“L’Afghanistan è un gran casino”: parola del gen. Mini

24 Settembre 2009
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Red

In questi giorni se ne sentono un po’ di tutti i colori circa la presenza militare italiana in Afghanistan, tanto che spesso si rischia la confusione. Per comprendere quanto sta accadendo da quelle parti, Massimo Marini ci segnala questa intervista del Generale Mini, comandante delle operazioni a guida NATO in Kosovo nel 2002; è stata rilasciata a Caterpillar su radio2 il 17 settembre ed è particolarmente chiara e interessante. Per ovvie ragioni alcuni passaggi sono stati adattati e sintetizzati. L’intera intervista è scaricabile dal sito di Caterpillar in podcast.

D. Generale Mini, ci aiuta a capire che cos’è adesso l’Afghanistan?

R. L’Afghanistan adesso è un gran casino. Una situazione altamente instabile dovuta ad una situazione politica che si è aggravata con queste elezioni, e una situazione militare sul terreno che vede ormai i talebani, ma anche ribelli e milizie dei signori della guerra, avere in pratica il controllo pressoché totale di gran parte del territorio afghano.

D. Secondo lei la missione che stiamo portando avanti con la Nato sta dando i risultati sperati, oppure le tante strategie fin qui applicate non si sa ancora bene dove ci stanno portando?

 R. E’ questo infatti il fattore più devastante dal punto di vista psicologico. Noi abbiamo avuto una prima strategia fondamentale che era quella promossa con la costituzione di ISAF, il contingente internazionale sotto l’egida dell’ONU che doveva soltanto stare a Kabul e fare in modo che ci fosse abbastanza sicurezza per poter permettere al primo governo transitorio di Karzai di rafforzarsi e assumere una parvenza di controllo politico dell’Afghanistan. Da questa strategia, che era abbastanza chiara e che aveva dei fini e dei compiti molto precisi e limitati, e che abbiamo iniziato con appena 7mila uomini, abbiamo ottenuto grandi risultati: una Costituzione, la formazione di un nuovo Stato, un nuovo Governo, un nuovo Parlamento, le istituzioni democratiche che più o meno si sono messe in piedi. Proprio nel periodo in cui gli uomini erano pochi ma i concetti erano chiari. Quando nel 2003 la NATO ha voluto subentrare, e lo ha fatto un maniera surrettizia – non c’è stata mai infatti una risoluzione del consiglio di sicurezza che approvasse la NATO prima del 2006, ha preso il sopravvento e soprattutto ha cominciato i grandi piani di allargamento della sua giurisdizione su tutto il territorio andando a confondersi, e questo è stato un errore fondamentale, con l’operazione che nel frattempo gli americani stavano conducendo. Enduring Freedom era in realtà una guerra, una guerra vera e aperta che non si conciliava con la missione di ISAF della quale gli italiani fra l’altro erano grandi promotori e grandi sostenitori. Da questo errore è venuta fuori una serie quasi infinita di incidenti (intesi come attentati e attacchi diretti e organizzati alle postazioni militari straniere). I talebani e i signori della guerra si sono rafforzati e hanno cominciato ad allargarsi sul territorio fino a quando si è arrivati all’incredibile dato statistico del novembre 2005 che riportava 380 incidenti contro le postazioni straniere – quando appena nove mesi prima non si arrivava a 100.

D. Che cosa fanno adesso i militari italiani in Afghanistan, come attività concreta e come senso politico?

R. Prima di tutto aiutare e addestrare le forze armate afghane a darsi una parvenza di autosufficienza - e non è facile perché mancano mezzi e motivazione. Con i PRT (gruppi di ricostruzione su base provinciale) stanno conducendo vari progetti di ricostruzione, tenendo i rapporti ma soprattutto il controllo del territorio su tutta la parte nord-occidentale del Paese (Herat), una zona che è sempre stata tranquilla fino a quando da pochi mesi anche a Farah, subito sotto Herat, sta cominciando ad intensificarsi l’attività dei signori della guerra contro le postazioni italiane. La situazione va degenerando perché non c’è più una strategia chiara, non si sa più bene quale sia lo scopo finale. Si dice che si deve vincere ma non si sa più che significato ha la vittoria. Vincere che cosa? Vincere la resistenza dei Talebani e degli pseudo-talebani? Vincere il consenso della popolazione?

D. Trovare Bin Laden?

R. Trovare Bin Laden non è mai stato un compito di ISAF, ma di Enduring Freedom. La guerra degli americani era rivolta esclusivamente a battere Al Qaeda, Bin Laden e il terrorismo islamico sul territorio. ISAF è una missione di cooperazione, di aiuto, di sicurezza. La guerra a Bin Laden era un problema degli americani. Poi, di recente, con l’unificazione di ISAF e di Enduring Freedom i compiti si sono intrecciati però le singole nazioni della NATO non tutte hanno sposato il compito di andare a cercare attivamente terroristi molte nazioni si sono riservate il diritto di rifiutare. Non l’Italia.

D. Gli afghani la percepiscono questa differenza?

R. Assolutamente no, e non l’accettano nemmeno. Gli afghani vedono tutte le truppe straniere nella stessa condizione. Ci sono due grandi categorie di afghani: quella che ritiene la presenza straniera utile e indispensabile – una minoranza di istruzione e estrazione sociale medio alta; e la grande massa che ritiene gli stranieri causa delle ritorsioni talebane sulla popolazione inerme, e delle morti sempre più frequenti date dai numerosi e disastrosi danni collaterali.

D. Sicurezza e ricostruzione: non sarebbe meglio che a gestire la ricostruzione fossero dei civili e non dei militari?

R. Questo è un punto controverso e ambiguo: da un lato la gestione diretta dei militari di questi programmi (i PRT) ha portato a dei risultati di tipo spionistico (ti faccio il ponte, mi dici dove si nasconde Tizio). Con il tempo però, e con l’avanzata dei talebani, questo sistema si sta rivelando sempre più inefficace, ed anzi, la presenza dei militari anche in operazioni di ricostruzione innervosisce ancora di più il territorio

D. Obama?

R. Il fatto che non abbia ancora deciso come intende portare avanti la missione, non è necessariamente un segnale negativo. Significa che non sta cedendo ai generali c.d. “falchi” che vorrebbero risolvere la situazione mandando più uomini, più mezzi e più risorse. Negli ultimi 4 anni si è passati da 7mila a 100mila uomini e la situazione non ha fatto altro che peggiorare. Però ora è arrivato il momento di decidere.

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