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Intervista al cardinale Dionigi Tettamanzi: costruiamo ponti invece di alzare muri
Non c’è futuro senza solidarietà. La vera integrazione passa dal riconoscimento dell’uguaglianza degli esseri umani”. La Stampa, 17 luglio 2009
Cardinale Dionigi Tettamanzi, quale messaggio ha portato ai giovani in campeggio vicino al Papa?
«Ai ragazzi ho detto “Siete benedetti da Benedetto”, cioè non soli ma accompagnati dalla vicinanza di chi crede nel futuro della società. L’enciclica sociale del Pontefice insegna che la felicità è possibile nella misura in cui ci apriamo agli altri. Dopo il G8 dell’Aquila e l’incontro tra Benedetto XVI e Obama si è diffuso un clima di speranza. E’ un’opportunità da non vanificare perché solo così possiamo progredire. La crisi economica è grave, però il lamento sistematico è deprimente, sterile. L’anima della solidarietà è la corresponsabilità, il sentirsi uniti in modo decisivo, sapendo che ogni nostra azione e ogni nostro comportamento hanno riflessi sulla vita degli altri. Non abbiamo bisogno di disperazione ma di speranza».
In che modo?
«Non c’è futuro senza solidarietà, la strada della felicità passa per forza dalla sobrietà. Per essere davvero un popolo non possiamo basare la vita privata e pubblica sull’esagerazione, sul consumismo, sull’arricchimento solo materiale. Servono maggiore senso della misura e più accoglienza verso chi è bisognoso, malato, straniero. Accogliere l’altro richiede la disponibilità ad ascoltare, ad interpretare le esigenze vere, profonde, a fare passi avanti insieme. Insomma, costruire ponti invece di alzare muri. Quando si rifiuta l’accoglienza ci si ritira in se stessi e si pensa che tutto il mondo sia racchiuso nel proprio io. Riconoscere e mettere al centro la dignità umana consente di equilibrare le istanze della sicurezza e quelle dell’accoglienza. La vera integrazione passa dal riconoscimento dell’uguaglianza degli esseri umani».
Condivide la preoccupazione del presidente Napolitano per il «giro di vite» del governo sull’immigrazione e la sicurezza?
«Non tocca a me entrare nelle dinamiche istituzionali. Una vera accoglienza implica un’apertura verso l’altro, richiede un’apertura, una disponibilità a conoscerlo, ad ascoltarlo, a leggere in profondità le istanze della sua vita. Tutti vogliamo la sicurezza, ma c’è necessità di una sicurezza che sia umana e umanizzante, altrimenti ne escono enormemente penalizzate e sminuite le dimensioni della solidarietà e dell’accoglienza. L’importante è non mettere mai in discussione l’uguale valore di ogni persona».
Cosa propone?
«Invece di rinchiudersi in se stessi occorre protendersi, sporgersi verso il prossimo. Certo, l’accoglienza implica anche il rispetto delle regole, della legalità da parte di chi arriva in Italia, però occorre un approccio realmente solidale. C’è bisogno di una mano tesa, di un aiuto a recuperare quell’umanità e quella dignità che si smarriscono nei percorsi dell’immigrazione e nella complicata transizione dai paesi più poveri all’Italia».
Dal voto in condotta della Gelmini alle polemiche sulla «generazione né, né», ossia sui giovani che non lavorano né studiano. Vede un’emergenza educativa?
«Sì. Continuiamo a giudicare gli adolescenti con i nostri occhi di adulti. Non entriamo nel loro modo di vedere la realtà, manca il coraggio di condividerne la vicenda umana. I giovani, a volte in maniera grezza o esagerata, esprimono esigenze che noi ignoriamo. La vera emergenza educativa non sono gli adolescenti, siamo noi adulti. Genitori, insegnanti, educatori non possono sottrarsi alle proprie responsabilità. Scarseggia la saggezza umile di mettersi alla pari con i ragazzi, mentre l’educazione deve essere una co-educazione perché se manca la condivisione non si ottiene alcun effetto positivo. Se non portiamo la luce della nostra esperienza nella zona grigia degli inattivi, rischiamo di perdere una generazione. Solo il dialogo e l’incontro fanno capire che c’è un valore nello studio, nel lavoro e che si diventa pienamente liberi solo se si è responsabili».
Colpa anche degli esempi negativi che arrivano dalla vita pubblica?
«Certo servono nuovi stili di comportamento quotidiano. Bisogna puntare all’essenziale per investire sul capitale umano. I ragazzi sono molto più seri dei vuoti modelli ai quali si vorrebbe conformarli. Anche la Chiesa deve sempre testimoniare valori in grado di dare significato all’esistenza. Dobbiamo essere i primi a dimostrare impegno. Lo stile di vita di Gesù non era l’egoismo, ma la generosità verso tutti. Come suoi discepoli siamo tenuti ad essere disponibili e accoglienti. Per una società diversa, migliore di quella attuale serve sobrietà. Io davanti ai giovani mi sento un mendicante. Dobbiamo imparare da loro che saranno quel che sono, ma del resto anche noi una volta eravamo quello che eravamo».
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