Quest’anno niente sogni di (mezza) estate

7 Settembre 2009
3 Commenti


Andrea Pubusa

Che brutta estate! Docenti in mutande e costumi da bagno che gridano la propria rabbia davanti agli uffici scolastici a Palermo. Vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica sulla loro situazione di precari della scuola “rimasti in mutande” e che non “possono neanche andare a mare per una breve vacanza”. E’ soltanto una delle decine che si sono svolte in tutta Italia, in quello che è stato definito il “no Gelmini day”. Proteste in varie città tra cui Milano, dove si è svolto un corteo a cui hanno partecipato circa 300 precari, con sit in davanti alla prefettura. A Perugia, invce, “colazione precaria”. Mobilitazione davanti all’ufficio scolastico regionale anche a Roma e cortei anche a Messina e Catania, dove i prof precari hanno sfilato con una cassa da morto per simboleggiare la morte della scuola pubblica.
E pensare che l’istituzione della scuola dell’obbligo all’inizio degli anni ‘60 è stato forse il momento di maggior crescita del Paese, una vera rivoluzione, fondata sui giovani laureati e laureandi di allora, cioè sulle fresche energie giovanili di allora, che raggiunsero anche i più isolati centri abitati del Paese a portarvi cultura, entusiasmo e speranza.
Ma in mutande non sono solo i precari della scuola. E gli operai che al rientro dalle ferie non hanno più trovato la loro fabbrica, delocalizzata chissà dove? E i tanti operai che hanno occupato i tetti delle loro fabbriche? E quelli che si sono ammazzati, privi di lavoro e di speranze?
Proprio in questo momento le agenzie battono questa notizia:

LAVORATORI ALCATEL BATTIPAGLIA MINACCIANO DI DARSI FUOCO

Cinque lavoratori dell’Alcatel di Battipaglia (Salerno) sono entrati nello stabilimento e minacciano di darsi fuoco con taniche di benzina e bombole di gas se non sarà rivista la decisione dell’azienda di sospendere le attività manifatturiere. Gli incontri finora avuti per cercare una soluzione non hanno prodotto alcun risultato. Nell’azienda, dove si realizzano apparati di telecomunicazione, sono 200 i dipendenti, tra attività produttiva e ricerca e sviluppo, e altri 300 gli interinali.

No, leggere i giornali questa estate non è stato e non è un bel passatempo. Tanto più che mentre queste tragedie si consumano, la politica è dominata dalle storie di letto del nostro capo del governo che pensa che la crisi non esiste solo perché lui ne nega l’esistenza. E il paradosso stà nel fatto che è la Chiesa a dovergli chiedere conto della sua condotta personale e non il Paese per la sua politica. L’opposizione balbetta, non mobilita il Paese, rimane prigionera di un gioco mediatico in cui è impossibile battere il Cavaliere.
E poi che brutte notizie sul quotidiano. Immondezza dappertutto. Strade, incroci, spiagge, molte divenute terminali di scarichi fognari mal funzionanti. Ammazzamenti anche nelle autostrade e nelle vie delle città. Ormai quando si esce in auto non si sà se si torna a casa. Ubriachi e drogati in ogni dove. Segno di un disagio diffuso. E diffusi anche gli ammazzamenti in famiglia e le violenze sui deboli. Ma non è questo un riflesso della generale mancanza di speranze per il futuro, per il crescere di un senso comune che esclude l’impegno collettivo e lascia molti nella disperazione della solitudune. Non è questo un risvolto della crisi?
E avete visto che mutamento di mentalità nella amministrazioni locali? Un tempo anche con poche risorse favorivano la fruizione del territorio da parte dei cittadini. Oggi per andare in spiaggia in tutti i paesi si paga una tassa, il parcheggio, che eslcude giovani e famiglie popolari. E poi ti dessero almeno una doccia! No, parcheggi nella polvere, che ti costringono a finire la giornata al mare con un bagno di sporcizia. E se qualcuno vuole sfuggire il balzello, sistemando l’auto altrove, c’è “l’ufficio mobile” della polizia urbana che ti multa. Insomma, far cassa sulla pelle dei cittadini senza alcuna moderazione e razionalità, questa è la nuova “cultura” delle amministrazioni locali.
La sensazione generale è che ci sia uno Stato in disfacimento, il settore pubblico dalle scuole alle poste è in fase di smantellamento. Avete visto che le Poste a Cagliari vendono anche lo storico palazzo di Piazza del Carmine e, in molti comuni, la posta non viene distribuita o permanentemente o perché il postino è in ferie.
Insomma, amici e compagni/e, la crisi c’è, è grave, è materiale e ancor più morale. Bisogna rimboccarsi le maniche, tornare all’impegno, anche se, per far questo, occorrerebbe un partito o dei partiti democratici e di sinistra all’altezza, capaci di organizzare una mobilitazione su obiettivi concreti e con un prospettiva generale di cambiamento. Ma anche da questo versante le notizie estive non ci consentono facili ottimismi.

3 commenti

  • 1 francesco cocco
    7 Settembre 2009 - 07:16

    Ha ragione il direttore del blog: la scuola è allo sfascio, e questo i si ripercuote sull’andamento generale dello pubblica amministrazione e su quello complessivo dlla società. Anzichè far leva sulla scuola per una riaggregazione della società la si distrugge per poi favorire le agenzie private della formazione. Eppure abbiamo l’esempio di Stati che sui processi educativi hanno fatto leva per uscire dai circoli perversi del degrado. Anzichè distruggere bisogna potenziare la scuola diversamente non usciamo dallo sfascio sempre più accentuato.

  • 2 Cristian Ribichesu
    7 Settembre 2009 - 15:23

    D’accordo con Francesco Cocco (e basterebbe vedere l’esempio della Corea del Sud, che ha investito in modo importante sul sistema dell’istruzione) .
    C’è solo una soluzione per migliorare la qualità della scuola italiana: diminuire il numero massimo di alunni per classe (da 30 a 20 o poco più? Per leggi sulla sicurezza, che evidentemente sono contrastanti rispetto alle leggi indicanti la formazione delle classi, queste, già adesso, non dovrebbero avere più di 26 persone compreso il docente, http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-12/denuncia-codacons/denuncia-codacons.html ). Seguendo questo criterio si potrebbero assolvere le richieste di tutti i precari e si innalzerebbero i livelli qualitativi di apprendimento delle lezioni, con un lavoro più individualizzato. Inoltre si potrebbe creare una vera scuola di qualità in orario curricolare, risparmiando, invece, sui progetti extra-curricolari che si svolgono generalmente la sera. Bisogna puntare su questo, affermando che è giusto indirizzare più risorse nella Scuola, risorse che, in questo modo, daranno un apporto positivo, non quantificabile nell’immediato ma nell’immediato futuro, a tutto il sistema economico-sociale italiano. Bisogna spendere bene, nel presente, per capitalizzare il futuro di tutti, e non farsi prendere dall’egoismo sociale e dalla cecità. I precari hanno diritto ad essere assunti, anche in ragione della programmazione numerata, per legge, che dai concorsi è seguita nell’istituzione delle scuole di specializzazione SSIS, in base alle previsioni di assunzione regionali delle varie province. Detto questo, assunti i precari, è bene che la Scuola rivendichi la sua alta funzione di formazione culturale, creando le premesse per “sanare” una questione morale nazionale che sembra affliggere il Paese da più parti. Il miglioramento scolastico è direttamente legato alla “restituzione” dell’onestà intellettuale che manca da più parti. Occorre, urgentemente, rivendicare, ovviamente con il merito, lo studio, l’applicazione, l’impegno e la passione, l’alta funzione educativa propria degli insegnanti, ombrata da un trattamento di bassa considerazione statale nei confronti degli stessi, anche causata dalla frizione di scelte economiche che negli anni, fino agli odierni pesantissimi tagli, hanno sacrificato i finanziamenti per la Scuola in ragione, sbagliata, di altri settori (pensate alla privatizzazione di molte aziende nazionali, che, pur nel rispetto delle leggi, attraverso il meccanismo delle scatole cinesi, sono state erose, vengono erose, dall’interno, e ai continui interventi statali per evitare i licenziamenti, ovviamente licenziamenti ingiusti in un processo che vede premi milionari a favore di chi dirige, anche male, queste S.P.A, e che per il contenimento delle spese segue, dopo lo “svuotamento”, la scelta più “facile”: la riduzione del personale ; http://www.chiarelettere.it/dettaglio/64195/la_paga_dei_padroni ). Infine, è giusto combattere la disoccupazione, aiutando i lavoratori di qualsiasi settore, qualsiasi settore, senza farsi assorbire dai sentimenti negativi, prodotti dalle varie situazioni di precarietà, che portano alle famose guerre fra poveri. Il sentimento del dolore, come scritto da Umberto Saba, è un sentimento universale. Come non sentire il dolore di operai che per anni lavorano in un’azienda e per i ridimensionamenti corrono il rischio di perdere il lavoro, magari a cavallo di un’età in cui diventa difficilissimo riciclarsi in/o trovare altra occupazione, come non sentire la disperazione e la rabbia di chi arriva a gesti estremi come quelli dei lavoratori Alcatel di Battipaglia, ma come non sentire anche quello dei precari scolastici specializzati e vincitori di concorsi che dopo anni di precariato e sacrifici corrono il rischio di essere “tagliati”?
    C.R.

  • 3 Democrazia Oggi - Emergenza Manifesto, emergenza isole
    7 Settembre 2009 - 20:18

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