Travaglio ovvero l’eversiva “normalità” di Veltroni

15 Maggio 2008
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Red

Non è certo una novità che il centrodestra al governo sia intollerante verso il giornalismo d’inchiesta. L’editto bulgaro contro Luttazzi, Santoro e perfino Biagi sono storia recente e indimenticata. I troppi scheletri nell’armadio spingono a far tacere le voci libere. Non sorprende, dunque, che Santoro, Grillo e ora Travaglio siano sotto tiro. E’ semmai un’invenzione tutta italiana la teoria della libertà di stampa condizionata al contraddittorio. E cioè l’idea bizzarra che si può manifestare un pensiero critico solo in contraddittorio con l’interessato o con un suo rappresentante. Come dire che, per rendere pubblici fatti o circostanze d’interesse generale riguardanti lor signori, occorra il loro consenso. Un’idea strabiliante, capace di cambiare la storia. Cosa sarebbe stato, per citare solo un caso, Watergate se le malefatte di Nixon e del suo staff elettorale fossero state impubblicabili senza il contraddittorio col Presidente o i suoi uomini? Insomma, una pietra in bocca alla libera stampa. Una sorta di speciale censura preventiva, che non a caso la Costituzione italiana vieta, prevedendo solo una intervento successivo dell’autorità giudiziaria per reprimere gli abusi.
Non sorprende neppure che si strilli contro Travaglio, ma, in realtà, si parli d’altro, e cioè del controllo del servizio pubblico radiotelevisivo. Un altro chiodo fisso del centrodestra. Niente di nuovo, dunque, sotto il sole? No. La novità c’è ed è grossa. Stavolta a colpire i Santoro, i Grillo e i Travaglio c’è anche il fuoco “amico”, non solo le bordate della maggioranza, ma anche quelle dell’opposizione. Ci sono anche i Petruccioli, i Violante e le Finocchiaro. Ed anche qui con un argomento stravagante. Rendere pubbliche le pregresse “relazioni pericolose” della seconda carica dello Stato non è fatto meritevole di pubblicazione e di verifica nell’interesse del Paese, ma è un intollerabile attacco al dialogo fra maggioranza e opposizione. E così, mentre Berlusconi nel 2006 contestò i risultati elettorali denunciando addirittura brogli e chiedendo la riconta delle schede, oggi Veltroni conia un particolare tipo di opposizione, cortese e gentile; un novum assoluto nella storia delle grandi democrazie, che invece, per essere vive e gagliarde, necessitano non solo di buone maniere, ma anche di qualche asprezza e ruvidità. L’altra novità è che i capi, non solo Berlusconi (che lo è), ma anche Veltroni (che pretende d’esserlo) rimangono fuori dalla mischia. Il lavoro sporco alle seconde file e alla truppa per non compromettere il dialogo garbato fra i leaders nell’interesso superiore del Paese.
Ora sarà un giudice, non nei salotti televisivi o con dichiarazioni stampa, a dire se Travaglio è un calunniatore; e certo nelle aule giudiziarie, dove contano i fatti più che gli strilli, per l’Avv. Schifani sarà dura. Non sarà facile contestare le affermazioni di un giornalista, che fonda sempre le sue affermazioni su una documentazione, solitamente giudiziaria, a prova di bomba. Del resto, lo stesso giornalista e il suo collega Abbate (munito di scorta perché sotto tiro della mafia) hanno già scritto delle frequentazioni nelle sedi della Sicula Brokers e lo stesso Schifani ha dovuto ammetterle nel 2004 davanti alla Terza Sezione Penale del Tribunale di Palermo. Niente di penalmente rilevante, sia ben chiaro, ma certamente qualcosa d’inquietante se riguardante la persona che ricopre la seconda carica dello Stato. Insomma, fra non molto sapremo se Travaglio è un volgare mentitore o se è invece un benemerito della democrazia italiana. Il giudice ci darà alfine una verità. Non ci restituirà però una vera dialettica democratica. All’ultimo governo Berlusconi aveva corrisposto una vivace diffusione di girotondi e una robusta opposizione sindacale, culminata nella difesa di Cofferati dello Statuto dei Lavoratori. E come dimenticare la straordinaria mobilitazione contro l’aggressione all’Irak? Cosa ci attende ora? Per ora, solo la faccia da pesce lesso di Veltroni, che predica una normalità della nostra vita democratica, che, in realtà, ne è il più eversivo stravolgimento.

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