Gianluca Scroccu (da L’Unione Sarda del 16 Marzo 2009)

PIERO GRAGLIA, Altiero Spinelli, Il Mulino, pp. 634, € 30.
Il sogno europeo: la vita generosa di Altiero Spinelli.
“Sono nato casualmente, così come si accende casualmente una candela”, scriveva di sé Altiero Spinelli nella sua autobiografia. La sua figura, una delle più importanti personalità nell’opera di costruzione dell’Unione Europea, è però poco conosciuta dall’opinione pubblica.
Ora il volume dello storico Piero Graglia, Altiero Spinelli (Il Mulino, pp. 634, € 30), aiuta a colmare questa lacuna, rappresentando il primo tentativo di una biografia organica del grande esponente federalista.
Basandosi su un’imponente mole di documenti provenienti anche da archivi europei e statunitensi, molti dei quali inediti, l’autore è riuscito a tratteggiare in profondità la figura di Spinelli. Particolarmente significativi ed originali appaiono ad esempio i capitoli sulla sua militanza comunista, sottovalutata negli studi precedenti, e che invece dall’analisi di Graglia appare determinante per comprendere l’essenza dell’azione politica spinelliana.
Antifascista intransigente nonostante la giovane età, Spinelli venne arrestato nel 1927 e condannato ad oltre sedici anni di carcere e confino, un periodo lunghissimo durante il quale avviene non solo la presa di distanza dal comunismo, del quale non può sopportare i crimini e i processi dello stalinismo, ma anche la conversione alla causa del federalismo europeo che culminerà nel 1941 nell’estensione, durante il confino a Ventotene, del famoso Manifesto elaborato insieme ad Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Dopo la Liberazione sarebbe poi diventato uno degli animatori principali del movimento federalista europeo e delle più importanti battaglie per il processo di unificazione, emergendo come “un utopista pragmatico”, fortemente critico nei confronti dell’approccio funzionalista di Monnet e totalmente schierato a favore dell’opzione federalista quale veicolo principale per il radicamento dell’idea europea tra la popolazione del continente. Nel libro si evidenzia molto bene il ruolo di Spinelli come fervido sostenitore della causa europea nel nostro Paese, consigliere del ministro degli esteri Pietro Nenni ma anche animatore del dibattito all’interno del gruppo del Mulino o con il lavoro culturale all’Istituto Affari Internazionali, da lui cofondato nel 1965.
Il capitolo dedicato all’attività di Spinelli come Commissario europeo in rappresentanza dell’Italia dal 1970 al ‘75 è particolarmente incisivo, permettendo di comprendere quale importanza abbia avuto la sua azione nel dibattito sul processo di riforma istituzionale dell’Unione e sul rafforzamento della dimensione democratico-rappresentativa. Dopo quell’esperienza, riavvicinatosi al Pci di Berlinguer, per il quale venne eletto come indipendente prima al Parlamento italiano e poi a quello europeo, avrebbe continuato proprio da Strasburgo la sua battaglia politica sino alla morte avvenuta nel 1986, elaborando, insieme ad alcuni colleghi parlamentari di diversa appartenenza politica, riuniti nel famoso “Club del Coccodrillo”, un progetto molto avanzato di Trattato costituzionale a cui venne però preferito l’Atto Unico.
Un libro, quello di Graglia, che ci restituisce un quadro vivo di un’esistenza caratterizzata da grandi aspirazioni, molte delle quali incompiute, ma che, per riprendere le parole del Capo dello Stato Napolitano, ha lasciato una fondamentale lezione.
 

 

Gianluca Scroccu (da L’Unione Sarda dell’11 Marzo 2009)

MARC LAZAR, La democrazia nel paese di Berlusconi, Rizzoli, pp. 198, € 13,00.
Saggi. Lo storico francese Marc Lazar analizza la politica italiana dalla mediatizzazione al crollo della sinistra. Pensando a Craxi.
Che Paese è diventato l’Italia? La politica è davvero cambiata o persiste nel presentare elementi di continuità con i decenni passati anche all’insaputa degli elettori? Se lo chiede lo storico e politologo Marc Lazar nel suo L’Italia sul filo del rasoio. La democrazia nel paese di Berlusconi.
Studioso attento delle vicende italiane, docente in importanti università francesi e italiane, con questo libro Lazar compie una panoramica sulle condizioni istituzionali e le tendenze storiche che hanno attraversato la storia italiana dalla nascita della Repubblica sino alla elezioni del 2008, soffermandosi in particolare sugli avvenimenti più recenti della nostra scena pubblica, quelli che hanno visto l’affermazione della personalizzazione e del presidenzialismo tramite la progressiva “mediatizzazione” capace di trasformare la politica in uno spettacolo presente soprattutto nelle arene virtuali della televisione o della rete.
Un periodo segnato dalla figura di Silvio Berlusconi, colui il quale è riuscito a stanare la destra dal lungo letargo in cui aveva vissuto durante l’epoca repubblicana, fornendole legittimità e cultura. Il blocco sociale berlusconiano è diventato, per Lazar, una realtà concreta e oramai egemonica, capace di costruire e far diventare senso comune, anche grazie al fondamentale ausilio delle televisioni, il proprio sistema di valori. L’attuale Presidente del Consiglio usufruisce poi in maniera massiccia delle possibilità garantite dall’aumento di fatto del potere esecutivo attraverso strumenti come i decreti legge e le leggi delega, secondo una prassi che il politologo francese fa risalire a Bettino Craxi. Al sistema berlusconiano non hanno saputo contrapporsi le forze del centrosinistra come il Pd e quelle alla sua sinistra, vittime anch’esse dei processi che hanno portato alla sempre più radicale destrutturazione della forma partito a favore di soggetti ridotti a contenitori deboli sul piano culturale ed oramai perfettamente intergrati nelle logiche del marketing, secondo le quali l’elettore diviene un consumatore al quale si deve vendere un prodotto ogniqualvolta ci sono le elezioni. Per l’autore la vera radice di questa situazione si deve ricercare negli anni Novanta, quando l’Italia si è definitivamente posta sul filo del rasoio, ovvero in uno stato di crisi del e nel sistema politico, dove hanno di fatto convissuto cambiamento e tradizione, novità e continuità. Stabilizzatasi oramai la geografia elettorale, il Paese sembra però vivere una situazione di declino e di stasi sul piano politico ed economico. Basta vedere il Partito Democratico guidato da Veltroni, un soggetto politico nato con grandi ambizioni ma che non è riuscito sino ad ora ad raggiungere nessuno dei suoi obiettivi, a partire da quello di cambiare la fisionomia del panorama progressista europeo, sino ad arrivare alle tante sconfitte che hanno recentemente portato alle inevitabili dimissioni del suo leader perdente. La fragilità dello Stato è intanto aumentata con la globalizzazione, l’ingresso nell’Unione Europea, l’aumento dei poteri decisionali delle autonomie locali. Secondo l’autore, l’Italia, molto più di altri paesi europei, deve allora interrogarsi sullo stato attuale della sua democrazia e sul perché stiano aumentando l’astensionismo e il rigetto contro la casta. Un Paese con tante difficoltà, ma con un patrimonio di civismo inaspettato perché, come ricorda Lazar riferendosi alle questioni legate alla sfera dell’etica, i cittadini sembrano avere opinioni molto più mature dei loro dirigenti politici.

 

Gianluca Scroccu

PINO CABRAS, Strategie per una guerra mondiale dall’11 settembre al delitto Bhutto, Aisara, pp. 360, € 14,50.
A sette anni dall’11 settembre possiamo, e dobbiamo, riflettere in profondità su questo evento. Troppi sono i buchi neri, troppe le spiegazioni che non convincono, troppe le domande a cui non si è data risposta esaustiva. È da segnalare, quindi, il bel volume “Strategie per una guerra mondiale dall’11 settembre al delitto Bhutto” edito  da Aisara. L’autore, Pino Cabras, giovane studioso sardo che lavora presso una finanziaria d’investimento, ci permette di addentrarci con un gran numero di dati, citazioni, articoli di giornale sui misteri dell’attacco alle Twin Towers sino agli effetti delle guerre in Afghanistan ed Iraq e all’assassinio della leader politica pakistana. Il libro non  ricostruisce solo le spiegazioni assolutamente insoddisfacenti della Commissione sull’11 settembre (due casi su tutti: il crollo dell’edificio 7 del World Trade Center o l’aereo(?) sul Pentagono, in realtà mai visto), ma ricostruisce con estrema accuratezza il clima politico internazionale di guerra e lotta al terrorismo che ha cambiato le nostre vite, su cui è arrivato il momento di interrogarsi per capire se sia veramente giustificato o non, piuttosto, una strategia mondiale in cui i cittadini sono solo vittime di disegni di cui sono tenuti completamente all’oscuro. Un libro importante, per comprendere la crisi della democrazia del nostro tempo ed iniziare a riflettere senza le notizie controllate dei media a servizio dei potenti.

MASSIMO LUIGI SALVADORI, L’idea di progresso. Possiamo farne a meno?, Donzelli, pp. 154, € 13,00.
Saranno in grado gli uomini di progredire sul terreno della politica contemporaneamente ai grandi cambiamenti della tecnologia del XXI secolo? Una domanda quanto mai attuale, quella di Massimo Luigi Salvadori, perché è proprio sulla crisi della politica che si sta misurando l’inadeguatezza delle classi dirigenti, in particolare di quelle italiane. Oggi più che mai si avverte la necessità di un modello di sviluppo diverso rispetto a quello attuale, che metta al centro la lotta al degrado ambientale. E questa sarebbe proprio l’epoca del ritorno ad un pensiero ispirato ai principi del socialismo democratico, lontano da ogni concezione totalitaria del potere ma non per questo prono ai dettami dei modelli neoliberisti che hanno dominato questi ultimi due decenni portando il mondo sull’orlo della catastrofe. Eppure, di questo pensiero che sappia coniugare giustizia sociale e partecipazione, diritti e libertà dell’individuo di vivere pienamente la propria esistenza in una società con forte dimensione civica, non c’è traccia. In questo senso l’attuale generazione di politici alla guida del PD e della fu Sinistra Arcobaleno appare totalmente incapace di poter aprire una prospettiva per una nuova politica progressista che il libro di Salvadori individua con coraggio e acutezza. Per una nuova idea di progresso il rinnovamento è necessario.

 

Antonello Murgia

PAOLO PISU, Figli della società – Carcere, devianza e conflitto sociale. CUEC, pagg. 350, € 22.
Conclusa l’esperienza come Presidente della Commissione “Diritti civili” del Consiglio Regionale, Paolo Pisu ha pensato di mettere per iscritto riflessioni e considerazioni suscitate dall’attività della Commissione ed in particolare dal contatto con il pianeta carcere inteso come operatori istituzionali, come volontariato e come reclusi. Il libro è diviso in una prima parte di inquadramento storico sull’origine del carcere ed una seconda parte nella quale parlano le diverse figure coinvolte, sotto forma di intervista.
Il libro è autorevolmente presentato da Giuliano Pisapia e prefato da Ettore Cannavera, figure importanti da tempo nelle battaglie per un carcere non solo più umano, ma anche più adeguato ai bisogni di sicurezza e di giustizia provenienti dalla società civile.
I meriti principali del saggio consistono nella capacità, dati alla mano, di mettere in discussione stereotipi sul carcere imposti non tanto da una visione autoritaria della società, quanto dai vantaggi che una destra sempre più becera ha capito di poter trarre da una collettività che, opportunamente impaurita, reclama ordine. Le statistiche riportate nel libro ci dicono, appunto, che l’adozione di misure alternative al carcere fa scendere le recidive di reato dal 70-75% al 12-13% con vantaggio per il detenuto, che viene recuperato ad una convivenza civile, ma soprattutto per la società che da un lato subisce minori aggressioni e dall’altro trae importante vantaggio anche economico perché riduce il bisogno di strutture e personale di custodia. A questo proposito, nel libro viene fatto presente il caso degli USA, capofila fra i Paesi democratici dell’approccio cosiddetto “retributivo” (cioè punitivo) e che si ritrovano con una popolazione carceraria che è l’1% della popolazione totale (contro l’1‰ dell’Italia) con costi sociali ed economici spaventosi.
L’umanità delle considerazioni e delle proposte contenute nel libro non cade mai nel buonismo: anzi, viene ricordata la assoluta necessità di aumentare l’attenzione alle esigenze morali e materiali delle vittime dei reati: argomento, questo, sul quale la Commissione parlamentare guidata da Giuliano Pisapia, stava elaborando interessanti proposte prima che la crisi di Governo ne interrompesse l’attività.
La prima presentazione del libro è avvenuta il 25 giugno a Cagliari, sala Cosseddu della Casa dello studente, alla presenza di quasi 200 persone, a testimonianza di una sensibilità presente nella società per la materia. Nell’introdurre i lavori Ettore Cannavera, nel ricordare che il detenuto perde il diritto alla libertà, ma non gli altri diritti, ha informato dell’intenzione ventilata in ambito governativo di abolire la legge Gozzini (pena orientata alla rieducazione del carcerato, introduzione di premialità per buona condotta); tale eventualità ci riporterebbe indietro di più di 20 anni, ad una concezione forcaiola che non giova né al condannato, né, soprattutto, alla società e che è in netto contrasto con l’art. 27 della Costituzione (divieto di pena detentiva in violazione dei diritti umani).

 

Gianluca Scroccu

GIOVANNI MARIA BELLU, L’uomo che volle essere Perón. Bompiani, pp. 356, € 19,00.
Un giornalista sardo che lavora per un importate quotidiano a Roma torna a Cagliari per la morte del padre, vecchio avvocato di simpatie fasciste. Per una serie di circostanze riaffiora il ricordo degli articoli che proprio un amico del padre scrisse negli anni Cinquanta all’interno dei quali si raccontava la storia di Giovanni Piras di Mamoiada, emigrato in Argentina ai primi del Novecento, e che sarebbe diventato poi Juan Domingo Perón, padrone assoluto dell’Argentina.
Un’ipotesi affascinante quanto rischiosa su cui il giornalista sardo si mette ad indagare con costanza e passione, arrivando ad intervistare anche Licio Gelli. Una ricerca su Giovanni Piras/Perón che scorre parallelamente a quella sull’analisi del rapporto con il padre scomparso. Con una bella sorpresa finale.

DEMETRIO VOLCIC, Il piccolo Zar. Laterza, pp. 195, € 15,00
Chi è veramente Vladimir Putin? Su cosa basa il suo potere centralistico? Quali sono le sue strategie contro gli oligarchi arricchiti dalle privatizzazioni durante l’era Eltsin? Quali sono i suoi rapporti con la stampa e la libera informazione?.
Demetrio Volcic, già direttore del TG1 e inviato per la Rai a Mosca, ricostruisce in questo saggio l’ascesa e il consolidamento dell’uomo politico russo. Un’esperienza di governo (che continua anche dopo che alla presidenza della Repubblica si è insediato Medvedev, mentre l’ex agente del KGB è diventato Premier) che ha molti punti di contatto con la tradizione russa, ma che si nutre anche degli elementi di spettacolarizzazione e di concentrazione verticistica del potere che caratterizza l’era della postdemocrazia. 

 

Antonello Murgia 

GIULIO GIORELLO, Di nessuna chiesa. La libertà del laico. Raffaello Cortina, 2005, pagg. 80
Il titolo è assolutamente chiaro, ma la fascetta reca un’ulteriore specificazione: “I laici tendono a difendersi, è tempo di attaccare”. Non so se sia proprio il momento di attaccare; nei tre anni trascorsi dall’uscita del libro la situazione è sensibilmente peggiorata come ci hanno fatto vedere, cito due esempi per tutti, le vicende Papa-Università la Sapienza-inaugurazione dell’anno accademico e Schifani-frequentazioni mafiose-Travaglio. Il potente che dice e fa cose criticabili non può essere contestato neanche indirettamente; questo atteggiamento non viene chiamato opportunismo o piaggeria, viene chiamato tolleranza. Intollerante e fazioso, invece, viene chiamato chi si permette, come Travaglio l’altro giorno, di ricordare cose che il potente non ha piacere si ricordino. Si sono scatenati i cani da guardia ed anche gli aspiranti tali. Ciò che spaventa è la facilità con la quale persone che hanno passato la campagna elettorale a fare i miti e i tolleranti con l’avversario politico, vestono l’abito del chierichetto intransigente nei confronti di chi fa da coscienza critica o da semplice cronista. Non sembra proprio una situazione nella quale siano possibili grandi attacchi laici.
E in effetti, il breve saggio di Giorello, filosofo della scienza ed apprezzato editorialista del Corriere della Sera, non è un’arma letale anticlericale; tra le sue righe si coglie la passione ma non il furore, l’assolutismo è osteggiato da qualunque parte provenga (“Chi è di nessuna chiesa non si ritrova neppure in una chiesa di atei”). Il libro è ricco di citazioni di una parte e dell’altra, alcune delle quali illuminanti: “Vi è la massima differenza tra il presumere che un’opinione è vera perché, pur esistendo ogni possibilità di discuterla, non è stata confutata, e presumerne la verità al fine di non permetterne la confutazione” (John Stuart Mill). Parafrasando l’incipit del Manifesto di Marx, Giorello ci parla di un nuovo spettro che si aggira per l’Europa, il relativismo, per andare a dimostrare come la ricerca della verità sia favorita dall’esistenza di posizioni diverse e il non assolutizzare le proprie convinzioni non è manifestazione di debolezza o lassismo, ma rafforza le convinzioni stesse (purché fossero giuste, in caso contrario ci aiuta a correggere quelle sbagliate). Ancora Stuart Mill “Se si vietasse di dubitare della filosofia di Newton, gli esseri umani non potrebbero sentirsi così certi della sua verità come lo sono. Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate”.
Alla fine del saggio, per chi vuole approfondire, c’è una “piccola biblioteca laica”; piccola, ma “tottu succi”.
Si legge in poche ore, lascia tracce destinate a durare nel tempo. Da consigliare ai chierici di tutte le chiese due volte al giorno: ai pasti e fuori dai pasti.

 

Francesco Cocco

ANTONIO VOLPI, La macchina rossa. Cuec, 2008
E’ tempo di riflessioni sull’assassinio, trenta anni fa, del presidente della D.C. Aldo Moro. In tale ottica possiamo considerare anche il bel racconto “La Macchina Rossa” di Antonio Volpi, firma nota come collaboratore di quotidiani e periodici ma esordiente come narratore. Sbaglieremmo a considerare l’opera di Volpi come qualcosa di contingente, che nasce dai drammatici avvenimenti degli “anni di piombo”, perché è certamente opera destinata a durare oltre la rievocazione di quelle vicende.
La trama del racconto è imperniata su Sesto Paolino, un vecchio cameriere in pensione che occasionalmente, abitando nella stessa via, ha modo di assistere a particolari  riguardanti persone collegate alla Renault rossa dove venne fatto ritrovare il corpo di Moro. La vicenda di un uomo qualunque che inconsapevolmente s’incrocia con la grande storia e finirà per doverne subire le conseguenze.
Opera letteraria scritta con grande finezza narrativa e nel contempo opera di acuta riflessione politica. Vi sono i temi che scossero la società italiana negli anni terribili del terrorismo: dalla invocazione della pena di morte portata avanti soprattutto dalla destra (ma anche il repubblicano Ugo La Malfa si schierò a favore) alla diatriba suscitata dalla contrapposizione tra la linea della fermezza  e quella della trattativa con le “brigate rosse”.
Quella che 30 anni fa seppe resistere  a quelle drammatiche vicende era una società ancora salda nei valori che avevano presieduto alla formazione della nostra democrazia. Erano ancora  presenti in Parlamento molti protagonisti  della Resistenza  e molti padri costituenti. E così prevalse la linea della fermezza che non era mancanza di attenzione all’importanza ed al valore della vita di Moro, più semplicemente  attenzione a non indebolire  la difesa della nostra democrazia.
E’ significativo che da un nucleo di forze favorevoli alla trattativa (leggasi resa dello Stato) sia poi derivato il processo di scadimento complessivo della nostra dimensione di comunità nazionale. Si cominciò allora a teorizzare una sorta di contrapposizione ed un fittizio primato dell’individuo sullo stato. Con ciò ignorando la stretta interrelazione e che sono entrambe facce della stessa medaglia.
La postfazione e la cronologia di quei drammatici eventi sono parti del lavoro di Volpi che  permettono di entrare in una problematica attualissima, e dobbiamo essere grati all’autore che ci consente di affrontarla in un piacevole contesto narrativo.

 

Gianluca Scroccu 

EDOARDO NOVELLI, Le elezioni del Quarantotto. Storia, strategie e immagini della prima campagna elettorale repubblicana. Donzelli, 2008, 16 €, pag. 189, con 82 tavole a colori.
Il 18 aprile del 1948 si svolsero  le prime elezioni politiche italiane secondo la tipologia di una società di massa. Una tappa saliente della nostra storia recente, che vide la durissima competizione tra le forze che sino ad allora avevano governato insieme negli esecutivi nati dal CLN. Novelli ne ricostruisce il clima mettendo in evidenza come in quei frangenti ebbe inizio quella contrapposizione delegittimante tra competitori elettorali (secondo la diarchia amico-nemico), agevolata dall’introduzione di slogan, temi ed iconografie che da allora sino ai giorni nostri hanno continuato a suggestionare, in maniera più o meno latente, la politica dell’Italia Repubblicana.

SERGIO LUZZATTO, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento. Einaudi, 2007, 24 €, pag. 419.
Cosa ha rappresentato la figura di Padre Pio nella storia dell’Italia del Novecento? Perché il suo mito e il suo cristianesimo così “fisico”, popolato di miracoli e visioni capaci di stupire poveri contadini ed intellettuali, appare ancora oggi così forte?
Dopo il recente clamore suscitato dall’esposizione del corpo del santo di Pietralcina, può essere utile riprendere questo bel libro scritto da uno dei migliori giovani storici italiani, docente all’Università di Torino e già autore di fortunati libri sulla Rivoluzione francese e sul corpo di Mussolini e di Mazzini. Luzzatto descrive il rapporto tormentato con le gerarchie della Chiesa e  il contorno dei promotori del culto e del mito del sacerdote con le stigmate (il “partito di Padre Pio”), uomini e donne spesso ambigui e con tratti oscuri se non proprio biechi, sino al vero “miracolo”  del frate, il grande ospedale costruito sulle offerte ma anche tramite i finanziamenti agevolati dell’UNRRA. E ancora i rapporti di Padre Pio con la politica, a partire dal fascismo, sino ai ministri della Repubblica che si recano in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. Una storia di santità, di misticismo e religiosità contaminata dalla politica e dal consumismo, quella che Luzzatto descrive con il rigore e la passione dello storico,  e che segna l’affermazione di un vero e proprio culto di massa verso un semplice frate che secondo gli inviati del Sant’Uffizio aveva una preparazione intellettuale e teologica assai mediocre  e che non si era mai mosso dal suo scalcinato convento, ora sostituito da una chiesa grandiosa disegnata da Renzo Piano.

ANDREA CAMILLERI, Il campo del vasaio, Sellerio. 2008, 12 €, pag. 280.
Torna Montalbano e questa volta per confrontarsi con il corpo di un uomo orrendamente assassinato e ritrovato in un sacco in una giornata di pioggia battente in località “U’ Critaru”, un posto dove i vasai vanno a prendere la creta. Ed ecco che il commissario, mentre sta leggendo “La scomparsa di Patò” di un certo Camilleri, si ricorda la storia de “Il Campo del vasaio” di cui si parla nel Vangelo, ovvero il terreno argilloso comprato dai Sacerdoti del Tempio  con i trenta denari poi rifiutati da Giuda e utilizzato per dare sepoltura agli stranieri. Parte da allora la storia di un delitto solo apparentemente di mafia, dove si incrociano donne sudamericane bellissime, vecchi padrini ma soprattutto tanti tradimenti in cui tutti, compreso Montalbano, si trovano coinvolti. Camilleri ci regala un’altra vicenda coinvolgente del commissario più famoso d’Italia, che ci appare sempre più familiare anche quando invecchia e si tormenta dopo aver sognato di aver ricevuto la richiesta da parte del nuovo Presidente del Consiglio Totò Riina di entrare a far parte del nuovo esecutivo come Ministro dell’Interno……

PIETRO MAURANDI, La ribellione e la rivoluzione. Sardegna Spagnola e Piemontese. Cuec, 2008, 9 €, pag. 104.
Nel 2008 si ricordano due ricorrenze: la morte di Giovanni Maria Angioy, avvenuta nel suo esilio parigino nel 1808, e quella del marchese di Laconi, don Agustin di Castelvì, assassinato a Cagliari nel 1668. Pietro Maurandi torna su quelle vicende con un agile ricostruzione di due momenti fondamentali della storia della Sardegna moderna, ricchi di contraddizioni e di slanci. Percorsi, a suo avviso, da un filo comune al di là delle inevitabili contingenze storiche di due periodi tanto diversi, e da un parallelismo molto forte per quanto riguarda le richieste dei sardi in materia di autonomia da due poteri centrali accentratori e miopi. L’autore ha un merito: aver riproposto, con questo libro, una riflessione più attenta non soltanto sul rivoluzionario Angioy ma anche sui due cugini protagonisti della ribellione del 1688-71, ingiustamente dimenticati e che invece i sardi dovrebbero conoscere: il Marchese di Laconi e quello di Cea.

LEONARDO COLOMBATI, Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano (1972-2007), prefazione di Ennio Morricone. Sironi, 2007, 24 €, pag. 638.
Un libro che non racchiude soltanto i testi originali, con traduzione a fronte e note di commento, di più di cento canzoni di Springsteen dal 1972 sino all’ultimo album del 2007, “Magic”, ma che colloca nella sua giusta cornice la musica e le parole del Boss. Una produzione che si inserisce pienamente all’interno del romanzo popolare americano e che secondo l’autore ha permesso a Springsteen, sulla scia di grandi narratori come Steinbeck o Faulkner, di ripercorrere con passione e poesia la storia sociale e politica degli USA del Novecento sino ad arrivare alle inquietudini e allo smarrimento del post-11 settembre.

CAPAREZZA, Le dimensioni del mio caos. Virgin, 2008.
Torna il cantante di Molfetta con un album che conferma una raggiunta maturità nei testi e nella scelta musicale. Questa volta con un tentativo ambizioso: un “fonoromanzo”, come lo chiama lui, dove si narrano le vicende di Ilaria (sessantottina catapultata nell’Italia di oggi), di Luigi delle Bicocche (operaio impiegato nella costruzione dello “spazio porto”, la grande opera del Partito dell’Uomo Qualunque, che gode di un potere incontrastato), sino alla scimmia Bonobo, più evoluto degli uomini. Perché l’Italia che canta Caparezza è quella reale: ferita dalla precarietà, ma dove tutti sognano di diventare qualcuno grazie alla “Endemol generation” dato che non conta pensare, ma solo apparire nel circuito mediatico. Un consiglio ai dirigenti del PD e della Sinistra Arcobaleno: forse, più dei convegni o delle interviste, per capire l’Italia di oggi e la vittoria di Berlusconi serve anche ascoltare dischi come questo. 

EDDIE VEDDER, Into the wild.  J Records, 2007.
Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, ci regala la colonna sonora dell’ultimo film di Sean Penn “Into the wild”, uno dei più belli e poetici dell’ultimo anno. Musiche essenziali e una voce che ti prende l’anima  dimostrando quanto si possa assaporare al meglio tutta l’intensità della vita umana quando si entra in contatto con la natura astraendosi dalla modernità caotica in cui siamo immersi sino al collo. 

PIETRO BEVILACQUA, Miseria dello sviluppo. Laterza, 2008, 15 €, pag. 264.
Uno dei più importanti storici italiani analizza la fine dello sviluppo che negli ultimi 50 anni ha generato ricchezza in Occidente. Oggi che quel ciclo si sta concludendo, e che le questioni ambientali diventano prioritarie, è necessario riflettere sulla crisi della politica  e dei processi democratici per individuare nuovi modelli che pongano termine allo strapotere dell’economia sulla società.

ALDO MORO, Lettere dalla prigionia, a cura di Miguel Gotor. Einaudi, 2008, 17,50 €, pag. 400.
A trent’anni dalla tragedia che sconvolse la storia italiana, Miguel Gotor riprende, con il rigore filologico dello storico modernista, l’epistolario di Aldo Moro dalla prigione dove l’avevano rinchiuso le BR e ci restituisce la grandezza dello statista, l’umanità ma anche la lucidità di un uomo che tentò sino all’ultimo di conservare la sua lucidità. Un libro importante che ci restituisce lettere bellissime e  che permette di cogliere tanti aspetti del caso per eccellenza della storia contemporanea italiana. 

SALVATORE NIFFOI, Collodoro. Adelphi, 2008, pag. 296.
Niffoi riscrive il romanzo già pubblicato in proprio anni prima. La storia di Antonio Sarmentu, detto Collodoro per via di un fulmine che gli lasciò sul collo il segno di una catenina d’oro e che gli diede il potere di conoscere i peccati degli abitanti di Oropische. Le miserie umana di sacerdoti senza scrupoli, avidi possidenti,  che si intrecciano ad una rivolta popolare contro una discarica imposta dai potenti del luogo.

(A cura di) CECILIA DAU NOVELLI, Nel segno dell’empowerment. Donne e democrazia politica in Italia e nel mondo. Aipsa, 2008, pag. 552.
Ralph Dahrendorf ha scritto giustamente che la politica del XXI secolo non potrà più essere declinata in senso esclusivamente maschile e dovrà vedere sempre più donne ricoprire ruoli di grande responsabilità istituzionale. In proposito appare importante la lettura di questo volume che raccoglie gli atti del convegno tenuto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari nel novembre del 2006. I saggi analizzano le principali connessioni storiche, economiche, sociali e giuridiche relative al rapporto tra donne e politica, spaziando significativamente dalla Sardegna all’Africa, sino all’Asia. Il libro, significativamente, è dedicato a Benazir Bhutto.