Manuela Scroccu
Il brutale omicidio di Sanaa Dafani, diciottenne uccisa dal padre marocchino, ci riporta con la memoria ad un altro feroce episodio di cronaca di qualche anno fa. Anche allora la vittima era una giovane donna imata di seconda generazione, così si chiamano quei ragazzi e quelle ragazze nati in Italia o comunque arrivati qua in giovane età per ricongiungersi alla famiglia. Hina Saleem, questo il suo nome, venne uccisa a coltellate e seppellita nell’orto di casa dal padre e da alcuni familiari. Anche Hina, come Sanaa, aveva lasciato la famiglia per iniziare una vita in comune con un ragazzo italiano.
Due padri che scelgono di dare la morte con le proprie mani alle proprie figlie. Due madri che, dovendo scegliere tra la figlia morta e il padre che l’ha massacrata, sembrano scegliere quest’ultimo, chissà quanto consapevolmente. Anche le fotografie pubblicate dai giornali sono simili e mostrano due ragazze giovani, sorridenti e felici. Sembrano scorrere su binari paralleli, le vite di Sanaa e di Hina, anche nelle sterili polemiche e semplificazioni che di quei poveri corpi straziati si sono nutrite.
E’ stato facile agitare lo spettro del delitto di matrice “islamica”, per i fautori della guerra di civiltà e dell’impossibilità dell’integrazione nell’Islam nella nostra cultura. Il becero clima culturale che sembra dominare un’Italia che non riesce ad indignarsi per 75 uomini e donne lasciati a morire in mare, è terreno fertile per l’ultima crociata, quella contro la società multienica, nemico da contrastare e ultimo inganno buonista della sinistra che vuole aprire i confini ai barbari. La storia di Sanaa è diventata la storia di questo muro, di questa logica del “noi contro di loro” e “ognuno a casa sua”. Una storia sottratta con cinismo alla ragione e alla compassione, per essere brandita all’ingresso delle moschee dalle neo femministe del Billionaire.
Tutto questo osceno farfugliare di burka, islam e scontro di civiltà è stato in grado di oscurare ancora una volta, così come per Hina, i veri nodi della questione. Nodi difficili da dipanare per una società civile sempre più sfilacciata e priva di basi solide.
Possiamo accontentarci, anche se tale ragionamento è sostenuto da un robusto fondamento culturale e giuridico, di considerare l’omicidio di Sanaa un delitto patriarcale, non diverso da quelli perpetrati da italiani contro mogli, amanti, figlie, sorelle che riempiono i trafiletti di cronaca nera nella cattolicissima provincia italiana? Davvero pensiamo che, per garantire la riuscita di quel modello democratico e multietnico in cui crediamo, sia sufficiente ridurre ed accelerare, per chi arriva nel nostro paese portando con se un bagaglio culturale a volte profondamente diverso dal nostro, i tempi di maturazione e di acquisizione di diritti che neppure noi consideriamo del tutto acquisiti?
La concezione patriarcale della famiglia è stata sicuramente più rilevante, nella triste fine della giovane Sanaa, di una presunta motivazione religiosa. Ma il patriarcato non è un mito senza tempo e senza storia: si è sempre sviluppato in contesti sociali e culturali ben definiti, islam compreso, ed è oggi accentuato dalla tensione culturale e sociale dell’immigrazione.
C’è una distanza abissale tra l’enormità di questa sfida e le megere urlanti anti burka. Serve un nuovo sguardo che sappia riconoscere e ricomprendere i problemi delle nuove cittadinanze e insieme il vecchio maschilismo di casa nostra. Serve una scuola laica e accessibile a tutti, servono più fondi per i centri di ascolto e le case per le donne maltrattate. Ma soprattutto abbiamo bisogno di riflettere su ciò che distingue la repressione dalla cultura differente. La strada che conduce all’affermazione delle libertà femminili non può, quindi, che essere una, quella della contaminazione e del confronto.
1 commento
1 Monica
26 Settembre 2009 - 11:26
Ieri sera gaurdando a trasmissione di Lamberto Sposini sono rimasta molto perturbata e dentro di me si sono scatenate delle emozioni forti.
Queste ragazze come Sanaa e Hina e tante altre ragazze, non meritavano di morire in modo così atroce e violento, soprattutto uccise dal sangue del proprio sangue, poichè chi gli ha dato la vita gliela ha tolta.
Io abito in Svizzera e qui se ne sentono forse meno di storie così, ma vi prego, voi in Italia fate il possibile affinchè avvenimenti di questo genere non si ripetano più e che la dignita della donna straniera non venga più calpestata.
Grazie.
Monica
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