Gianfranco Sabattini
1. La Sinistra politica, pilastro tradizionale della dialettica politica all’interno dei paesi democratici, sembra aver smarrito, almeno in Italia, gli obiettivi che erano valsi a definire la sua identità nei quasi due secoli in cui si è formata e sviluppata. Il crollo del comunismo reale e l’abbandono da parte dei partiti socialdemocratici della nazionalizzazione dei mezzi di produzione l’hanno resa orfana di ogni valido paradigma di riferimento. Attualmente, stando agli atti fondativi di nuovi soggetti politici che si dicono di Centrosinistra ed ai contenuti del loro programmi elettorali, sembra addirittura essere diventata la Sinistra della Destra, nonostante che, dacché è nata, la Sinistra politica abbia sempre perseguito la regolazione di un sistema sociale che, liberato dagli esiti degli “animal spirit” del libero mercato, consentisse a tutti gli esseri umani di vivere in armonia e di svilupparsi cooperando gli uni con gli altri.
2. La Sinistra, dunque, per riproporsi oggi, ha bisogno di un nuovo paradigma identitario, anche in considerazione del fatto che il movimento sindacale, dopo aver rappresentato un valido punto di forza nella formulazione e nell’attuazione delle sue proposte politiche, ha perso e continua a perdere gran parte della sua forza e della sua reputazione a seguito del processo di erosione dell’organizzazione degli stati nazionali a causa dell’allargamento e dell’approfondimento del processo di globalizzazione. Quale può essere oggi il paradigma idoneo a ridare alla Sinistra visibilità politica e nuovo ruolo sociale? Esso può essere derivato solo dall’abbandono delle ormai obsolete vecchie qualifiche “di Sinistra” e “di Destra” e dalla assunzione, a livello nazionale ed a livello internazionale, di due obiettivi riformisti tra loro interconnessi: 1. sostituzione del conflitto con la cooperazione nella regolazione del funzionamento dei sistemi economici e dei rapporti tra essi e 2. soluzione del connesso problema della giustizia distributiva, realizzata su basi collaborative e non conflittuali, nel rispetto dello sviluppo e della dignità dell’uomo (P.Singer, Una sinistra darwiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, 2000; R.Mangabeira Unger, Democrazia ad alta energia. Un manifesto per la sinistra del XXI secolo 2007; G.Sabattini, Riforma del welfare state e problema distributivo nell’economia di mercato, 2007).
3. Le “sigle” Sinistra e Destra hanno perso il loro originario significato. Lo dimostra il fatto che alcuni, che continuano ad ispirarsi al vecchio liberismo della Destra tradizionale, avanzano spesso delle proposte che non esitano a definire di Sinistra, approfittando del fatto che i partiti della vecchia Sinistra, ormai privi di ogni capacità progettuale ed aperti ai suggerimenti propri della Destra, sono percepiti come gli unici in grado di assicurare attuazione alle proposte dei partiti della Destra solo perché dispongono, quando accade, di un maggior consenso elettorale. Ma soprattutto lo dimostra il fatto che scrittori e studiosi di “chiara fama”, quali John Lloyd, A.Giddens, R.Dahrendorf ed altri, riflettendo sul possibile ruolo futuro dell’”idea socialista”, accolgono nelle loro riflessioni contributi di pensatori, quali John Rawls, Amartya Sen, Ronald Dworkin ed altri, che si collocano, con le loro teorie sullo sviluppo e sulla dignità dell’uomo, dal lato del pensiero liberale moderno (che non ha nulla da spartire con il vecchio liberismo o con il nuovo neoliberismo).
Il paradigma che potrà dare nuova visibilità al pensiero della Sinistra ed indicare il nuovo ruolo che esso potrà svolgere nella soluzione dei problemi del mondo di oggi, perciò, dovrà presupporre innanzitutto che tutti coloro che condividono gli assunti che sono stati un tempo patrimonio culturale della Sinistra siano individuati come Riformisti ed il loro partito denominato Partito Riformista, in quanto ispirato al riformismo, implicante un costante adeguamento, nel perseguimento dei due obiettivi fondanti il nuovo paradigma del riformismo politico, della struttura istituzionale del sistema sociale al continuo cambiamento delle forme di produzione. All’opposto, si dovrà parlare di Conservatori e di Partito Conservatore, in quanto ispirato al conservatorismo, al liberismo “vecchia maniera” o al neoliberismo, che, all’adeguamento della struttura istituzionale al cambiamento delle forme di produzione, privilegia “interventi gattopardeschi” per conservare le posizioni di vantaggio e di rendita dei gruppi sociali che le hanno ereditate dal passato.
Il cambiamento delle denominazioni non è “cosa da poco”; come acutamente osserva Roberto Mangabeira Unger se l’idea socialista deve essere riproposta “in una nuova situazione attraverso un nuovo progetto”, quest’ultimo “richiede la reinvenzione dell’idea preesistente”, la quale però richiede, a sua volta, una nuova denominazione; ciò, in quanto, come Roberto Unger stesso osserva, l’idea socialista nella sua versione democratica non è stata meno responsabile di tutte le altre idee di “sinistra” (del socialismo reale o del keynesismo interventista) d’aver sempre fatto dipendere la dinamica istituzionale da situazioni di crisi o da traumi sociali considerati quali unici rimedi alla mancanza del cambiamento istituzionale e di aver sempre perseguito la giustizia distributiva tramite procedure ridistributive che non hanno mai mirato al potenziamento, come sostiene il pensiero liberale moderno, della libertà positiva (libertà di e non solo libertà da) dei singoli soggetti all’interno dei sistemi sociali.
4. Riguardo all’assunzione dei due obiettivi riformisti prima indicati, il primo dovrà implicare per il Partito Riformista il ricupero del concetto gramsciano di egemonia in una prospettiva democratica. In questa prospettiva, la conservazione dell’ordine istituzionale dell’economia di mercato dovrà dipendere dalla capacità dei gruppi egemoni di coordinare, con le loro azioni e le loro decisioni, i propri interessi con gli interessi dei gruppi subordinati, per la soddisfazione su basi cooperative di tutti gli interessi coinvolti. Il coordinamento degli interessi dovrà comportare che il problema distributivo del prodotto sociale tra percettori di profitti e percettori di salari si traduca, non solo in uno “scambio” compensativo tra presente e futuro, tra consumo immediato ed investimenti, ma anche tra salari correnti e salari futuri. Il coordinamento degli interessi dovrà anche comportare che la distribuzione del prodotto sociale tra profitti e salari non sia più espressa, almeno in parte, dal mercato e che l’accesso al reddito sia esteso a tutti indistintamente i “cittadini” (occupati e non) sulla base di decisioni politiche sotto forma di reddito di cittadinanza.
Il secondo obiettivo, connesso al primo, dovrà implicare il perseguimento dell’obiettivo della giustizia distributiva mediante la procedura suggerita da J.Rawls (Una teoria delle giustizia, 1983; La giustizia come equità, 1995; Il diritto dei popoli, 2001; Dalla giustizia come equità al liberalismo politico, 2001) e di A.Sen (La disuguaglianza. Un riesame critico, 2000; Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, 2001), secondo le precisazioni di R.Dworkin (Virtù umana. Teoria dell’uguaglianza, 2002; La democrazia possibile. Principi per un nuovo dibattito politico, 2006), per “mettere a fuoco” il criterio in base al quale i responsabili della politica ridistributiva appartenenti ad un dato sistema sociale operino le loro scelte in modo da legittimare anche una ineguale distribuzione del prodotto sociale sotto il vincolo che, in ogni caso, siano migliorate le condizioni dei più svantaggiati, purché non siano compromessi i principi posti a presidio dello sviluppo e della dignità dell’uomo.
R.Dworkin chiama questi principi “principi della dignità umana”: il primo (principio del valore intrinseco) afferma che ogni vita umana ha un suo particolare valore oggettivo, per cui una volta che una vita umana è cominciata è positivo che riesca a realizzare il suo potenziale, mentre è negativo che fallisca ed il suo potenziale vada disperso; il secondo (principio della responsabilità personale) afferma che ogni soggetto è responsabile del successo della propria vita, nel senso che è responsabile della scelta del tipo di vita da condurre per auto-realizzarsi, per cui non deve consentire ad alcuno di dettare i suoi valori personali, in quanto la loro scelta dovrà riflettere una sua valutazione di fondo su come gestire la propria responsabilità per la propria vita. I due principi, considerati congiuntamente, costituiscono la base e le condizioni della dignità umana; i principi sono individualistici nel senso che attribuiscono valore e responsabilità ai singoli soggetti, senza tuttavia presupporre che il successo di una vita singola possa essere realizzato indipendentemente dal successo della società della quale è parte. Ovviamente, i principi individuali non sarebbero proponibili come base comune condivisa se fossero individualistici in questo senso. Sulla base del metodo descritto dovrà essere perseguito anche l’“aggancio” della politica distributiva nazionale a quella internazionale per migliorare le prospettive dei sistemi economici più svantaggiati, all’interno di un mondo globalizzato caratterizzato da minori squilibri e perciò da minori conflitti. In questo caso i principi della dignità umana dovranno essere intesi e percepiti come principi dello sviluppo e della dignità dei popoli.
Sul problema dei rapporti tra sistemi sociali diversi, l’idea di R.Unger di rinnovare la regolazione attuale secondo modalità riformatrici e pacifiche si rivela particolarmente proficua. Una riforma delle regole attuali non potrà mai essere l’esito di azioni conflittuali rivendicative condotte contro la superpotenza, gli USA, indicata come la causa prima delle disuguaglianze mondiali oggi esistenti. Ciò significa che al cuore della dinamica regolativa dei rapporti internazionali squilibrati oggi esistenti dovrà esserci un accordo, nel senso che tutti i sistemi sociali del mondo dovranno riconoscere, pur rifiutandone la legittimità, lo stato di fatto della posizione dominante statunitense. Ciò, però, dovrà avvenire in cambio di una progressiva apertura della superpotenza al pluralismo mondiale, nell’assunto che essa, per sottrarsi agli esiti di un’anarchia internazionale, accetterà una regolazione delle relazioni internazionali più aperta e democratica, in quanto non sarà disposta a “pagare” il costo (economico e politico) nel caso di una sua persistenza nel pretendere di governare unilateralmente il mondo, senza tener conto della necessaria multilateralità ed inclusione degli altri sistemi sociali.
5. Una politica distributiva (a livello nazionale ed a livello internazionale) ispirata ai principi distributivi dworkiniani garantirà sempre la connessione che deve esistere tra scelte personali e realizzazione del valore della vita che, per il principio della responsabilità personale, costituisce un vincolo imprescindibile. Una politica distributiva che risultasse ispirata ai soli principi di J.Rawls o di A.Sen e che definisse la posizione dei più svantaggiati solo in funzione della quantità di risorse delle quali dispongono senza alcuna considerazione delle scelte e delle responsabilità personali e senza alcuna distinzione tra quelli che sono in condizioni svantaggiate loro malgrado da coloro che lo sono perché hanno scelto di lavorare poco non differirebbe, in linea di fatto, da una politica distributiva implicante la realizzazione di una condizione di uguaglianza ex-post.
Per queste ragioni, la parificazione delle opportunità secondo i principi dworkiniani dovrà implicare un’uguaglianza ex-ante e non un’uguaglianza ex-post. All’interno di un sistema sociale, si realizza un’uguaglianza ex-ante quando le differenze di risorse fra i cittadini possono essere spiegate in funzione delle loro scelte e quando il cumulo di risorse delle quali dispongono dipende solo da queste scelte senza essere influenzato dalla fortuna, dal talento e dallo stato di salute fisica e mentale; in tal modo, quando il cumulo di risorse di un soggetto scende al disotto del livello al quale si attesta quello degli altri soggetti, la società politica impegnata ad assicurare l’uguaglianza ex-ante provvederà a garantirgli, mediante procedure ridistributive, la posizione che avrebbe avuto in assenza di sfortuna e di deficit di talento e di stato di salute fisica e mentale. Detto in altri termini, l’uguaglianza ex-ante sarà realizzata quando la società politica garantirà ai singoli soggetti una posizione ugualitaria, non in termini di risorse, ma in termini di possibilità, rimuovendo tutte le circostanze che possono concorrere a penalizzare una parte dei soggetti che compongono la società civile. L’uguaglianza delle posizioni ex-ante sarà sicuramente meno “generosa” della completa uguaglianza ex-post; essa, però, presenterà il vantaggio d’essere compatibile con il rispetto dei principi che presidiano lo sviluppo e la dignità dell’uomo (o dei singoli sistemi sociali nell’ipotesi che il riferimento sia quello dei rapporti internazionali).
6. Il perseguimento dei due obiettivi, precedentemente illustrati e costituenti il paradigma identitario del Partito Riformista, secondo le modalità indicate varrà anche a ricuperare il ruolo rinnovato dei sindacati, i quali, potranno così riorientare la loro “mission”, da presidio del livello salariale della sola forza lavoro occupata, in presidio del costante coordinamento degli interessi dei percettori di profitti con gli interessi dei percettori di salari, ovvero di tutta quanta la forza lavoro, per l’introduzione del salario di cittadinanza e per realizzare l’interdipendenza della politica distributiva nazionale con quella internazionale.
La formulazione del nuovo paradigma del modo di pensare proprio del riformismo politico non potrà essere derivata attraverso un qualche patto elettorale, ma solo attraverso un’elaborazione teorica e politica che implichi il coinvolgimento del maggior numero possibile di soggetti e non solo dei vertici litigiosi dei partiti storici che affermano di appartenere ad una Sinistra che ha ormai smarrito ogni suo originario significato.