Gianfranco Sabattini
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3. Pax americana. Al riguardo, le argomentazioni di Francesco Cocco suggeriscono un giudizio storico sulla presunta responsabilità degli USA rispetto allo stato di crisi attuale del mondo non del tutto fondato Il giudizio risente della cattiva lettura di questa responsabilità causata, forse, dagli effetti deformanti delle “lenti ideologiche” con cui la lettura è effettuata. Sulle implicazioni di questo giudizio vale perciò la pena di spendere qualche parola, nella speranza che possano contribuire ad una migliore comprensione della situazione mondiale attuale.
Se l’attuale stato delle relazioni internazionali viene ricondotto, come fanno coloro che pensano al dominio (non egemonia) statunitense del mondo, ad un modello di organizzazione imperiale, si deve allora riconoscere che tale organizzazione corrisponde ad un ordine dominante non degradato ad ordine coloniale (e, dunque, gerarchico e condizionante) in quanto dotato di una forza egemone condivisa. E’ vero che gli USA esercitano unilateralmente un ruolo incontrastato (almeno per ora) rispetto ai settori strategici del mondo moderno. Militarmente, dispongono di una superiorità mondiale assoluta; economicamente, costituiscono l’economia dotata del maggior potere trainante nei confronti degli altri sistemi economici; tecnologicamente, conservano un primato generale nei campi più avanzati dell’innovazione; culturalmente, infine, dispongono di un soft power, derivante oltre che dal fascino della loro cultura, da quello della natura delle loro istituzioni. L’insieme di tutti questi elementi costituisce ciò che è percepito come imperialismo culturale americano, il quale, anziché sviluppare atteggiamenti ripulsivi, sviluppa atteggiamenti evidenzianti condivisione ed attrazione. Tuttavia, è anche vero che l’egemonia culturale degli USA pone oggi la necessità di un suo esercizio in termini multilaterali. Ciò, per le ragioni seguenti: innanzitutto, perché l’insistenza nell’unilateralismo decisionale nel governo dei rapporti internazionali comporta costi di mantenimento della posizione egemone eccedenti i benefici che da essa possono originare; in secondo luogo, perché tali costi sono ulteriormente inaspriti dall’insicurezza e dall’instabilità delle relazioni internazionali destinate a pesare negativamente sull’approfondimento e sull’allargamento multilaterale del processo di integrazione delle economie nazionali nel mercato mondiale.
4. Di chi è la responsabilità del modo in cui gli USA hanno sinora esercitato unilateralmente la loro egemonia mondiale? La responsabilità viene da lontano e fonda la sua origine nell’attuale ordine mondiale, uscito dagli accordi di Yalta. In quell’occasione, il mondo è stato diviso in zone di influenza tra gli “alleati” usciti vincitori dal secondo conflitto mondiale. Nella previsione di dover gestire il mondo diviso tra i “Big Five” (Cina inclusa) si è pensato anche, prima che il conflitto finisse, di predisporre i “regimi” (ONU, GATT, FMI, ecc.) che avrebbero dovuto consentire il governo delle relazioni internazionali su basi multilaterali secondo Yalta. Sul fallimento della pacifica gestione delle relazioni tra i “Grandi” hanno pesato le diverse considerazioni che gli stessi hanno avuto dei propri interessi nazionali. Se si tiene conto di questo fatto, viene meno l’ipotesi che la responsabilità del controllo unilaterale dei “regimi” sia riconducibile agli USA. Valga a sostegno di questa affermazione la storia del modo in cui si sono svolte le trattative, prima ancora che finisse il conflitto, tra i “plenipotenziari” incaricati di “scriverne” le regole di funzionamento; ovvero, la storia del contrasto sorto e conservatosi tra le posizioni idealistiche di Lord J.M.Keynes (il baronetto che pisciava profumo, come è stato definito da H.D.White), che proponeva il funzionamento del FMI sulla base di un segno monetario virtuale, il famoso Bancor, e le posizioni realistiche di H.D.White (il superfunzionario statunitense che parlava cherokee, come è stato definito da J.L.Keynes), che proponeva, invece, la messa a punto un sistema monetario internazionale egemonizzato dalle Banche Centrali dei “Grandi” e fondato sul congelamento dei movimenti dell’oro (gold exchange standard), che, ironia della sorte, era stato proposto all’indomani della prima guerra mondiale dallo stesso Lord J.M.Keynes alla Conferenza di Rapallo del 1922, proprio per impostare su nuove basi il regolamento internazionale dei debiti e dei crediti che fossero nati dal rilancio del mercato mondiale.
Perché è fallita l’idea del Bancor ed è stata, invece, accolta l’idea del gold exchange standard, il cui funzionamento ha pesato unicamente sugli USA ed ha favorito il consolidamento dell’esercizio unilaterale della “forza” che dal funzionamento di quel sistema monetario internazionale è derivato? Prescindendo dalle posizioni ideologiche preconcette, non si può non riconoscere (a parte il getto della spugna da parte di Cina, Francia e Gran Bretagna), che la responsabilità sia ricaduta anche sulla stessa URSS, a causa, come prima si è detto, della diversa concezione che ognuno dei “residui Grandi” aveva dei propri interessi nazionali. Com’è noto, gli USA erano per una difesa dei propri interessi fondata sul rispetto del principio di nazionalità e del principio di distribuzione a livello mondiale delle risorse economiche strumentale alla realizzazione di condizioni di pace e di stabilità; principi questi totalmente disattesi dall’URSS, che, ha preferito fondare la propria sicurezza nazionale unicamente sulla profondità territoriale, per realizzare la quale gli è stato necessario pretendere variazioni territoriali ai danni delle nazionalità contermini; inoltre, poiché l’ideologia prevalente nell’URSS era influenzata fideisticamente dall’idea di V.I.U.Lenin (L’imperialismo fase suprema del capitalismo) che l’imperialismo fosse appunto la fase ultima del capitalismo e che la guerra, perciò, secondo le analisi economiche di Eugen Varga (La crisi del capitalismo e le sue conseguenze economiche), fosse un evento che l’URSS dovesse prepararsi ad affrontare a breve scadenza, “rinchiudendosi” al proprio interno e calando la famosa “cortina di ferro”, la cui natura non ha lasciato dubbi riguardo all’obiettivo cui fosse diretta.
La prosecuzione dell’edificazione del socialismo in condizioni di un presunto accerchiamento, perciò, ha implicato anche il sacrificio del secondo principio, la distribuzione funzionale delle risorse a livello mondiale per il corretto funzionamento delle istituzioni internazionali reso possibile dalla ricostruzione delle basi produttive dei sistemi economici che maggiormente avevano subito gli esiti negativi della guerra. Tutto ciò però in condizioni di “cieli aperti”, che l’URSS non ha potuto accettare, in quanto doveva preparasi alla guerra. E’ nata così la posizione pressoché isolata degli USA che hanno dovuto, loro malgrado, accollarsi il costo della ricostruzione di quella parte del mondo al di qua della cortina di ferro, salvo poi assistere alla nascita all’interno della stessa URSS di un interesse alla pace, allorché le idee sull’inevitabilità della guerra incominciarono a divenire obsolete.
5. Domanda. Questa improvvisa scoperta dell’utilità della pace che cos’altro è se non la presa di coscienza che al conflitto è sempre preferibile la cooperazione e la riconduzione degli stessi conflitti sotto il mandato della ragione? Trascuriamo di perdere tempo nel dibattere a chi sia da ricondurre la responsabilità di quanto è accaduto; prendiamo coscienza del tempo presente e, per tutte le situazioni conflittuali esistenti, chiediamoci quale sia il modo migliore per risolverle, nella certezza però che oggi, ironia della sorte, governare a livello planetario le relazioni internazionali è molto più difficile di quanto non fosse all’indomani della fine della secondi guerra mondiale; ciò perché, a fronte della richiesta di una multilateralità nel governo delle relazioni internazionali avanzata nei confronti delle posizione egemone degli USA, si nasconde oggi la sola pretesa, da parte di molti sistemi economici integrati nel mercato mondiale, di “appropriarsi” in esclusiva di una parte dei vantaggi derivanti dalla posizione egemone degli USA, senza però accollarsene i costi. Quest’ultima affermazione deve essere spiegata, perché sia rimossa l’idea che dei mali del mondo siano responsabili sempre ed in ogni caso soltanto gli USA.
Nella fase attuale di conflittualità generalizzata a livello mondiale, l’idea di un ridimensionamento degli USA sul piano della pura forza sarebbe un non-senso; significherebbe scontrarsi con il sistema economico dotato, lo si è già detto, della maggior “potenza” (non solo economica), senza che dallo scontro ci si possa illudere di ricavare un qualche vantaggio. In presenza di questa conflittualità (della quale è possibile avere contezza osservando i ricorrenti atteggiamenti di tutti i paesi del mondo presenti all’interno dell’unica istituzione mondiale, l’ONU, che molte “anime pure” continuano ancora oggi, anziché adoperarsi per cambiarla, a considerare democratica), gli USA hanno prevalentemente privilegiato, pur consapevoli del paradosso della loro potenza (gli USA senza gli altri non vanno “lontano”, ma gli altri senza gli USA possono solo “stare fermi”), l’unilateralismo (J.S.Jr. Nye, Il paradosso del potere americano. Perché l’unica superpotenza non può più agire da sola, 2002; R.M. Unger, Democrazia ad alta energia. Un manifesto per la sinistra del XXI secolo, 2007).
Perdurando questa situazione, gli USA possono continuare a godere unilateralmente della loro egemonia, con la “cattura” del consenso di molti paesi integrati nel mercato mondiale attraverso i flussi di risorse che possono indirizzare verso di loro attraverso i “regimi” internazionali dei quali sono, come si dice, gli “azionisti di riferimento”. Per fare ciò, gli USA devono garantire l’equilibrio macroeconomico a livello mondale, pena, se ciò non accadesse, una crisi generalizzata della quale tutti (USA inclusi) subirebbero gli esiti negativi; ma per garantirsi le risorse da “elargire” (a vario titolo), gli USA devono poter disporre del risparmio di chi consuma meno di quanto produce. Nella fase attuale, chi registra avanzi nei propri conti interni ed esteri di grandi dimensioni è la Cina, la quale può cosi utilizzare il proprio risparmio sottoscrivendo i titoli del debito pubblico americano. In tal modo, gli USA si indebitano “elargendo” risorse ai paesi che prefigurano una domanda che in qualche modo serve a giustificare l’accreditamento della Cina, la quale può stare così sicura dei propri capitali prestai agli USA in quanto questi, all’interno del WTO, “consentono” alla Cina flussi di esportazioni verso i paesi finanziati dagli USA. Accade così che gli USA si indebitino per “egemonizzare” il mondo, mentre la Cina si accredita per continuare ad espandersi. Ho considerato la sola Cina per fissare meglio le idee, ma in questo gioco “perverso” sono coinvolti una moltitudine di paesi tutti produttori di risorse strategiche, per cui anch’essi, assieme alla Cina sono delle utili stampelle per l’azione con cui gli USA, sospettati d’essere gli unici dominatori del mondo, “governano” il mondo.
Stando così le cose, a che serve continuare ancora a crogiolarsi nel sospetto che l’origine dei mali del mondo siamo gli USA? Con ciò non si vuole certo dire che si debba accettare una condizione di minorità nei confronti degli USA, né che si debba continuare ad accettare “l’egida americana”; significa solo prendere coscienza del fatto che responsabili dei mali del mondo sono oggi molti paesi, i cui egoismi sarebbero meglio gestiti all’interno di una prospettiva di cooperazione anziché conflittuale; ed una Sinistra al passo coi tempi, anziché sprecarsi nel contestare di continuo il ruolo degli USA nel mondo, sarebbe più opportuno per tutti che, pur tenendo presenti i propri valori del passato, abbandonasse il pregiudizio conflittuale anti-USA, per elaborare una strategia comportamentale, sul piano politico, che privilegi il cambiamento del mondo non attraverso, come dice Unger, una continua dipendenza dall’emergenza di situazioni di crisi, ma dalla riconduzione di tutte queste situazioni alla ragione nell’interesse di tutti.