Gianluca Scroccu
Di fronte alla tragedia in Afghanistan ci sembra utile pubblicare la recensione di Gianluca Scroccu del libro di Ahmed Rashid “Caos Asia” . In un momento in cui politici, che sino a qualche tempo fa davano del fiancheggiatore dei terroristi a Gino Strada quando raccontava del fallimento occidentale a Kabul, e che oggi parlano ancora, senza vergognarsi, di esportazione della democrazia, ci pare importante ragionare su quanto realmente sta succedendo in Afghanistan.
«A parte un manipolo di uomini della Cia, da decenni nessun funzionario Usa metteva piede in Afghanistan». Basterebbe questa citazione dall’ultimo libro di Ahmed Rashid, Caos Asia, (Feltrinelli, pp. 525, 25,00 €) per comprendere la sufficienza con cui gli Stati Uniti di Bush hanno affrontato la questione afgana subito dopo la guerra dell’ottobre 2001.
Collaboratore di alcune delle principali testate giornalistiche e televisive internazionali, tra i massimi esperti della geopolitica dell’Asia Centrale e già autore di un libro fondamentale sui talebani uscito sempre per Feltrinelli nel 2001, con questo volume Rashid analizza le dinamiche e i contrasti che stanno incendiando quella che rischia di diventare la più grande regione instabile del pianeta: l’Asia Centrale. Afghanistan, Pakistan, le ex repubbliche sovietiche come Kirghizistan e Uzbekistan sono infatti i luoghi nei quali la politica internazionale ha fallito completamente; errori colossali che secondo l’autore si sono ripetuti allo stesso modo nella tragedia irakena, a partire dal processo di ricostruzione nazionale.
Quando sette anni fa, dopo gli attentati dell’11 settembre, il presidente americano decise di “esportare la democrazia” iniziando dall’Afghanistan, il paese dove la facevano da padrone i talebani accusati di proteggere Bin Laden, nessuno avrebbe immaginato che si sarebbe realizzato un tale dissesto. E invece l’incapacità strategica e le assurde posizioni ideologiche dei neocons hanno portato all’attuale situazione di instabilità. Rashid, dopo aver ricostruito pazientemente la storia afgana e quella pakistana, permettendo anche al lettore meno avveduto di avere tutti gli elementi per comprendere la complessità della geopolitica della regione, passa in rassegna tutti i limiti dell’azione statunitense dal 2001 ad oggi: dall’aver fornito un credito spropositato al presidente pakistano Musharraf, anche dopo le accuse piovutegli addosso dopo l’assassinio di Benazir Bhutto nel dicembre 2007 e gli scontri con l’India, sino al non aver arginato lo strapotere dei signori della guerra afgani, diventati padroni del paese dopo la cacciata dei talebani. O ancora il non aver posto fine al traffico dell’eroina, che continua ad essere una delle principali attività economiche del paese, alimentando il terrorismo e favorendo il ritorno e le nuove offensive dei talebani, protagonisti di sanguinosi attacchi suicidi che il debole governo Karzai, stretto tra mille mancanze e difficoltà interne, non è riuscito ad arginare.
Secondo l’autore uomini come Bush e Rumsfeld, accecati dalla dottrina dell’esportazione della democrazia tramite l’uso della forza, spinta sino all’utilizzo della tortura e alla sospensione della Convenzione di Ginevra, sono stati incapaci di affrontare i problemi principali della regione, lasciando inoltre irrisolte questioni come la mancanza di uno stato di diritto in quasi tutti i paesi della regione, a partire dalle ex repubbliche sovietiche, o la povertà endemica della maggioranza della popolazione, su cui ha saputo far leva per conquistare nuovi consensi la propaganda dell’estremismo islamico.
La ricerca della soluzione per risolvere questa situazione di caos che attraversa la regione sarà certamente al centro della politica internazionale anche nei prossimi anni, quando Stati Uniti, Unione Europea, Nato e Onu dovranno realizzare, come sostiene Rashid, un progetto complessivo e di grande respiro, profondamente diverso rispetto a ciò che si è visto negli ultimi sette anni.
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