Il primo giorno di scuola…

15 Settembre 2009
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Rosamaria Maggio
CIDI di Cagliari

Quanti bambini oggi, in tutto il paese, si accingono a presentarsi a scuola…!
Alla scuola dell’infanzia, alla scuola elementare, alla scuola media, alle scuole superiori, per molti è la prima volta!
Ma anche per gli altri, per quelli che non iniziano un nuovo ciclo, è il primo giorno, un giorno speciale! Ognuno di noi serba nel cuore quei tanti primi giorni in cui, dopo le vacanze, si tornava volentieri a scuola, dove i compagni, gli insegnanti ci attendevano.
Certo ci attendevano le fatiche, le paure , le frustrazioni, ma anche le amicizie, la cura, l’apprendere!
Penso alle moltitudini di oggi, ignare di un futuro negato che oggi mette radici.
Sono parole gravi le mie, ma sono convinta che oggi si volti una pagina .
Fino a ieri forse, abbiamo creduto che questa deriva potesse essere fermata. Certo, le nuove regole sulla valutazione del profitto nella scuola elementare e media, la valutazione della condotta per tutti gli ordini di scuola, il nuovo esame di terza media, erano già segnali sufficienti con i quali i docenti e gli studenti si sono dovuti misurare a giugno. Ma ora tutte le componenti scolastiche e la società italiana dovranno prendere atto che qualcosa si è chiuso e si apre una nuova fase.
Si è chiusa la fase della scuola secondo Costituzione. La Costituzione italiana vigente, violata dalla Costituzione vivente. Non è più la scuola del principio di uguaglianza, la scuola della libertà di insegnamento, la scuola pubblica.
Il maestro unico, il maggior numero di studenti per classe, in taluni casi fino a 33 alunni, la riduzione del tempo scuola nei vari ordini, la destrutturazione delle cattedre attraverso il sistema delle 18 ore obbligatorie a prescindere dai curricoli e dalla continuità didattica, il licenziamento dei precari, la mancata sostituzione dei pensionati, sono solo alcuni esempi di ciò che la famigerata Contro-riforma Gelmini porterà nella scuola.
La cosa paradossale è che nella scuola può succedere di tutto. Il Ministro di turno può interferire sulle scelte pedagogiche didattiche senza che l’accademia possa dire nulla. Il Maestro unico e la pretesa validazione della scelta pedagogica ad essa connessa, è come se un chirurgo si trovasse per legge a dover operare da solo e gli venisse sottratta l’equipe.
Mi chiedo in quale settore scientifico si può intervenire in questo modo.
Un politico sa di pedagogia e di didattica e fa le scelte conseguenti in materia. Ma devo dire che a questo esercizio si prestano in molti. Le famiglie possono dire la loro, perché ai loro tempi col maestro unico si lavorava bene e le classi erano di 60 bambini e si imparava lo stesso.
Non parliamo dei giornalisti della carta e ancor più di quelli televisivi! Gli esperti si sprecano. Anche il verduraio, l’elettricista, il giornalaio, l’avvocato, il medico quanto a problemi scolastici ne sanno più di un insegnante.
Quando dico che si è chiusa la fase della scuola secondo Costituzione, voglio dire che la scuola come viene ora ridisegnata, non consentirà di fare quel lavoro individualizzato e cioè che tiene conto dei livelli di apprendimento, delle difficoltà specifiche e dei tempi di ciascun bambino.
Anche le eccellenze, così tanto sacrificate in passato a detta dei molti “grilli parlanti”, in questa scuola della decadenza avranno poco da fare.
Il modulo ad esempio, come scelta didattica (tre maestri ogni due classi), aveva lo scopo di consentire il lavoro in gruppi separati o attraverso le compresenze; esso favoriva l’intervento specifico in gruppi classe che potevano essere di un massimo di 25 bambini.
Nella scuola media, il nuovo quadro orario penalizza anche quelle aree essenziali per la formazione del ragazzo, come ad esempio l’area della formazione linguistica che tanto ci viene raccomandata dai risultati dell’indagine internazionale OCSE_PISA
La scuola della nostra Costituzione è quella che per 60 anni ha cercato di non lasciar indietro nessuno, è quella dell’unificazione linguistica dell’Italia unitaria, è quella che ha combattuto l’analfabetismo, è quella del “Made in Italy”
La scuola di domani non so quale Italia farà. I tempi dell’apprendimento sono lunghi e gli effetti delle buone o delle cattive pratiche e politiche si vedono a distanza di decenni.
Noi insegnanti cercheremo di adempiere al nostro mandato, ma le regole non sono acqua fresca. E se la regola dice che un bambino o un ragazzo che non ha 6 in tutte le materie non può fare l’esame di fine ciclo,(terza media o esame di stato), o non lo ammetto all’esame o devo mentire sui risultati conseguiti.
La scuola che si delinea è la scuola della esclusione e non dell’integrazione, la scuola per pochi e non per tutti. Chi non raggiunge gli obiettivi, o è un bullo, o è da “bocciare”, espellere, o è diversamente abile.
La scuola della Gelmini si prepara a separare gli studenti sani e da quelli malati.
Ieri, Chiara Saraceno, in una lettera pubblicata su “La repubblica” (13.09.09), denunciava preoccupata questa deriva .
La dislessia viene qualificata come patologia in un disegno di legge nei confronti del quale la Commissione cultura del Senato, ha già dato parere positivo. Con questo disegno di legge, dice la Saraceno, Professore ordinario di Sociologia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino, si corre il rischio di etichettare come Handicap, marcati o lievi problemi di apprendimento che in passato venivano risolti senza clamore e senza etichette dal lavoro di docenti e professionisti seri.
Chi è sano è bravo e va avanti. Gi altri, i diversi, i malati, vanno fuori .Chi non ce la fa, resti fuori.
Questa visione delle cose ci spinge indietro, non solo dal punto di vista umanitario ma anche dal punto di vista della economia globale e della competizione internazionale. Non sono solo le eccellenze che fanno grande un paese, ma anche un elevato livello culturale medio.
E’ questa visione miope, di un Governo arrogante e prepotente che si fonda sul consenso di chi non ha gli strumenti per capire e che, per carità, è meglio che non capisca, che ci spinge indietro verso una visione isolata di persone che, per esistere non devono e non possono confrontarsi con gli altri

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