Karl Marx secondo Engels

25 Agosto 2009
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Friedrich Engels

Questo profilo di Marx, scritto da Engels, apparve nel 1878 sul “Volkskalender” di Wilhelm Brake pubblicato a Braunshweig.
Trascritta da Ivan, Settembre 1999

L’uomo che per primo diede al socialismo, e con esso a tutto il movimento operaio dei nostri giorni, una base scientifica, Karl Marx, nacque nel 1818 a Treviri. A Bonn e a Berlino studiò dapprima giurisprudenza ma si dedicò presto esclusivamente allo studio della storia della filosofia ed era nel 1842 in procinto di prendere la libera docenza in filosofia, quando il movimento politico, sorto dopo la morte di Federico Guglielmo III, lo spinse verso un’altra carriera. In collaborazione con lui, i capi della borghesia liberale renana, i Camphausen, Hansemann, eccetera, avevano fondato a Colonia la “Rheinische Zeitung”, e Marx, la cui critica dei dibattimenti alla dieta provinciale renana aveva suscitato grandissima sensazione, venne chiamato nell’autunno del 1842 alla direzione del giornale. La pubblicazione della “Rheinische Zeitung” era naturalmente sottoposta alla censura, ma la censura non era all’altezza del compito [*1]. La “Rheinische Zeitung” riusciva quasi sempre a far passare gli articoli che importava pubblicare; dapprima si davano in pasto al censore cose di minore importanza da cancellare, finchè cedeva di propria iniziativa o veniva costretto a cedere con la minaccia: allora domani il giornale non esce. Dieci giornali che avessero avuto lo stesso coraggio della “Rheinische Zeitung” e per cui i redattori avessero sacrificato qualche centinaio di talleri per maggiori spese di composizione, e già fin dal 1843 la censura non avrebbe potuto funzionare in Germania, Ma i proprietari dei giornali in Germania erano piccoli borghesi gretti e pavidi, e la “Rheinische Zeitung” lottava da sola. Logorò un censore dopo l’altro: finalmente fu sottoposta a doppia censura, in modo che dopo la prima censura il prefetto la doveva censurare di nuovo, definitivamente. Anche questo espediente non giovò a nulla. All’inizio del 1843 il governo dichiarò che con quel giornale non c’era nulla da fare e lo soppresse senz’altro.

Marx, che nel fratternpo aveva sposato la sorella del futuro ministro della reazione von Westphalen, si trasferì a Parigi e vi pubblicò con A. Ruge gli ” Annali franco-tedeschi” in cui iniziò la serie dei suoi scritti socialisti con una critica della filosofia del diritto di Hegel. Inoltre con F. Engels: La sacra famiglia. Contro Bruno Bauer e consorti, critica satirica di una delle ultime forme in cui si era smarrito l’idealismo filosofico tedesco di allora.

Lo studio dell’economia politica e della storia della Grande Rivoluzione francese lasciavano a Marx sempre quel tanto di tempo per attacchi occasionali contro il governo prussiano: questo si vendicò riuscendo nella primavera del 1845 ad ottenere dal ministero Guizot - si dice che il signor Alexander von Humboldt abbia agito da intermediario - la sua espulsione dalla Francia. Marx trasferì la sua dimora a Bruxelles e vi pubblicò in lingua francese, nel 1847, la Miseria della filosofia, una critica della Filosofia della miseria di Proudhon e, nel 1848, il suo Discorso sul libero scambio. Allo stesso tempo colse l’occasione per fondare a Bruxelles un’Associazione operaia tedesca, iniziando con ciò l’agitazione pratica. Questa assunse per lui ancora maggiore importanza, da quando, assieme ai suoi amici politici, entrò nel 1847 nella clandestina “Lega dei Cornunisti”, già esistente da parecchi anni. Ora tutto l’ordinamento venne trasformato; l’unione sino allora più o meno cospirativa si trasformò in una semplice organizzazione di propaganda comunista, clandestina soltanto per forza maggiore, prima organizzazione del partito socialdemocratico tedesco. La Lega esisteva ovunque esistevano associazioni operaie tedesche: in quasi tutte queste associazioni della Germania i membri dirigenti appartenevano alla Lega, e notevolissima fu la parte che la Lega ebbe nel nascente movimento operaio tedesco. Inoltre la nostra Lega fu la prima a sostenere e a mettere in pratica il carattere internazionale di tutto il movimento operaio, ad avere, tra i membri, inglesi, belgi, ungheresi, polacchi, eccetera, e a organizzare, specialmente a Londra, assemblee internazionali di operai.

La trasformazione della Lega si compì in due congressi tenuti nel 1847; il secondo decise la compilazione e la pubblicazione dei principi fondamentali del partito, in un manifesto che Marx ed Engels dovevano redigere. Così nacque il Manifesto del Partito Comunista, che apparve per la prima volta nel 1848, poco prima della rivoluzione di febbraio, e fu tradotto in seguito in quasi tutte le lingue europee.

La pubblicazione della “Gazzetta tedesca di Bruxelles” [1], di cui Marx era collaboratore e in cui veniva messo a nudo senza riguardi il patrio paradiso poliziesco, aveva nuovamente indotto il governo prussiano a promuovere l’espulsione di Marx, ma invano. Però quando la rivoluzione di febbraio suscitò movimenti popolari anche a Bruxelles, e parve imminente in Belgio un rivolgimento, il governo belga arrestò Marx senza complimenti e lo espulse. Nel frattempo il governo provvisorio francese lo aveva invitato attraverso Flocon a ritornare a Parigi, ed egli accolse l’invito.

A Parigi si oppose soprattutto all’impostura che aveva preso piede tra i tedeschi ivi residenti e che consisteva nel voler inquadrare gli operai tedeschi in Francia in legioni armate per importare con queste la rivoluzione e la repubblica in Germania. Da un lato spettava alla Germania stessa fare la propria rivoluzione e dall’altro ogni legione rivoluzionaria straniera che si fosse formata in Francia sarebbe senz’altro stata denunciata dai diversi Lamartine del governo provvisorio al governo che si voleva rovesciare, come avvenne appunto in Belgio e nel Baden.

Dopo la rivoluzione di marzo Marx andò a Colonia e vi fondò la “Neue Rheinische Zeitung”, che visse dal 1° giugno 1848 al 19 maggio 1849 e fu l’unico giornale che nell’ambito del movimento democratico di allora sostenesse il punto di vista del proletariato, sin dalla sua incondizionata presa di posizione in favore degli insorti parigini del giugno 1848, che fece perdere al giornale quasi tutti i suoi azionisti. Invano la “Kreuzzeitung” additava la “sfacciataggine, colossale come il Chimborazo [2]” con cui la “Neue Rheinische Zeitung” attentava ad ogni cosa sacra, dal re e vicario dell’impero fino al gendarme, e questo in una fortezza prussiana presidiata allora da ottomila uomini; invano i filistei liberali renani, fattisi reazionari d’un tratto, si indispettivano, invano lo stato d’assedio nell’autunno del 1848 fece sospendere il giornale per parecchio tempo, invano l’imperiale ministero della giustizia di Francoforte denunciava al procuratore generale di Colonia articolo su articolo per la procedura legale; il foglio veniva redatto e stampato tranquillamente sotto gli occhi del corpo di guardia, la diffusione e la fama del giornale aumentavano di pari passo con la violenza dei suoi attacchi contro il governo e la borghesia. Allorquando avvenne il colpo di Stato prussiano nel novembre 1848, la “Neue Rheinische Zeitung” esortava il popolo, sulla prima facciata di ogni numero, a non pagare le tasse e a rispondere con la violenza alla violenza. Per questo e per un altro articolo, nella primavera del 1849 fu citata in tribunale dinnanzi a una corte di giurati; ma entrambe le volte venne assolta. Finalmente, quando le insurrezioni di maggio a Dresda e nella provincia renana erano state soffocate ed ebbe inizio la campagna prussiana contro l’insurrezione del Baden e del Palatinato con il concentramento e la mobilitazione di ingenti truppe, il governo si credette abbastanza forte per sopprimere con la violenza la “Neue Rheiniche Zeitung”. L’ultimo numero, stampato in rosso, apparve il 19 maggio.

Marx ritornò a Parigi, ma già poche settimane dopo la dimostrazione del 13 giugno 1849 il governo francese gli pose l’alternativa di trasferire il suo domicilio in Bretagna o di abbandonare la Francia. Preferì quest’ultima alternativa e si trasferì a Londra, dove da allora in poi visse ininterrottamente.

Un tentativo di continuare la pubblicazione (1850) della “Neue Rheinische Zeitung” in veste di rivista (ad Amburgo) dovette essere abbandonato dopo qualche tempo di fronte alla reazione che procedeva con violenza ognora crescente. Subito dopo il colpo di Stato in Francia, nel dicembre 1851, Marx pubblicò Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (Boston, 1852, seconda edizione, Amburgo 1869, poco prima della guerra). Nel 1853 scrisse le Rivelazioni sul Processo dei Comunisti a Colonia (stampate dapprima a Basilea, più tardi a Boston, recentemente di nuovo a Lipsia).

Dopo la condanna dei membri della Lega dei Comunisti a Colonia, Marx si ritirò dall’agitazione politica e per dieci anni si dedicò in parte allo studio dei ricchi tesori offerti dalla biblioteca del British Museum nel campo dell’economia politica, in parte alla collaborazione alla “New York Tribune” la quale, fino allo scoppio della guerra civile americana, pubblicò non solo le corrispondenze da lui firmate, ma anche numerosi articoli di fondo su questioni europee e asiatiche usciti dalla sua penna. I suoi attacchi contro Lord Palmerston fondati sullo studio profondo degli atti ufficiali inglesi vennero ristampati a Londra come opuscoli.

Come primo frutto dei suoi lunghi studi economici apparve nel 1859 Per la critica dell’economia politica, primo fascicolo (Berlino, Dunker). Quest’opera contiene la prima esposizione coerente della teoria del valore di Marx, compresa la teoria del denaro. Durante la guerra d’Italia Marx combattè nel giornale tedesco “Das Volk”, pubblicato a Londra, il bonapartismo che allora si spacciava da liberale e da liberatore delle nazionalità oppresse, nonchè la politica prussiana di allora che, sotto il mantello della neutralità, tentava di pescare nel torbido. In questa occasione occorreva attaccare anche il signor Karl Vogt il quale, per incarico del principe Napoleone (Plon-Plon) e al soldo di Luigi Napoleone, faceva allora propaganda per guadagnargli la neutralità, anzi la simpatia della Germania. Coperto da Vogt con le più infami calunnie, deliberatamente menzognere, Marx replicò nel Signor Vogt, Londra, 1860, in cui Vogt e gli altri signori della banda imperialistica dei falsi democratici venivano smascherati e Vogt provato colpevole di essere al soldo dell’impero di dicembre, sia per ragioni esterne che interne. Esattamente dieci anni dopo venne la conferma: nella lista dei mercenari bonapartisti, trovata nelle Tuileries nel 1870 e pubblicata dal governo di settembre, sotto la lettera V fu trovato: “Vogt - nell’agosto 1859 gli sono stati trasmessi… fr.40.000.”.

Finalmente nel 1867 apparve ad Amburgo Il Capitale. Critica dell’economia politica, primo volume, l’opera principale di Marx che espone i fondamenti della sua concezione economico-socialista e i tratti essenziali della sua critica della società esistente, del modo di produzione capitalistico e delle sue conseguenze. La seconda edizione di quest’opera sensazionale apparve nel 1872; ora l’autore è impegnato nell’elaborazione del secondo volume.

Nel frattempo, in diversi paesi d’Europa, il movimento operaio aveva ripreso forza al punto da permettere a Marx di pensare alla realizzazione di un desiderio da tempo accarezzato: la fondazione di una associazione operaia che abbracciasse i paesi più progrediti dell’Europa e dell’America e che dimostrasse, per così dire fisicamente, il carattere internazionale del movimento socialista sia agli stessi operai che ai borghesi e ai governi, che fosse un incoraggiamento e un rafforzamento per il proletariato, un terrore per i suoi nemici. Una assemblea popolare in favore della Polonia, proprio allora nuovamente schiacciata dalla Russia, che ebbe luogo il 28 settembre 1864 in St. Martin’s Hall a Londra, diede lo spunto per avanzare la proposta che venne accolta con entusiasrno. L’Associazione internazionale degli operai fu fondata; venne eletto nell’Assemblea un Consiglio Generale provvisorio con sede a Londra, e l’animatore di questo Consiglio Generale, come di tutti i susseguenti fino al Congresso dell’Aja, fu Marx. Quasi tutti i documenti emanati dal Consiglio Generale dell’Internazionale sono redatti da lui, a partire dall’Indirizzo inaugurale del 1864 fino all’Indirizzo sulla guerra civile in Francia del 1870. Illustrare l’attività di Marx nell’Internazionale significherebbe scrivere la storia di questa stessa Associazione che del resto è ancora viva nella memoria degli operai d’Europa.

La caduta della Comune di Parigi mise l’Internazionale in una situazione impossibile. Essa veniva sospinta al primo piano della storia europea in un momento in cui ovunque le era tolta ogni possibilità di un’azione pratica efficace. Gli avvenimenti che ne facevano la settima grande potenza le vietavano allo stesso ternpo di mobilitare e attivizzare le sue forze militanti, pena la immancabile sconfitta del movimento operaio e il suo arginamento per decenni. Inoltre da diverse parti si facevano avanti elementi che tentavano di sfruttare la fama improvvisamente accresciuta dell’Associazione a scopi di orgoglio o di ambizione personali, senza alcuna comprensione per la reale situazione dell’Internazionale e senza riguardo per essa. Occorreva prendere una decisione eroica, e fu di nuovo Marx che la prese e la portò a compimento al Congresso dell’Aja. Con una solenne risoluzione l’Internazionale declinò ogni responsabilità per le mene dei bakuninisti cui facevano capo quegli elementi irresponsabili e loschi: poi, vista l’impossibilità, di fronte alla generale reazione, di soddisfare le accresciute esigenze che le venivano poste e di mantenersi in piena attività se non a costo di una serie di sacrifici i quali avrebbero necessariamente dissanguato il movimento operaio, l’Internazionale, vista questa situazione, si ritirò per ora dalla scena trasferendo in America il Consiglio Generale. Gli eventi successivi hanno dimostrato la giustezza di questa decisione, tanto biasimata in quel momento e anche in seguito. Da un lato venne frustrato ogni tentativo di ordire in nome dell’Internazionale inutili rivolte, dall’altro lato il perdurare degli stretti rapporti tra i Partiti socialisti operai dei diversi paesi dimostrò che la coscienza della comunanza di interessi e della solidarietà del proletariato di tutti i Paesi, svegliati dall’Internazionale, è capace di farsi valere anche senza il legame di una formale associazione internazionale diventata d’ostacolo in quel momento.

Dopo il Congresso dell’Aja, Marx ritrovò finalmente la tranquillità e il tempo per riprendere i suoi lavori in campo teorico, e c’è da sperare che tra non molto potrà dare alla stampa il secondo volume del Capitale.

Tra le numerose, importanti scoperte con cui Marx ha scolpito il suo nome nella storia della scienza, non possiamo qui rilevarne che due.

La prima è il rivolgimento operato da lui nell’intera concezione della storia universale. Fino a quel momento il concetto della storia era fondato unicamente sull’opinione che le cause prime di ogni mutamento storico fossero da ricercarsi nei mutamenti delle idee degli uomini e che, tra tutti i mutamenti storici, quelli politici fossero a loro volta i più importanti e dominassero tutta la storia. Nessuno si era chiesto però donde venissero agli uomini le idee e quali fossero le cause che danno l’impulso ai mutamenti politici. Solo alla più recente scuola degli storici francesi e, in parte, anche di quelli inglesi, si era imposta la convinzione che almeno dal Medioevo in poi la forza motrice nella storia europea fosse la lotta tra la borghesia in sviluppo e la nobiltà feudale per la conquista del dominio sociale e politico. Ora Marx ha dimostrato che tutta la storia svoltasi fino ad oggi è una storia di lotte di classi, che in tutte le molteplici e complicate lotte politiche si tratta soltanto del dominio politico di classi sociali, del mantenimento del dominio da parte di classi più antiche, della conquista del potere da parte di nuove classi nascenti. Ma qual è la causa del sorgere e del persistere di queste classi? Ne sono causa di volta in volta le condizioni materiali tangibili in cui, in un dato periodo, la società produce e scambia i suoi mezzi di sussistenza. Il regime feudale del Medioevo si basava sull’economia autosufficiente di piccole comunità contadine che producevano quasi tutto ciò che ad esse occorreva, facendo quasi a meno di ogni scambio, e a cui la nobiltà agguerrita offriva protezione verso l’esterno e una coesione nazionale o per lo meno politica; quando sorsero le città, e con esse una particolare industria artigiana e un traffico commerciale dapprima interno e poi internazionale, la borghesia cittadina si sviluppò e si conquistò, lottando contro la nobiltà, ancora nel Medioevo, l’immissione nell’ordinamento feudale come stato anch’esso privilegiato. Ma con la scoperta del mondo extraeuropeo, a partire dalla metà del XV secolo, questa borghesia ebbe un territorio commerciale più esteso e con ciò un nuovo impulso per la sua industria; l’artigianato venne soppiantato nei suoi rami più importanti dalla manifattura che assumeva già carattere di fabbrica, e questa a sua volta dalla grande industria, resa possibile con le invenzioni del secolo passato, particolarmente con quella della macchina a vapore; la grande industria ebbe a sua volta delle ripercussioni sul commercio soppiantando nei Paesi arretrati il lavoro manuale d’una volta e creando in quelli più progrediti gli attuali mezzi di comunicazione, la macchina a vapore, le ferrovie, il telegrafo elettrico. In tal modo la borghesia concentrò sempre più nelle proprie mani le ricchezze sociali e il potere sociale, mentre per lungo tempo ancora rimase esclusa dal potere politico, il quale si trovava in mano alla nobiltà e alla monarchia che si appoggiava alla nobiltà. Ma arrivata a un certo punto - in Francia dopo la Grande Rivoluzione - essa conquistò anche il potere politico e divenne ora a sua volta classe dominante di fronte al proletariato e ai piccoli contadini. Da questo punto di vista è possibile spiegare nel modo più semplice tutti i fenomeni storici - purchè si abbia una sufficiente conoscenza delle condizioni economiche della società di un dato periodo, conoscenza che certo manca totalmente ai nostri storici di professione -, e con altrettanta semplicità si spiegano i concetti e le idee di ogni singolo periodo storico considerando le condizioni economiche della vita e i rapporti sociali e politici che esse hanno determinato in quel periodo. Per la prima volta la storia fu posta sulla sua base reale; il fatto palese, ma finora totalmente ignorato, che cioè gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, abitare e vestirsi e dunque lavorare, prima di ingaggiare la lotta per il potere e prima di essere in grado di occuparsi di politica, di religione, di filosofia, eccetera. questo fatto evidente ebbe ora finalmente il suo dovuto posto nella storia.

Per la concezione socialista questa nuova interpretazione della storia fu della massima importanza. Essa dimostrò che tutta la storia fino ad oggi si muove in contrasti e lotte di classi, che sono sempre esistite classi dominanti e classi oppresse, classi sfruttatrici e classi sfruttate, e che la grande maggioranza degli uomini è sempre stata condannata a duro lavoro e scarso godimento. Perchè tutto ciò? Semplicemente perchè in tutte le precedenti fasi di sviluppo dell’umanità, la produzione era ancora così poco sviluppata che lo sviluppo storico non poteva avvenire se non in questa forma di contrasti e che il progresso storico era in linea di massima affidato all’attività di una piccola minoranza privilegiata, mentre le grandi masse erano condannate a procurare col lavoro i mezzi per il loro misero sostentamento e inoltre quelli sempre più abbondanti per i privilegiati. Ma la stessa analisi della storia, che in questa maniera spiega in modo ragionevole e naturale il dominio di classe, mentre sinora era spiegabile soltanto con la cattiveria umana, porta anche alla convinzione che in seguito ai mezzi di produzione attualmente aumentati in misura così colossale è sparito fin l’ultimo pretesto per una divisione degli uomini in dominatori e dominati, in sfruttatori e sfruttati, per lo meno nei Paesi più progrediti; essa porta pure alla convinzione che la grande borghesia dominante ha compiuto la sua missione storica e non è più in grado di dirigere la società, ma è anzi diventata un ostacolo per lo sviluppo della produzione, ciò che è provato dalle crisi commerciali e particolarmente dall’ultimo grande crollo e dalla depressione industriale in tutti i Paesi; essa porta alla convinzione che la direzione storica è passata al proletariato, una classe che in virtù della sua posizione sociale può liberarsi unicamente abolendo una volta per tutte qualsiasi dominio di classe, qualsiasi servitù e sfruttamento; e che le forze produttive della società, sfuggite al controllo della borghesia, attendono soltanto che il proletariato unito se ne impadronisca per creare una situazione in cui ad ogni membro della società sia possibile partecipare non solo alla produzione, ma anche alla distribuzione e all’amministrazione delle ricchezze sociali e in cui le forze produttive sociali e il loro rendimento vengano talmente accresciute, attraverso la pianificazione dell’intera produzione, da assicurare ad ognuno in misura sempre crescente il soddisfacimento di tutti i bisogni ragionevoli.

La seconda scoperta importante di Marx sta nel fatto di avere finalmente chiarito il rapporto tra capitale e lavoro, di avere provato in altre parole come si compie nell’ambito dell’attuale società, nell’attuale modo di produzione capitalistico, lo sfruttamento dell’operaio per opera dei capitalisti. Da quando l’economia politica aveva stabilito che il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni valore, era diventato inevitabile il chiedersi come mai fosse possibile conciliare con ciò il fatto che il lavoratore salariato non riceveva l’intero valore prodotto dal suo lavoro, ma doveva cederne una parte ai capitalisti. Tanto gli economisti borghesi quanto i socialisti si sforzavano di dare a questa domanda una risposta scientificamente attendibile, ma invano, fino al momento in cui Marx ne presentò infine la soluzione.

Ecco la soluzione: l’odierno sistema di produzione capitalistico ha per presupposto l’esistenza di due classi sociali: da una parte i capitalisti che posseggono i mezzi di produzione e di sussistenza, dall’altra i proletari che sono esclusi da questo possesso, non hanno che un’unica merce da vendere, la loro forza-lavoro, e devono perciò vendere questa loro forza-lavoro per venire in possesso di mezzi di sussistenza. Il valore di una merce viene però determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessaria incorporata nella sua produzione e dunque anche nella sua riproduzione, il valore della forza-lavoro di un uomo normale durante un giorno, un mese, un anno viene dunque determinato dalla quantità di lavoro incorporata nella quantità dei mezzi di sussistenza necessari per il mantenimento di questa forza-lavoro durante un giorno, un mese, un anno. Supponiamo che i mezzi di sussistenza dell’operaio per un giorno abbiano richiesto sei ore di lavoro per la loro produzione ovvero, ciò che è lo stesso, il lavoro contenuto in essi rappresenti una quantità di lavoro di sei ore; in questo caso il valore della forza-lavoro per un giorno si esprimerà in una somma di denaro la quale incorpora in sé pure sei ore di lavoro. Supponiamo inoltre che il capitalista che impiega il nostro operaio gli paghi per il suo lavoro questa somma, l’intero valore dunque della sua forza-lavoro. Se ora l’operaio lavora sei ore del giorno per il capitalista, egli lo ha interamente risarcito delle sue spese: sei ore di lavoro, per sei ore di lavoro. E’ vero che in questo modo al capitalista non rimarrebbe nulla e perciò questi considera la cosa in un modo del tutto diverso: Io, dice, ho comperato la forza-lavoro di questo operaio non per sei ore, bensì per un’intera giornata, e per conseguenza egli fa lavorare l’operaio, secondo le circostanze, otto, dieci, dodici, quattordici e più ore, così che il prodotto della settima, dell’ottava e delle successive ore è un prodotto di un lavoro non pagato e passa intanto nelle tasche del capitalista. In questo modo l’operaio riproduce al servizio del capitalista non soltanto il valore della sua forza-lavoro che gli viene pagato, ma egli produce oltre a questo anche un plusvalore, di cui in un primo momento il capitalista si appropria e che in seguito viene ripartito in base a determinate leggi economiche tra l’intera classe capitalista e forma il nucleo fondamentale dal quale scaturiscono la rendita fondiaria, il profitto, l’accumulazione del capitale, in breve tutte le ricchezze consumate o accumulate dalle classi non lavoratrici. Con ciò era stato dimostrato che l’arricchimento dei capitalisti odierni consiste nell’appropriazione del lavoro altrui non pagato, esattamente come avveniva con l’arricchimento dei proprietari di schiavi o dei signori feudali che sfruttavano il lavoro servile, e che tutte queste forme di sfruttamento si distinguono unicamente per la diversa maniera con cui avviene l’appropriazione del lavoro non pagato. Ma con ciò veniva tolta anche l’ultima base a tutte le ipocrite frasi delle classi possidenti, che affermavano esservi nell’attuale ordinamento sociale diritto e giustizia, uguaglianza dei diritti e dei doveri e una generale armonia degli interessi, e veniva smascherata l’attuale società borghese non meno di quelle precedenti, come una istituzione grandiosa per lo sfruttamento dell’enorme maggioranza del popolo ad opera di una piccola minoranza sempre decrescente.

Su questi due importanti fatti si basa il socialismo scientifico moderno. Nel secondo volume del Capitale vengono ulteriormente sviluppate queste e altre scoperte scientifiche, non meno importanti, sul sistema sociale capitalistico, e con ciò vengono sottoposti ad un rivolgimento anche gli aspetti dell’economia politica non ancora toccati nel primo volume. Ci auguriamo sia concesso a Marx di poterlo passare presto alle stampe.

Note
*1. Il primo censore della “Rheinische Zeitung” fu il consigliere di polizia Dolleschall, lo stesso che a suo tempo cancellò nella “Kölnische Zeitung” l’annuncio della traduzione della Divina Commedia di Dante del Philaletes (il futuro re Giovanni di Sassonia) osservando “Con cose divine non è lecito fare commedie”.

1. “Deutsche Brüsseller Zeitung”.

2. Altissima montagna dell’America del Sud.

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