Ventennio, il mito di riserva

11 Agosto 2009
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Ida Dominijanni

Da Il manifesto, 28 luglio 2009

«Quando il sovrano va nudo per la piazza a prostitute c’è diritto di insubordinazione»: Baruch Spinoza, Trattato politico, cap. IV, citato da Toni Negri, che di Spinoza se ne intende, in un’intervista a Telelombardia riportata (alquanto falsata, per inciso, da titolo e sommario) sul Riformista di domenica. Negri lo dice chiaro, come al solito, altri usano toni più felpati, ma il fantasma dell’insubordinazione al Sultano italiano comincia ad aggirarsi insistentemente per l’Europa, se è vero che il problema dei media europei non è più il giudizio, ormai ampiamente scontato, su Berlusconi e sulla sua etica privato-pubblica e personale-politica, bensì quello sul tasso di reattività della società civile e dell’opinione pubblica italiane. L’Observer ne fa una questione di vigilanza democratica della comunità internazionale: può l’Europa tollerare «una società civile così evidentemente sottomessa alla volontà del premier» in un paese membro, per giunta attualmente presidente del G8? Altri, saggiamente, rovesciano il problema, segnalando gli elementi di degenerazione - populismo, demagogia, colonizzazione dell’immaginario, mobilitazione emozionale - comuni alla deriva democratica europea, di cui Berlusconi è la punta avanzata ma non unica (John Lloyd su Repubblica di domenica, e Spiegel che vede anche in casa propria tutte le premesse per un Berlusconi tedesco nel prossimo futuro). Altri ancora vanno meno per il sottile, procedono per stereotipi, trattano «gli italiani» come lo specchio fedele del premier senza né distinguere fra consenso e opposizione né inoltrarsi nelle piste del passato, recente e meno recente, della destra e della sinistra, che conducono alla situazione di oggi. Fatto sta che gira e rigira siamo arrivati al punto, il punto non essendo tanto la suddetta etica del premier quanto lo stato della democrazia e della sfera pubblica nell’Italia rifatta dal ventennio berlusconiano. Sì che fra veline, escort, prestazioni e ricompense monetarie ed elettorali del Sultano tocca ritornare ai punti di partenza del ventennio: uso e abuso della televisione a fini politici, conflitto d’interesse, manipolazione dell’opinione (Ezio Mauro rimette la questione al centro sull’Independent); declino dell’egemonia culturale della sinistra, colpevole peraltro di non aver capito nulla della questione mediatica per tutti gli anni Ottanta, e conquista dell’egemonia sul senso comune di massa della destra; svuotamento della rappresentanza politica a vantaggio della rappresentazione; esaurimento e fine della sinistra ufficiale; inesistenza (Negri) di una vera sfera pubblica, «alla Habermas o alla Daherendorf», in Italia. Catalogo noto al quale i noti fatti imporrebbero di aggiungere il capitolo sui rapporti fra stato della politica e stato del patriarcato, ma su questo si sa che le antenne scarseggiano.
Ma che il catalogo sia questo lo sa ormai anche la destra, o meglio l’apparato ultra-velinaro che sostiene il sultano dai suoi house organ, che per tre mesi ha negato l’evidente e sostenuto l’insostenibile e oggi si trova costretto a cominciare a venire a patti, palesando che una crepa s’è aperta eccome nel muro di complicità con il premier. Il Giornale di ieri prova a reagire all’offensiva della stampa estera (e di Repubblica e di Di Pietro) con due solenni editoriali di Mario Cervi e Giordano Bruno Guerri, solennemente presentate come firme «autonome e fuori dal coro» (tradotto: non al livello di Minzolini o Quagliariello), per «spiegare l’Italia agli Inglesi», ma finisce col lanciarsi un boomerang addosso. Intanto perché i due autonomi commentatori ne approfittano per togliersi vari sassolini dalla scarpe: il «libertario» Guerri, uno di quelli che s’imbarcarono in Forza Italia convinti che fosse davvero il regno della libertà, prende le distanze, nell’ordine, dalla legge elettorale vigente, dalle leggi proibizioniste sugli omosessuali e sulle staminali, dal lodo Alfano, e infine pure dalle «lecitissime ma problematiche per il ruolo istituzionale»attività sessuali del premier, dopodiché si fa paladino della Costituzione come garanzia della salute della democrazia italiana, dimenticando che gli attacchi alla Costituzione medesima sono stati dal ‘94 in poi la costante dell’agenda politica e ideologica di Berlusconi. E Cervi dal canto suo si dissocia dagli «incensamenti dei cortigiani», se la prende con le escort ma non con le «leggerezze d’alcova» del loro altolocato cliente, e si rifugia nella priorità del voto popolare sulla libertà d’informazione. Che cosa resta? L’inno alla funzione salvifica di Berlusconi, che con la sua «discesa in campo» del ‘94 rigenerò un sistema politico già sepolto sotto le rovine. O lo condannò a non rialzarsene più? Berlusconi il rivoluzionario, ci ricorda qualcosa. È l’ultimo mito di riserva, destinato agli archivi del ventennio.

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