Deriva italiana: partiti senza democrazia

12 Settembre 2009
1 Commento


Gianluca Scroccu

Le parole del Presidente della Camera Gianfranco Fini al seminario del PDL di Gubbio sono state importanti per diversi motivi. Non solo, infatti, si è marcata una differenza evidente tra la terza carica dello Stato e il Presidente del Consiglio, ma si sono ascoltate frasi importanti sulla carenza di profili democratici all’interno dei partiti italiani, ovvero quei soggetti che dovrebbero insegnare ai cittadini a praticare i principi della democrazia e i cui ristretti gruppi dirigenti sono invece i primi a non metterli in pratica. Fini ha detto che nel PDL non si discute da mesi e che non è possibile manifestare dissenso rispetto ad una linea politica. Non ci sono, insomma, spazi democratici. Un bel paradosso per un partito che si richiama sin dal nome al concetto di libertà. Sarebbe però sbagliato ritenere che questo sia un problema solo del centrodestra: nello schieramento opposto, a partire dal PD, la mancanza di luoghi fisici partecipati e collettivi dove si possa discutere è stato altrettanto evidente durante il regno veltroniano, se si escludono primarie che comunque non hanno garantito pari dignità in termini di spazi e visibilità a quei candidati che non possono contare su robusti apparati. C’è insomma molta leadership nei partiti italiani, ma non c’è popolo. Tutto questo è il risultato di anni in cui concetti come “semplificazione” o “vocazione maggioritaria” sono diventati i mantra di personaggi come Berlusconi o Veltroni che ci hanno fatto arrivare ad un bipartitismo coatto e forzato grazie ad assurde leggi elettorali e all’adesione supina alle logiche del presidenzialismo senza controlli.
Nessuno si stupisca se in uno scenario simile Berlusconi possa vantarsi di essere il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni: il narcisismo di leadership così individualistiche è inevitabile in contesti come quello che stiamo vivendo. Quando la politica perde la sua dimensione collettiva si riduce infatti solo alla partigianeria più bieca, alla deferenza servile verso il capo del quale si fonda un club o si mette una t-shirt. “Meno male che il capo c’è” o “meglio il capo”: gli slogan trasmigrano con facilità da destra a sinistra per evaporare quando il leader perde le elezioni o cade in disgrazia.
Costruire partiti personali, garantire l’approdo al potere di personalità dotate di grossi patrimoni finisce per aprire la strada al servilismo e all’obbedienza: sollevare la questione del conflitto d’interessi porta subito all’accusa di intelligenza con il nemico perché “il signore” non si può attaccare. Chi non è col capo è un reietto: poco importa se quella critica potrebbe aiutare il leader a cambiare la sua politica. E se il servilismo e la deferenza verso il “dominus” diventano elementi fondanti di questa politica postdemocratica, non stupiamoci dell’agonia delle nostre assemblee parlamentari, oggi ridotte ad inutili aule dove l’unica cosa che conta è l’obbedienza e la mancanza di senso critico, se non si vuole correre il rischio di uscire dal giro dei privilegi che le scandalose indennità garantiscono a persone che spesso non hanno curriculum lavorativi o scolastici ma solo il tempo per svolgere pubbliche relazioni e creare clientele. Questa è l’Italia di oggi, piaccia o no. “Il rappresentante dello schieramento a noi avverso”, come lo chiamava pacatamente qualcuno, non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi se i partiti italiani fossero stati realmente democratici. Ecco perché bisogna capire che se non si riporta la democrazia fatta di regole certe e scritte per sempre all’interno dei partiti, combattendo in tale maniera le logiche personalistiche del dirigente o dell’aspirante leader di turno, i cittadini si chiuderanno sempre più nella loro dimensione individualistica. Il rischio, altrimenti, è l’agonia civile dell’Italia.

1 commento

  • 1 francesco cocco
    12 Settembre 2009 - 17:18

    ,,,.parole sacrosante e di rara saggezza……. rara anche a sinistra come si evince dalla frequente ‘accettazione passiva di modelli inperniati su l’obbedianza al leader. Credo che l’impegno dei giovani in questa direzione meriti la massima attenzione ed il massimo sostegno.

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