Italia la Lega Nord –che pure minaccia da anni la secessione dallo Stato Italiano -per via del suo radicamento nel territorio ottiene ben altro risultato elettorale convogliando su di sé i voti di protesta e di forte disaggio delle classi popolari e degli stessi operai ed entra nel Governo Nazionale con ben quattro ministri. Evidentemente vale sempre la politica “forti con i deboli e deboli con i forti”, mentre all’orizzonte di profila una prospettiva di uno Stato Federalista anche in Italia, dove a far la parte da leone saranno le Regioni o le Macro-Regioni più forti.
In questa situazione l’indicazione per chi crede nella liberazione nazionale della Sardegna è quella di costruire un soggetto unico Indipendentista forte e coeso che sceglie la via del radicamento sociale nel territorio e che punta direttamente ad un proprio ruolo in Europa. Via che, seppur in chiave autonomista, sembra essere la linea vincente in Valle d’Aosta dove alle elezioni per il Parlamento  si sono  presentati uniti il Partito de l’Union Valdotain ed i Movimenti  Federation Autonomiste e Stella Alpina  nella lista Vallee d’Aoste  con cui è stato eletto  il senatore Antonio Fosson con 29.186 Voti  pari al 41,39%, mentre il candidato alla camera dei deputati Ego Perron  ha avuto 28.349 voti con una percentuale di 37,84% con una differenza di soli 1000 voti  sul  candidato   avversario vincente.
Abbiamo la fortuna di avere tra noi - e li salutiamo calorosamente – il Segretario del Sindacato Valdostano (SAVT) Guido Corniolo e Alessia Dèmè della Segreteria Naz.le che nei loro interventi sicuramenteci aiuteranno a capire meglio ciò che sta avvenendo in Valle d’Aosta.
Noi intravediamo uno spazio politico utile e sufficientemente ampio per le forze autonomiste ed indipendentiste in Sardegna a partire già dalle prossime elezioni regionali 2009, ma il soggetto politico deve essere chiaro e leggibile da parte dei cittadini-elettori, senza equivoci ed infingimenti, con un programma chiaro e concreto sui problemi del popolo sardo. Si deve nel programma avere la percezione immediata che la scelta di fondo sono prima di tutto i sardi e la Sardegna e che si punta a costruire un soggetto europeo, prima ancora che farsi bypassare da suggestivi proposte di federalismi il cui nocciolo duro è costruito tutto attorno alle Regioni del Nord Italia che strutturalmente hanno già posto le basi per la loro autonomia e sovranità. La nostra scelta non deve essere residuale né a rimorchio di altri progetti federalisti in cui non possiamo riconoscerci né per la nostra storia né per i valori su cui abbiamo fondato le nostre scelte ed aspirazioni.Allora ha un senso affermare Sardigna Patria Nostra in una Europa dei Popoli in cui anche la nostra nazione ha titoli per esercitare la propria sovranità.
Nel riscrivere il nostro Statuto sardo a 60 anni dalla sua promulgazione, i nuovi padri costituenti dovranno avere chiaro il concetto di sovranità, né la stessa può essere esercitata in Europa senza avere chiari i limiti entro i quali già da ora è possibile mettere le basi per un effettivo riconoscimento. Non riteniamo più attuale l’idea di stato-nazione ottocentesco e, se questa idea la critichiamo per i poteri che ancora esercitano gli Stati ora esistenti, è ragionevole che i nuovi poteri che rivendichiamo in Europa sono riconducibili ai patti di coesione e solidarietà che contraddistinguono le nazioni più avanzate del mondo.
Ci viene in mente, parafrasando la citazione di Gramsci, “istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza, il richiamo a tutti noi di utilizzare la nostra intelligenza anche per inventare nuovi strumenti per la lettura della realtà, mentre ancora ci si attarda ad applicare categorie pur nobili per la loro storia, ma talvolta inadeguate di fronte alle situazioni nuove del mondo.

La crisi energetica ed alimentare

Non vi tratterrò sulla incidenza della debolezza del dollaro che fa salire alle stelle il prezzo del petrolio e delle materie prime anche perché gli aggiornamenti sono quotidiani e, mentre l’euro a metà aprile era a quota 1,60 contro il dollaro, il barile di greggio ad ieri  9 maggio aveva toccato un nuovo record di 124,40 dollari. Sono consapevole delle conseguenze di questo fenomeno per l’economia mondiale, ma voglio, invece, soffermarmi sull’altra faccia di questa crisi che è la crisi alimentare.
Recentemente la Banca Mondiale ha lanciato un nuovo e drammatico appello: un miliardo di persone vive nel mondo con un dollaro al giorno.
Allarme cibo e dunque allarme poveri: è l’altra faccia della crisi finanziaria che sta scuotendo i mercati. I continui rincari dei prezzi dei prodotti commestibili, uniti a quelli energetici, dei carburanti e fertilizzanti, gravano sulle spalle del Terzo Mondo: c’è il serio rischio di uno shock alimentare. Ne è consapevole Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia e Presidente del Developement Commitee, il Comitato per lo sviluppo del Fondo Monetario che lancia un S.O.S  “la rincorsa dei prezzi ha un impatto drammatico sulla povertà; costituisce un ulteriore ostacolo al processo di sviluppo dei paesi più dimenticati; mette a repentaglio la crescita di alcune tra le nazioni già poverissime dell’Africa sub-saharariana che consuma principalmente cibo. Elevati prezzi dell’energia fanno crescere i costi dei trasporti, mettendo così una pressione addizionale sui prezzi alimentari”.
Le parole di Draghi, seguono i conti da brivido forniti da Robert Zoellick, Presidente della Banca Mondiale, che in conferenza stampa si è presentato con un filone di pane in mano: più di un miliardo di persone vive ancora con meno di un dollaro al giorno. “Servono progressi rapidi nella lotta alla povertà”; entro il 2015 bisogna dimezzare il numero degli affamati nel mondo: spetta ai capi di stato e di Governo del G8 occuparsene.
Le ultime notizie sul fronte cibo dicono che -con la crisi, riso, mais, latte, grano, soia- i prezzi stanno diventando proibitivi ovunque. Ma per alcune nazioni sono alimenti base. I poveri spendono il 75 % del loro reddito, già misero, proprio in cibo.
A livello globale, spiega Zoellick, il riso costa il 75 % in più negli ultimi due mesi, il grano il 120 % nell’ultimo anno. Il costo del filone di pane vale dunque una enormità per chi già fatica a sfamarsi.
In paesi come lo Yemen una famiglia media spende più di un quarto delle sue entrate proprio in pane. Sempre il Fondo Mondiale calcola che i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 48 % a livello globale dalla fine del 2006, mentre secondo l’OCSE sono diminuiti dell’8,4% gli aiuti dei paesi ricchi per il secondo anno consecutivo.
La FAO stima che i prezzi dei cereali e del grano sono raddoppiati nell’ultimo anno, quelli del mais sono saliti di un terzo ed aumenti consistenti si registrano anche per la soia, mentre calano le scorte alimentari mondiali e si moltiplicano le restrizioni all’esportazione.
A livello dei Paesi in Sudan il grano è aumentato del 90%, in Armenia del 30%, in Senegal è raddoppiato; in Uganda il mais costa il 65% in più, in Nigeria il miglio costa il 50% in più. Nelle stesse Filippine il prezzo del riso, alimento principale, è cresciuto dell’80% dal gennaio 2007. In Etiopia ed in Madagascar i governi sono dovuti intervenire con la polizia per evitare assalti al cibo.
In Egitto 12 mila persone sono state arrestate perché vendevano farina al mercato nero. Ovunque -dall’Africa al Pakistan, dalla Thailandia al Messico- i cereali, nuovo oro dei campi, vengono protetti
da guardie in armi. Fino a ieri in Occidente ci siamo occupati solo quasi esclusivamente degli alti prezzi petroliferi, allarmati dal rincaro del pieno di benzina. Certo anche da noi continuavano ad aumentare pane e pasta, ma il cibo nei paesi occidentali incide solo per il 15-18 % sul bilancio di una famiglia europea (10-14 % per quelle USA ). Ora, all’improvviso, scopriamo che il raddoppio dei prezzi di grano, mais, riso e soia sta sconvolgendo il mondo. Ora una grande parte del mondo ha fame.
Proprio in questi giorni al vertice di Berna il Segretario Generale dell’ONU  BAN KI-MOON ha lanciato un appello per raccogliere due miliardi e mezzo di dollari per poter dare una risposta immediata all’impennata dei prezzi del cibo,il cui drammatico aumento costituisce “una sfida globale senza precedenti che colpisce i più deboli…La priorità sarà nutrire gli affamati”.

L’emergenza clima

Mentre definivo questa relazione e scrivevo il capitolo sull’emergenza clima, è arrivata la notizia del ciclone NARGIS che ha sconvolto la Birmania. Ogni giorno la situazione si fa sempre più drammatica: i morti potrebbero salire oltre i 100 mila, più di un milione i senzatetto, oltre 5 mila chilometri quadrati di territorio sono ancora sott’acqua. Manca l’energia elettrica e le comunicazioni telefoniche sono interrotte: Tutti questi disastri non avvengono a caso.
L’uomo con le sue attività è il principale responsabile dei gas serra. La CO2 è, infatti, il più abbondante dei gas serra “in tracce” e viene prodotta ogni qualvolta bruciamo qualcosa oppure quando i corpi si decompongono.
Quando gli scienziati cominciarono a rendersi conto che i livelli della CO2 nell’atmosfera erano connessi al mutamento climatico, alcuni di loro rimasero perplessi. Sapevano, infatti, che la CO2 assorbe la radiazione soltanto a lunghezze d’onda maggiori di circa 12 micrometri (o micron) e che una piccola quantità del gas  catturava tutta la radiazione  disponibile in quelle bande di lunghezza d’onda (per capirci un capello umano ha uno spessore di circa 70 micron). Negli esperimenti, un aumento della sua concentrazione non sembrava modificare apprezzabilmente la quantità di calore intrappolato. Inoltre di quel gas ce n’era talmente poco che sembrava inconcepibile che la CO2 potesse cambiare il clima dell’intero pianeta.
Ciò di cui gli scienziati in generale allora non si rendevano conto è che a temperature molto basse -quali si hanno sopra i poli oppure nell’alta atmosfera- una maggiore quantità di calore si trasferisce nelle bande di lunghezza d’onda di cui la CO2 è più efficiente. Cosa ancor più importante, si scoprì che lungi dall’essere l’unico agente responsabile del mutamento climatico, la CO2 funge da innesco di quel potente gas serra che è il vapore acqueo. Essa infatti riscalda l’atmosfera appena un poco, consentendole di assorbire e trattenere una maggiore quantità di umidità, che a sua volta poi la surriscalda ulteriormente. Così si instaura un ciclo di retroazione positiva che porta la temperatura del nostro pianeta a livelli ancora più alti. In una prospettiva di lungo periodo questo aumento è senza precedenti. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera nelle epoche passate può essere misurata grazie alle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio. Spingendo le trivellazioni a oltre 3 chilometri di profondità nella calotta glaciale artica, gli scienziati hanno estratto una carota di ghiaccio che corrisponde a quasi un milione di anni si storia della terra. Questa registrazione unica dimostra che durante i periodi freddi i livelli di CO2 sono scesi a circa 160 parti per milione, e che fino ai tempi recenti non hanno mai superato le 280 parti per milione.
La Rivoluzione Industriale ha modificato la situazione, anche se lentamente, dato che ancora nel 1958, quando Feeling iniziò le sue misurazioni di CO2 in vetta al Maula Loa, essa ammontava a soltanto 315 parti per milione.
Scienziati australiani hanno stabilito di recente che nel 2002 e nel 2003 i livelli di CO2 sono aumentati di 2,54 parti per milione all’anno, a fronte dell’incremento medio annuo di 1,8 parti per milione del decennio precedente.
Sono i nostri miliardi di motori che abbiamo costruito e sono alimentati da combustibili fossili quali il carbone, la benzina e i derivati del petrolio, e i gas, ad avere un ruolo determinante nella produzione di CO2. Più pericolose in assoluto sono le centrali che utilizzano il carbone per generare elettricità: Il carbone nero (antracite) è composto almeno per il 92% di carbonio, mentre la lignite asciutta contiene all’incirca un 70% di carbonio ed un 5% di idrogeno. Si producono circa 3 tonnellate e mezzo di gas per ogni tonnellata di antracite consumata. Alcune centrali del mondo bruciano completamente 500 tonnellate di carbone all’ora.
Se pensate che vi sono all’incirca altri trenta gas serra nell’atmosfera, tutti presenti “in tracce” e riconducibili per i loro effetti alla CO2 e che lo stesso metano è responsabile del 15-17 per cento di tutto il riscaldamento globale che si verificherà in questo secolo, la situazione diventa allarmante, al punto che non sono più sufficienti i limiti stabiliti col protocollo di Kyoto nel 1997 che all’art.3 prevedeva la riduzione del 5% del totale delle emissioni di gas terra in rapporto al livello del 1990 nel periodo 2008/2012  e si deve ricorrere ad un ulteriore drastico ridimensionamento di tutte le immissioni in atmosfera di CO2.
La presenza smisurata di CO2 in atmosfera crea una vera e propria rivoluzione del clima. Un effetto immediato è la scarsità di piogge che sta riducendo in deserto grandi territori e paesi del mondo così da trasformare la rincorsa alla  proprietà delle fonti d’acqua in vere proprie guerre planetarie perché il “bene acqua” sarà sempre più raro.
I mutamenti climatici influiscono nel ciclo dei monsoni e se esso arriverà in forma attenuata, come nel 2002, il raccolto potrebbe ridursi del 20%: 30 milioni di tonnellate in meno. Sarebbe un disastro per l’intera India  e per una popolazione di un miliardo e cento milioni di persone.
Ma gli sconvolgimenti climatici stanno portando a danni irreversibili su alcune popolazioni residenti in Alaska, dove, a causa dell’aumento delle temperature si sta riducendo il ghiaccio marino e sciogliendo il permafrost, rendendo la linea costiera vulnerabile all’erosione. Centinaia di metri quadrati di terra sono già finiti in mare ed intere popolazioni sono costrette ad emigrare.
Altri abitanti di territori immediatamente vulnerabili al mutamento climatico sono quelli dei cinque paesi sovrani formati da atolli. Ci sono isole la cui altezza sul livello del mare non supera i due metri: Kiribati, le Maldive, le isole Marshall, Tokelan e Tuvalu che insieme danno sostentamento a circa mezzo milione di persone e sono isole fatte solo di atolli.
In seguito alla distruzione delle barriere coralline di tutto il mondo, all’innalzamento dei mari e all’intensificarsi degli eventi meteorologici già in corso, sembra inevitabile che queste nazioni siano distrutte dal mutamento climatico nell’arco di questo secolo.
“La morte di una nazione ha implicazioni straordinarie, come sottolinea l’antropologo Jon Barnett dell’Università di Melbourne ed il suo collega Neil Adger, per qualunque Stato non fare l’impossibile per impedire la perdita di un’entità sovrana significa minare la più essenziale ed efficace norma del diritto e della politica internazionale”.
Se questi sono i problemi e le emergenze mondiali, non mancano ai Potenti del Mondo argomenti per essere preoccupati ad intervenire prima che sia troppo tardi.Sapendo che è in gioco la stessa esistenza del pianeta terra.
Né potrebbero altrimenti avere ancora senso le riunioni del G8 – imminente e già programmata quella in Sardegna a La Maddalena nel  2009- dai più avversata e dalla stessa CSS insieme ai vari Comitati nazionali ed internazionali  anti G8 perché non ritenuto uno strumento utile ad affrontare e risolvere i problemi fin qui illustrati. Mentre è sempre più urgente e necessario che l’ONU e le Grandi Democrazie del Mondo trovino luoghi ed Istituzioni capaci di decisioni per bloccare le guerre, mutare le strategie in campo energetico, alimentare, economico e ambientale.

LE EMERGENZE DELLA SARDEGNA

Le grandi emergenze del mondo fanno da sfondo e spesso si intrecciano con quelle presenti nella nostra isola che le vive ovviamente rapportate alle proprie dimensioni, ma ormai la globalizzazione ci porta a vivere tutte le situazioni del mondo come se le nostre finestre si affacciassero e fossero sempre aperte su questo enorme scenario.
E così in economia l’annunciata e forse prossima recessione dei mercati americani influirà pesantemente sulla crescita globale, colpendo l’intera Europa ed in particolare Paesi come l’Italia che già ora ha il PIL bloccato allo 0,5 % come crescita per tutto il 2008, mentre la tendenza per il 2009 è crescita zero contro lo 0,6% stimato dal Governo Prodi.
Più in generale tutta l’Europa rallenta la crescita, anche se l’Italia resta il fanalino di coda: la Germania crescerà tra 1,4% e 1%; la Francia 1,4 %-1,2%; la Spagna 1,8% e fuori dall’area dell’euro correrà la Gran Bretagna destinata a crescere dell’1,6%  nei due anni 2008/2009.
In questo scenario di grande difficoltà si pone la Sardegna, la cui principale emergenza è la mancanza di lavoro con il progressivo impoverimento di ampie fasce della popolazione.

Su traballu

Il sistema economico sardo è bloccato: più di 160 mila persone sono in cerca di occupazione. Si tratta del più grande movimento sociale degli ultimi anni e sono in gioco valori quali la speranza ed il futuro dei nostri giovani, a cui occorre dare risposte immediate e concrete se non si vuole acuire la frattura già in atto con la società civile e le comunità della Sardegna.
“Su traballu fai s’omine” è su questa certezza che la Confederazione Sindacale Sarda ha fondato le
battaglie per il lavoro, inteso non solo come fonte di sostentamento per sé e per la famiglia, ma come fattore di crescita umana e civile.
Il disoccupato è un cittadino dimezzato e la sua precarietà e difficoltà di prospettiva rende incerta la costruzione della stessa società e comunità civile.
I tassi di precarietà del lavoro, tra i più alti in Italia ed in rapporto allo stesso Mezzogiorno, evidenziano in Sardegna che i nuovi posti di lavoro creati nel terzo trimestre 2007 sono per l’80 % assunzioni a tempo determinato (su 23.273 unità ben 17.868 sono state assunte a tempo determinato).
Né può rassicurarci il dato ISTAT che nel terzo trimestre 2006 registrava un tasso di disoccupazione del 10,5% contro il 10,2% del secondo trimestre pari ad un incremento percentuale di + 0,3%, interrompendo un trend negativo che ci trascinavamo dal 2004. Abbiamo, infatti, necessità di confermare questo dato di crescita che però non compensa la diminuzione complessiva dei posti di lavoro che si verifica soprattutto nel settore industriale (-15 mila addetti) ed il crollo nel settore delle costruzioni che perde altrettanti addetti rispetto allo stesso periodo del 2005.
L’anomalia tra il dato occupativo in crescita e la realtà della perdita massiccia dei posti di lavoro si spiega con la presenza in Sardegna del fenomeno del lavoro stagionale e con l’evidenza, già sottolineata, di una presenza di lavoratori atipici, che il più delle volte hanno contratti a termine anche di pochi mesi e che però statisticamente contano come occupati.
Inoltre in territori con forte presenza di immigrati (circa 20 mila unità nel 2007 rispetto alle 12 mila del 2002), il dato generale dell’occupazione subisce un incremento sensibile. Né va trascurato il dato di coloro che, sfiduciati, non si rivolgono più ai Centri per l’Impiego, fenomeno che apparentemente dovrebbe interessare  principalmente i sociologi e/o gli psicologi  e che invece è preoccupante perché ci fa capire come il sommerso sia veramente una emergenza sociale.
La situazione di crisi in Sardegna è veramente drammatica. Il ricorso agli ammortizzatori sociali, una scelta obbligata per quei lavoratori le cui Aziende entrano in crisi e che possono usufruire della Cassa Integrazione a fronte di altri lavoratori che ne sono esclusi, è sempre più frequente ed i cassaintegrati sardi sono ormai circa 5 mila.
I bassi salari e le pensioni minime e sociali aumentano il divario tra il Nord e Sud dell’Italia. A certificarlo arriva il IX Rapporto sulle Retribuzioni degli italiani (realizzato da OD e M Consulting e pubblicato dal Sole 24 Ore). Rallenta nel 2007 la crescita delle retribuzioni di tutte le categorie in particolare per chi vive al Sud e delle donne che vedono aumentare il gap retributivo rispetto agli uomini. L’allarme è certificato dallo stesso Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che recentemente è intervenuto sullo stesso argomento, evidenziando come gli stipendi e retribuzioni in Italia sono fermi dal 2001.
C’è da osservare che quando le stesse affermazioni venivano fatte dal mondo sindacale che ultimamente e finalmente chiedeva la revisione del Protocollo del 31 Luglio che aveva introdotto la norma per cui i salari non potevano crescere oltre la soglia dell’inflazione programmata, tutti invocavano la moderazione salariale e sottolineavano l’impossibilità degli aumenti a causa dell’elevato costo del lavoro.
La conferma che il reddito complessivo delle famiglie sarde è in forte difficoltà è data dall’ultima analisi ISTAT sulla povertà relativa che nel 2007 in Sardegna è aumentata di un punto percentuale da 15,9% a 16,9%. A questo si aggiunga che il valore medio delle pensioni in Sardegna è di 703,09 euro con un differenziale di oltre il 10 % sul valore medio del resto d’Italia .
90.764 sono le famiglie povere nell’Isola (16,9%) ed in termini assoluti circa 330 mila persone vivono sotto la soglia di povertà. E’un dramma sociale ed insieme uno scandalo a cui le Istituzioni rispondono in modo assolutamente inadeguato. La Chiesa Cattolica e le altre Chiese, i Sindacati e le numerose Associazioni di volontariato non possono reggere questa situazione né possono essere lasciate sole.
L’allarme arriva dalle Associazioni dei Consumatori che in questi mesi hanno rilevato un rincaro del costo della vita inaccettabile e non più sopportabile soprattutto per i monoreddito e per chi vive con un salario non superiore a 1.100 e 1.200 euro mensili, senza trascurare i lavoratori atipici, i precari, i lavoratori in mobilità ed i disoccupati assistiti, che, avendo un reddito di pura sussistenza, non hanno rilevanza statistica.
I generi di prima necessità, rispetto allo scorso anno, sono aumentati del 2,4% nel settore dei generi alimentari ed in particolare il pane (+4%).
Il dato allarmante lo da la Grande Distribuzione che, soprattutto nel settore alimentare, afferma che in quest’anno si sta verificando un vero e proprio crollo delle vendite, a dimostrazione del fatto che la gente “normale” ha meno soldi per comprare persino i generi di prima necessità. Se a ciò aggiungiamo i costi maggiori della bolletta elettrica (+7,1%), quella del Gas (+4,8%), RC Auto (+1%), tutti aumenti verificati in un solo anno dal 2006 al 2007, possiamo concludere che una famiglia ed un lavoratore “normale” non riesce ad arrivare neppure alla terza settimana del mese.
Un dato certo è che presso gli sportelli di Poste Italiane sono aumentati a dismisura le richieste di rimborso sui risparmi dei libretti anche di somme esigue (30 –  40 euro) e che molti utenti ritirano i Buoni Postali perché non ce la fanno più a vivere.
In questo quadro di oggettiva difficoltà si registra l’aumento degli infortuni sul lavoro che nel 2007 in Sardegna sono stati 18.670, di cui 30 mortali nel 2007 e ben 8 morti in questi primi mesi del 2008.
La manifestazione unitaria con un corteo silenzioso per le vie della città di Cagliari del 17 Aprile scorso non a caso era aperta dallo striscione “Lavorare per vivere e non per morire” con in testa i lavoratori della SICMI di Portovesme, che con un “CIAO  GIANNINO “ ricordavano il loro compagno di lavoro Giannino Lai, morto in fabbrica cadendo da un ponteggio così come non potevano essere dimenticati Orazio Statzu e Eolo Casu morti sul lavoro nella stessa maledetta settimana.
Il quadro sociale della Sardegna si aggrava se si scorrono i dati sulla dispersione scolastica con punte del 27% nelle secondarie a Cagliari ed oltre il 7% nelle primarie a Sassari ed Oristano, confermando il dato del Rapporto OCSE-PISA  da cui emerge che  come isole Sicilia e Sardegna siamo gli ultimi nella graduatoria dei paesi europei come preparazione scolastica.
La situazione scolastica in Sardegna peggiorerà ancora di più con l’annunciato taglio di ben 941 cattedre in tutta l’Isola. Gli interventi di “razionalizzazione” per la rete scolastica sarda significano esclusivamente TAGLI. Le riduzioni più consistenti si registrano nella scuola primaria (ex elementari) con un taglio nel prossimo anno scolastico di ben 413 insegnanti; mentre negli Istituti secondari di secondo grado (le superiori) le cattedre subiranno un taglio pari a 350 posti di lavoro.

Come reagire

A questa situazione drammatica si può e si deve reagire, mettendo in campo tutte le energie e strategie possibili perché la nostra Isola riprenda la via della crescita e dello sviluppo.
In Sardegna non manca una strategia per uscire dalla crisi. Essa era stata ben individuata e tracciata  con l’inizio di questa Legislatura Regionale e con la Coalizione che aveva vinto le elezioni del 2004. Più innovazione, più saperi, forte identità a partire dall’ambiente definito per la prima volta “bene  identitario” per battaglie  comuni che si sono dimostrate vincenti come quella per le entrate e per le dismissioni delle servitù militari a partire dalla base atomica  statunitense de La Maddalena.
La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che, laddove si è saputo costruire coesione, le battaglie  anche difficili si sono vinte.
A continuare si è voluto abbandonare il terreno faticoso della messa in campo delle sinergie, della coesione sociale, del rispetto e della costruzione comune. Visibilmente davanti ai Palazzi delle maggiori istituzioni della Sardegna non mancava giorno che chi perdeva il lavoro sostasse o ponesse le tende per protestare e chiedere soluzioni concrete. I lavoratori ed i Sindacati ponevano con forza le problematiche della chiusura delle fabbriche e l’abbandono delle campagne; ma le risposte si sono fatte attendere e non sono mai arrivate, se non parziali e comunque sempre in ritardo. Le responsabilità politiche sono evidenti e noi come Sindacato abbiamo l’obbligo di denunciare questa realtà.
Dal nostro punto di vista il consuntivo è drammaticamente negativo e siamo certi che si è persa una grande occasione di riforma delle Istituzioni, dell’economia di questa nostra Isola e che oggi l’intero sistema politico-sociale appare bloccato, mentre si fa urgente un nuovo impulso per la crescita e lo sviluppo della Sardegna.
Cogliamo con interesse le recenti dichiarazioni dell’on Pietrino Soddu che, in una recente intervista al  giornale “L’altra Voce.net”  a proposito della situazione regionale, ha fatto osservare con realismo critico e senza sconti di condividere gli obiettivi del Presidente  Renato Soru “a patto che riveda molta parte della sua strategia: dell’approccio ai meccanismi della democrazia, dell’arte di governare attraverso la ricerca del consenso e non col comando”… ed ancora “una governance moderna non si esercita autoritariamente e in solitudine. Serve il consenso, la collegialità, la condivisione: non gli ordini. Trasferito in un potere centrale come quello regionale, questo modo di agire genera non giusti impulsi ma comandi. Quindi inceppa e inceppa tutto. Non funziona in un sistema complesso che richiede risposte articolate ed equilibrate; non prescrizioni che portano a paralizzare il meccanismo”… “Soru non può essere la sola voce della Sardegna. Il metodo di formazione delle decisioni impone una rappresentanza larga, pluralista e articolata. Il soggetto collettivo-sociale, politico, di governo; come la Giunta oltre il Presidente -non può dissolversi in quello singolare, individuale. La monocrazia porta al fallimento”.
Come ripartire?
“Ricostruendo ed allargando un dialogo non formale ma sostanziale che produca decisioni condivise, una strategia del consenso che venga da obiettivi e metodi accettati e condivisi. Così si ripristina una immagine alta (della politica). Si riassorbe il dissenso qualificato e motivato. Si cancella nel dire e nell’agire il senso e il rischio di un declino politico, sociale, economico. Si rilancia una prospettiva di nuovo fiduciosa per il presente, proiettata su un futuro ragionevolmente ravvicinato”.

Su Sviluppu

Non c’è lavoro se non c’è nuova crescita e sviluppo.
Altre volte il nostro Sindacato è intervenuto sul tema, rompendo schemi e convinzioni spesso nel più assoluto isolamento ed incomprensione, quando da anni diciamo che il problema non sono solo i posti di lavoro comunque e a qualsiasi condizione, ma il problema vero è quale lavoro in Sardegna legato ad uno sviluppo nuovo, la cui ricerca  e proposta è fin troppo datata ed in ritardo rispetto alle urgenze che spesso finiscono per travolgere ogni seria prospettiva.
Francamente ci aspettavamo da questa Giunta e dalla classe politica un impulso maggiore ed un coraggio innovatore che è andato via via scemando.
Non c’è settore lavorativo che non denunci difficoltà di crescita e di stare sul mercato. Ogni Settore e le Organizzazioni Professionali di riferimento denunciano ogni giorno le proprie difficoltà: l’Agricoltura, l’Edilizia, le Aziende Manifatturiere, la pesca, l’Artigianato, il Commercio e lo stesso Turismo è in affanno; così dicasi per la formazione professionale, distrutta senza essere stati capaci di una Legge di riforma, per la Sanità le cui liste d’attesa negli Ospedali sono inaccettabili e per i Trasporti, la cui continuità territoriale è solo una promessa senza fine, mentre le riforme annunciate dei numerosi Enti Regionali sono ancora contenitori vuoti dove il personale stenta a riconoscere la propria professionalità e la stessa Amministrazione Regionale appare una macchina bloccata da veti contrapposti.
La stessa categoria degli ambulanti, la cui maggioranza è iscritta alla ULAAS federata alla CSS è stata costretta ad effettuare lo sciopero unitario regionale del 17 luglio 2007 per chiedere l’annullamento della delibera di Giunta con la quale è stato loro tolto il diritto di vendere e trasferire
la propria licenza ed Azienda. E nonostante tutti, ad iniziare dalla VI Commissione Consiliare competente, diano ragione ai lavoratori la Giunta Regionale resiste e non ha intenzione di modificare detta delibera. La risposta degli ambulanti non si farà attendere e questa volta sarà ancora più dura e determinata.
Lascio ai Segretari Nazionali delle categorie presenti in CSS e alle delegate e delegati gli interventi mirati e le proposte specifiche sui problemi dei loro settori di lavoro, avendo nei loro Congressi dibattuto e approfondito nel merito i principali temi all’ordine del giorno.
Allora qual è la via d’uscita? Come rimettere in moto il motore di questa nostra Sardegna?
Noi della CSS non possiamo certo dare soluzioni o presentare progetti che spettano ad altri ed in primo luogo alla Giunta e al Consiglio Regionale della Sardegna.  Ma possiamo osare oltre le nostre forze e dimensioni di rappresentanza, anche se questa ci viene negata da chi pensavamo avesse il dovere di raccogliere il pluralismo di voci che compongono nella loro varietà e ricchezza il popolo sardo. Questo è mancato ed è un forte deficit di democrazia che talvolta rende fortemente miope la visuale a chi ha nelle Istituzioni posizioni di potere derivanti dal mandato popolare.
Vogliamo dire e ribadire che la questione della “concertazione”, posta dalle forze sociali ed in primo luogo dai Sindacati storici, è giusta come principio, ma è viziata alla base, quando non si vuole accettare e riconoscere che, in questa nostra società complessa, il plurale delle rappresentanze socio-economiche presenti nel territorio non può essere né appiattito né omologato.
Né si può ignorare che per la CSS in quanto tale è fin troppo evidente l’ingiustizia della sua reiterata discriminazione dal momento che non viene consultata, non fa parte del CREL ed è esclusa dai finanziamenti della Legge Reg.le 31 per volere diretto di questa Giunta Reg.le anche contro il parere unanime della III Commissione Consiliare al Bilancio che per i Sindacati Minori voleva la reintroduzione del contributo regionale come riconoscimento  all’apporto di collaborazione e studio dei problemi sociali. Noi miriamo al totale  riconoscimento della CSS quale Sindacato della Nazione Sarda. Ci appelliamo al principio sancito dalla Legislazione Europea al “diritto alla non assimilazione” e continueremo questa nostra battaglia perché il nostro Sindacato sia il Sindacato dei Sardi.
L’esito elettorale del 13 e 14 Aprile scorso evidenzia una forte semplificazione del quadro politico, che dovrebbe evitare la tentazione di esigere una altrettanta semplificazione nel campo sociale.
Se per il Governo del paese s’impone una semplificazione partitica, sarebbe un dramma se a ciò corrispondesse una costrizione di semplificazione delle rappresentanze sociali.
Un Governo forte sia a livello centrale sia a livello regionale richiede, invece, una larghissima rappresentanza sociale, la cui consultazione e concertazione eviterebbe errori nella lettura e comprensione della stessa realtà  che è sempre e sarà plurale.
In questi giorni stiamo valutando il nuovo documento, proposto da CGIL/CISL/UIL sulle “Linee di riforma della struttura della contrattazione”. Prendiamo atto con interesse della comune volontà di superare l’Accordo del 23 Luglio 1993 sia per quanto riguarda il potenziamento della contrattazione di secondo livello a cui vengono affidate nuove competenze e soprattutto per l’abbandono della formula del Tetto di inflazione programmata che di fatto aveva bloccato i salari,sostituita ora dal concetto più moderno di “Inflazione realisticamente prevedibile”con parametri ed indicatori di inflazione più vicini alla realtà. Restano da parte nostra dubbi e perplessità sulle proposte relative alla Democrazia e rappresentanza sindacale che viene rinviata a specifici Accordi Generali Quadro, mentre la nostra posizione e di tutti i Sindacati di Base resta quella della Regolazione per Legge.
Ma ritorniamo al tema dello sviluppo.
Per la CSS non esiste sviluppo se non è identitario.
Recentemente ho letto che “non c’è identità senza cose, ossia che c’è un vincolo strettissimo tra l’identità e i prodotti di una cultura e di un’economia…Non si tratta semplicemente di certificare prodotti,ma di elaborare un modello di aumento della ricchezza dei sardi realizzato dai sardi senza chiudersi al mondo”
“La maggiore difficoltà – dice Paolo Maninchedda chiosando Pigliare - nasce dal fatto che l’apertura alla competizione di un sistema debole, porta i beni di maggior valore di quel sistema ad essere acquistati e sfruttati all’esterno del sistema. Lo spazio della politica deve consistere appunto nello schierare un potere a difesa di questa debolezza”
Esattamente il contrario di quello che succede oggi. L’essersi disfatti rapidamente della Programmazione Integrata ha creato un vuoto, mentre era quella una possibile via per costruire un modello di sviluppo alternativo con il coinvolgimento sui territori di tutti i soggetti attivi a partire dalla Comunità Locali, un modello di sviluppo dalle caratteristiche identitarie.
In Sardegna occorre una vera svolta.
Ci chiediamo da anni se nella nostra Sardegna sia possibile uno sviluppo armonico che ponga al centro la crescita della ricchezza ed il lavoro senza che si affronti con mezzi straordinari ed eccezionali in termini di risorse e strumentazione il problema della modernizzazione e del rilancio dell’Agricoltura, intesa come industria agro/pastorale/alimentare collegata strettamente alla lavorazione -conservazione – trasformazione e commercializzazione dei prodotti.
Non siamo degli esperti e non abbiamo ricette e soluzioni, ma non possiamo non notare che  mentre in Sardegna il valore aggiunto dell’Agricoltura cala del 2,5% all’anno e l’occupazione nel settore è in costante diminuzione (circa 4 mila unità), in Italia esso cresce ogni anno dell’1,9.
Se spingessimo le nostre analisi e avessimo la capacità di rapportarle a ciò che sta avvenendo nel mondo nel campo alimentare, dovremmo essere attenti e sufficientemente accorti a capire la forte sollecitazione che recentemente è venuta dalla Responsabile europea delle politiche di sviluppo agricolo che nel suo intervento indicava l’esigenza di  un ritorno nei vari paesi europei ad una agricoltura collegata  al bisogno alimentare  dei territori.
La CSS è convinta che in Sardegna si debba modernizzare e dare nuovo impulso all’agricoltura, liberandola innanzitutto e subito dai debiti contratti da Leggi regionali sbagliate, i cui costi sono stati fatti pagare unicamente ai nostri agricoltori e allevatori con la conseguenza drammatica del fallimento di numerose Imprese Agropastorali, come ci hanno riportato alla realtà i fatti denunciati dai contadini ed allevatori esecutati di Decimoputzu e di Villacidro per citare solo in ordine di tempo le dure battaglie dei nostri contadini ed allevatori al cui fianco si è sempre schierata l’Altra Agricoltura col suo Segretario Riccardo Piras che oggi ci onora della sua presenza e a cui la CSS ha dato sempre il proprio sostegno.
L’agricoltura sarda, che ha una produzione lorda vendibile intorno al miliardo e mezzo di euro, ha anche una esposizione verso il sistema bancario di 700 milioni di euro. I debiti in sofferenza sono intorno ai 200 milioni di euro, la cui metà sono legati alla Legge Reg.le  N° 44 del 1988 che aveva indotto circa 5000 Aziende ad accendere mutui che prevedevano l’abbattimento degli interessi garantito dalla Regione Sardegna; ma, come tutti sanno, l’Unione Europea ha rigettato quella Legge, costringendo le imprese a restituire gli aiuti  aggravati da pesanti  e assurdi interessi bancari.
Come sia possibile in Sardegna abbandonare l’Agricoltura è pura follia. Al contrario si recupererebbero immediatamente migliaia di posti di lavoro a costi per le imprese sicuramente inferiori a quelli di altri settori industriali e si metterebbe in moto un rilevante indotto che porterebbe ricchezza ed occupazione.
La crisi dei cereali e l’aumento vertiginoso dei prezzi nel mercato mondiale dovrebbe suggerirci di puntare a questi prodotti in Sardegna, piuttosto che avere la tentazione di trasformare le nostre colture a semina di altri prodotti che avrebbero l’unico scopo di  essere utilizzati per produrre energia. Ci basta ciò che sta avvenendo in altre parti del mondo dove si è scelta questa politica ed i campi sono presidiati dalla polizia in armi, mentre i contadini vengono allontanati e ridotti in povertà.
Manca nella nostra Regione una politica agricola organica e collegata con le altre realtà industriali. Abbiamo sotto gli occhi lo scempio di risorse umane e professionali ed il disastro finanziario ed economico di ciò che era una fabbrica moderna, riconosciuta con attestati di qualità europei l’UNILEVER di Cagliari.
La Regione assiste impotente allo smembramento di questa fabbrica, alla vendita dei macchinari, alla dispersione di giovani operai e tecnici specializzati e la risposta è sempre la stessa “Queste sono le leggi del mercato globale. La multinazionale  anglo-olandese  ha fatto altre scelte e siamo in attesa di un nuovo Imprenditore interessato agli impianti”.
A nessuno in Giunta è venuto in mente di prendere in considerazione le proposte degli operai e dei tecnici ora in cassa integrazione che segnalavano l’importanza della fabbrica e la loro piena padronanza di tutto il processo della catena del freddo che non serve a produrre solo Gelati di ottima qualità. Sarebbe bastato mettere in contatto il settore agro-alimentare con questa fabbrica per stabilire se fosse fattibile utilizzare quei macchinari e soprattutto la professionalità degli addetti per dare risposte al settore agro-alimentare sardo per quanto riguarda la conservazione e la stessa surgelazione dei prodotti.
Ma l’impressione rimane quella che in Giunta si pensi ad altro e si aspettino i “buoni imprenditori”, mentre le fabbriche come l’UNILEVER e la stessa LEGLER chiudono irrimediabilmente, lasciandosi dietro rovine e drammi personali e familiari che investono intere comunità.
Non sarà un caso che l’aver costretto questa Giunta Regionale a modificare il Piano Regionale Energetico, spostando da Ottana a Fiumesanto la costruzione del terzo Termovalorizzatore, sia stata una scelta salutata come scelta di sviluppo per aver salvato un intero territorio con le sue 476 Aziende Agropastorali dalla follia della localizzazione del Termovalorizzatore al centro della Sardegna, dove avrebbe prodotto inquinamento e distruzione e avrebbe indotto malattie e tumori, mettendo a rischio la popolazione. Onore al Comitato per il NO al Termovalorizzatore di Ottana, che con la sua lotta costante e dura  ha saputo costruire una rete di oppositori, coinvolgendo soprattutto le popolazioni dei paesi interessati e la stessa Amministrazione Provinciale con numerose forze politiche e sindacali, tra cui Sardigna Nazione e la CSS.
Alla fine la lotta popolare paga e sconfigge anche coloro che ci accusavano di essere ciechi davanti ai problemi dei rifiuti avendo negli occhi il dramma della città di Napoli e di molti paesi della Campania invasi dai rifiuti. La raccolta differenziata deve essere la prima scelta, se non si vuole che i Termovalorizzatori  servano di copertura  alle città  dove non si attua  la raccolta differenziata per favorire il business legato ai rifiuti E ciò che sicuramente è successo a Napoli e stava per  succedere anche a Cagliari dove la raccolta differenziata è partita in forte ritardo ed ora sollecitata anche dalle pesanti multe che poi sono state pagate dai cittadini.

S’ambienti

L’ambiente oggi è sicuramente occasione di sviluppo e ricchezza. Pensiamo all’enorme occasione che, dopo la dismissione di alcune servitù militari e demaniali, ha la città di Cagliari e Quartu per il compendio di Molentargius e le Saline per non parlare della zona del Poetto che va dalla Sella del Diavolo a Is Mortorius. La stessa occasione straordinaria viene offerta a La Maddalena, dopo lo smantellamento della base di S.Stefano.
La Regione, le Province ed i Comuni interessati hanno un ruolo determinante nello sviluppo del territorio alcuni dei quali saranno ridisegnati e molto dipenderà dalla volontà di una visione d’insieme dove cultura ambientale si dovrà coniugare col rispetto della natura e dell’uomo.
Siamo convinti che con le grandi opere arriveranno anche molte occasioni di lavoro non solo attorno ai nuovi cantieri che si apriranno a breve, ma per tutto l’indotto che le grandi opere susciteranno.
Quando parliamo di cantieri facciamo riferimento anche alle grandi opere di mobilità urbana ed extraurbana, il campus universitario, il completamento e la messa in sicurezza della 131, la bonifica dei territori resi impraticabili dalle fabbriche dimesse e dal disastro ambientale che in particolare alcune di esse hanno compiuto. I recentissimi rinvii a giudizio  disposti dalla Magistratura nei confronti dei responsabili della Syndial, della Ineos e della Sasol per i gravissimi danni ambientali,tra cui l’accusa di disastro ambientale,causati dagli impianti chimici di Portotorres ci rafforzano sulle giuste lotte che in questi anni la CSS insieme ai partiti indipendentisti   ha condotto,ad iniziare dal Referendum  del 12/13 giugno del 2005 che,sebbene si sia fermato al 26,6% dei voti non raggiungendo il quorum del 33% ha espresso il 78,9% di SI  all’abrogazione della Legge Regionale n°8 del 2001 che consente l’importazione in Sardegna di scorie tossiche.
C’è da sminare un lungo tratto di mare da restituire alle marinerie di Teulada e S.Anna Arresi; come urgente si pone il problema di liberare la Sardegna dai veri vincoli militari che sono i poligoni vere e proprie piattaforme logistiche di sperimentazioni pericolose e di strumenti di guerra e di morte. Stupisce come ancora una volta il sindaco di Villaputzu, nonostante varie inchieste sui disastri provocati dalle sperimentazione di armi con l’utilizzo di uranio impoverito, irrida ai dati drammatici di incidenza dei tumori sulla popolazione del suo stesso Comune. Le vere servitù militari sono i poligoni e fino a quando anche solo uno di essi sarà in terra sarda, non ci sentiremo liberi e sicuri.
Giorni fa il Comitato sardo Gettiamo Le Basi ha denunciato un altro caso di linfoma tra i lavoratori del poligono Salto di Quirra  ad esserne colpito è Gianfranco Cossu,muratore di 47 anni,una vita trascorsa a curare il bestiame di famiglia nelle campagne adiacenti al poligono della morte e dal 1990 al 1996  operaio in una impresa edile che ha operato all’interno del poligono.Gettiamo le basi con la sua coordinatrice Mariella Cao da anni denuncia che la “sindrome di Quirra”  annovera ben 17 persone residenti nei centri limitrofi al poligono colpite o uccise da tumore.A queste si aggiungono i 20 abitanti di Quirra,i 17 militari che hanno prestato servizio nel poligono ed i 14 bambini di Escalaplano nati con gravi malformazioni. La recentissima sentenza della Cassazione che ha archiviato il processo penale sulla morte di Salvatore Vacca, 23 anni, una delle prime vittime della sindrome dei Balcani da ricondurre all’uranio impoverito, lascia sgomenti.Una sentenza vergognosa che ci impegna tutti a continuare nella lotta per la verità.

Ed ora le conclusioni

Non cadremo nella tentazione di entrare nel merito di singoli progetti sia perché riconosciamo di non avere le competenze richieste sia perché di molti di essi si conoscono solo i progetti di massima. Ciò che possiamo affermare e raccomandare e che non si perdano queste occasioni e che si abbia sempre presente che la strategia dello sviluppo è vincente se ha la capacità di creare coesione e se ha la capacità di ascoltare il plurale delle voci ed esigenze del popolo sardo e se ha la capacità di far assurgere a valori identitari non solo l’ambiente, ma la lingua, la cultura, l’economia, i saperi ed i sapori della nostra terra.

Sa limba nostra

Mi sono commosso sentendo e vedendo un servizio su Rai-3 su una scuola elementare di Cagliari dove si insegna il sardo come materia curriculare alle nostre bambine e bambini per decisone unanime del Consiglio di Circolo Randaccio. Sentire quelle bambine e bambini parlare e recitare in sardo, come ormai in moltissime scuole della Sardegna mi ha aperto il cuore alla speranza. E’ quello che volevamo quando insieme ad altri iniziammo la lotta per la lingua sarda  raccogliendo le firme per la proposta di  legge popolare  e quando salutammo con entusiasmo la Legge Reg.le n°26 del 15/10//1997 e la Legge n° 482/1999. Sono passati tanti anni di duri confronti, battaglie, discussioni ed incomprensioni. Oggi non mancano i passi avanti anche per l’impegno della Giunta Reg.le, che troviamo però ancora troppo sbilanciata verso sa limba Comuna, che, a nostro avviso deve rimanere una lingua  scritta per gli atti ufficiali e per la burocrazia, mentre da subito ed in tutte le scuole di ogni ordine e grado si deve parlare scrivere ed insegnare con le due varianti principali della lingua sarda il campidanere ed il logudorese che sono le varianti più diffuse e parlate dal nostro popolo.
Quest’anno il 28 Aprile -la festa dei sardi- è stato  dedicato a sa limba nostra e fatto straordinario
Il Consiglio Regionale in seduta solenne ha volluto celebrare questo giorno con un discorso in limba del prof.Federico Francioni  dell’Università di Sassari proprio sul significato degli avvenimenti del 28 Aprile del 1794 e del triennio rivoluzionario sardo. Significativo e fatto unico nella storia dell’Autonomia l’intervento in sardo campidanese del Presidente della Giunta Regionale Renato Soru e la conclusione della Manifestazione col canto “Procurad’e moderare “ che proponiamo come Congresso venga riconosciuto con apposita Legge Reg.le come Inno Nazionale della Sardegna.
Ma restituirci la lingua e riprenderla a parlare e studiare  non sia solo un appello ed un auspicio  che il grande poeta  Remundu Piras  ci ha lasciato  nel 1997 poco prima di morire come un vero e proprio testamento:

O sardu,si ses sardu e si ses bonu,
semper sa limba tua apas presente :
no sias che isciau ubbidiente
faeddende sa limba ‘e su padronu.

Sa nassione chi peldet su donu
de sa limba iscumparit lentamente
massimu si che l’essit dae mente
in scrittura che in arrejonu.

Sa limba ‘e babbos e de jaios nostros
no l’usades pius nemmanco in domo
prite pobera e ruza la creides.

Si a iscola no che la jughides
Po la difunder menzus,dae como
sezis dissardizende a fizos bostros.

Ai Sardi, a tutti noi sta accettare queste sfide e vincerle, come ci hanno insegnato colla loro vita i nostri eroi recentemente scomparsi: Franciscu Masala poeta; Elisa Spanu Nivola educatrice e presidente de Sa Scola Sarda; Peppino Marotto sindacalista e poeta; Antonio Gramsci di cui l’anno  scorso abbiamo ricordato i 70 anni dalla morte a seguito del duro carcere fascista; Antonio Simon Mossa di cui abbiamo recentemente ricordato  in  un convegno a Cagliari i  90 anni dalla nascita ed infine Giovanni Maria Angioy a cui la CSS ha intitolato il suo Centro Studi e di cui quest’anno  celebriamo il bicentenario della morte.
Chiudiamo col  ricordo di   Martin Luther King  che ci ha insegnato a vincere stando dalla parte dei lavoratori e degli oppressi a costo della vita, come 40 anni fa  il giorno del suo assassinio.

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