A 20 anni dall’89

25 Settembre 2009
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Francesco Cocco

Si moltiplicano le opere dedicate agli eventi che 20 anni or sono sconvolsero gli equilibri seguiti alla Seconda Guerra Mondiale (crollo del muro di Berlino, caduta dei regimi. dell’Est-Europa, implosione dell’Unione Sovietica). “Democrazia-oggi” si è già occupata, di qualcuna di queste opere, ad esempio con la recensione di Gianluca Scroccu del libro “Qualcuno era comunista” di Luca Telese. Altre è giusto tenerle presenti (e possibilmente leggerle) per capire a fondo certa dimensione di anticomunismo in cui l’antica ripulsa prevale sullo sforzo di comprensione (per tutte “ Il 1989” di Enzo Bettiza). Ecco ora sul tema una riflessione di Francesco Cocco

Gli eventi dell’89 se non hanno determinato “la fine della storia” hanno certamente segnato il tramonto di certa storia quale era andata svolgendosi dalla Prima Guerra Mondiale in poi. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 aveva dato corpo all’idea che fosse possibile, sulla base di un processo di volontà, risolvere le grandi contraddizioni della società anticipando i tempi del progresso umano. Forse, alla luce degli eventi di settant’anni dopo, è possibile affermare che le utopie legate alla Rivoluzione del ‘17 sono state mere fantasticherie. Affermarlo è facile ma semplicistico perché significa negare il forte contenuto di progettualità presente in esse. E’ ipotizzabile che avrebbero potuto portare ad esiti storici ben diversi se gli indirizzi di stampo staliniano della Terza internazionale non avessero finito per prevalere, facendo leva sul conservatorismo della burocrazia del partito e dello stato della neonata Unione Sovietica.
Per altro verso la storia del movimento operaio non esauriva sé stessa nella realizzazione di quello che nel dopoguerra verrà chiamato “socialismo reale”. Vi erano altre scuole di pensiero che, pur richiamandosi ad una comune ispirazione di matrice marxiana, andavano sviluppando modelli differenti. Così, ad esempio, la socialdemocrazia tedesca ha dichiarato di voler superare il riferimento unidirezionale al pensiero di Marx solo a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Ed in Italia i massimi esponenti del PSDI dichiaravano di non rifiutare il richiamo a quel pensiero.
Il dramma per il movimento operaio (semplificando al massimo per economia di discorso, anche col rischio dello schematismo) è stato che le due anime del socialismo (quella comunista e quella socialista) non si sono sviluppate sulla base di un reciproco riconoscimento ma il più delle volte in una continua guerra senza esclusione di colpi. Non si dimentichino le accuse di “social-fascismo” rivolte negli anni 30 dallo stalinismo alla componente socialdemocratica. La lotta al nazi-fascismo facilitò per molti versi l’avvicinamento tra le due anime per far fronte al comune nemico. Finita quella fase storica, i legami tornarono ad allentarsi e si alimentarono nuove polemiche e frizioni.
Per quanto riguarda l’Italia, il crollo dei regimi dell’Est dopo l’89 videro il prevalere di una volontà di dissoluzione nei gruppi dirigenti del PCI. Dell’originale patrimonio costruito in 70 anni da quel partito ben poco si è salvato. Il tentativo di farne il nucleo fondante di una nuova forza politica ha finito per palesarsi come arroccamento e salvaguardia di una rendita politica più che l’inizio di una dura strada per costruire una nuova strategia e un nuovo modello politico che mantenesse un serio ancoraggio agli interessi di classe senza scissioni tra mondo del lavoro e partito politico di riferimento. Si è anche perduto il senso dell’ unità del partito che era uno dei valori portanti del PCI.  Così si è dato inizio ad una storia che ha finito per porsi come conflitto di egemonie individuali, di leadership contrastanti tra loro. Quanto alla componente rappresentata dal PSI, la sua trasformazione in “partito-azienda” ha finito per facilitare il corrompimento sino alla vicenda di “tangentopoli”, ed è significativo che una ragguardevole parte abbia finito per confluire in “Forza Italia” e poi nel PdL
Oggi il dato drammatico è che i lavoratori sono senza adeguate rappresentanze politiche. E questo mentre il grande capitale, soprattutto quello finanziario, palesa sempre più la sua arroganza (un sintomo è, ad esempio, il rifiuto di accettare limitazioni ai bonus dei top-manager, al punto da farne punto centrale dell’ agenda del prossimo G8). Tutto questo mentre tendono ad aggravarsi gli squilibri indotti dal modello di produzione capitalistico, ormai impostosi a livello planetario.
Le ragioni che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento furono alla base dell’organizzazione del movimento operaio, ai nostri giorni vanno presentandosi in forme nuove ma immutate nella sostanza. Non sono più incentrate territorialmente in quello che era il tradizionale contesto capitalistico (Europa e Nord-America) ma tendono sempre più ad assumere una dimensione planetaria. Di fronte a questi drammatici processi, che il mondo del lavoro è chiamato ad affrontare, le vecchie diatribe tra diverse scuole di pensiero e modelli organizzativi che si richiamavano al socialismo, finiscono per apparire non solo superate ma del tutto ingiustificate. Utili solo per trincerarsi dietro rendite politiche destinate sempre più ad affievolirsi
Questo non significa rifiutare aprioristicamente le esperienze di pensiero che hanno caratterizzato il Novecento. Al contrario va fatta una riflessione critica al fine di cogliere tutto quel che di valido vi era in quelle esperienze. La via non è certo quella di rinnegare il proprio passato (quanto sono patetici certi personaggi che così si sono comportati e si comportano per restare sulla cresta dell’onda !) ma di sottoporlo ad analisi critica non pregiudiziale, necessario per trasmettere alle nuove generazioni quel che di valido era contenuto in quel passato.
Credo che la fase storica nella quale stiamo entrando chiami tutti i sinceri democratici, che vogliono vivere un saldo legame col movimento dei lavoratori, a difficili prove ma anche a nuove potenzialità. Coglierle è compito soprattutto dei giovani che potranno far propria una grande eredità del passato ma dovranno necessariamente evitare facili schematismi e rifiutare i compromessi deteriori.

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