A manca pro s’Indipendentzia
“A manca” c’invia questa nota, che volentieri pubbblichiamo.
A Manca pro s’Indipendentzia, organizzazione indipendentista
comunista sarda, manifesta tutta la sua più profonda
inquietudine in merito agli accadimenti verificatisi prima,
durante e dopo gli spaventosi incendi che hanno devastato il
centro-nord della Sardigna il 23 luglio 09 e il giorno
precedente il centro-sud.
Sin dalla prima metà del giorno 23, il giorno successivo a
devastazioni incendiarie avvenute nell’oristanese, le
televisioni annunciavano, a mò di previsione meteorologica,
che quella sarebbe stata una giornata di grandi incendi.
Puntualmente nel primo pomeriggio partivano simultaneamente
una quindicina di roghi disseminati in tutto il centro-nord.
Ci chiediamo in base a quali dati le televisioni siano
riuscite a leggere il futuro, dal momento che giornate
parimenti ventose ed altrettanto afose ci siano state
parecchie volte dall’inizio di quest’estate, ma che,
diversamente dalle altre occasioni, non si erano ancora
verificati incendi tanto simultanei e (verrebbe da dire)
organizzati. Forse le televisioni le volte precedenti avevano
letto nel futuro che non ci sarebbero stati e perciò avevano
deciso di non annunciarli? Non è dato sapere come siano andate
le cose allora, né come siano andate il 23, tuttavia appare
abbastanza singolare questa capacità di chiaroveggenza!
Nel momento in cui i fuochi aggredivano mezza Sardigna
contemporaneamente, mentre due lavoratori sardi morivano tra
le fiamme, mentre le aziende agricole costruite con decenni di
sacrifici andavano in fumo in pochi minuti assieme al
bestiame, i mezzi antincendio si trovavano costretti a
sparpagliarsi in ogni dove per cercare di arginare la
catastrofe. Naturalmente la simultaneità dell’emergenza li
metteva nelle condizioni di non poter riuscire a gestire
efficacemente la loro azione su tutti i fronti, dato che come
detto si propagavano una quindicina di incendi. Nel frattempo
però le solerti ed onnipresenti Forze d’Occupazione Italiane,
si “dimenticavano” di chiudere il traffico autostradale
all’altezza di Bonorva in direzione Sassari, lasciando che
decine e decine di macchine si imbottigliassero proprio nelle
zone dove infuriavano le fiamme! In pochi minuti a breve
distanza dai roghi si formava una fila di macchine lunga dieci
chilometri. Gli automobilisti, terrorizzati e sprovvisti di
una qualsiasi informazione stradale, senza alcun tipo di
soccorso e senz’acqua tra temperature di 50 gradi, non hanno
potuto far altro che sperare nella buona sorte. Se il vento
avesse improvvisamente girato direzione sarebbe stata una
strage ancor più grande di ciò che purtroppo è già stata.
In seguito, zelanti politici si avvicendavano a gridare ai
quattro venti che c’è una strategia dietro quegli incendi,
lasciando intravedere le vecchie teorie dell’allora Ministro
Pisanu su fantomatici sovversivi incendiari.
Detto questo mettiamo insieme questi dati in maniera
cronologica:
1) le televisioni spostano l’attenzione pubblica su una
tragedia che sta per avvenire ma che ancora non c’è stata
(come avranno fatto a sapere che ci sarebbe stata non si sa!)
2) le fiamme partono nello stesso spazio di tempo ma in posti
diversi, in maniera coordinata ed evidentemente organizzata,
rendendo impossibile per i mezzi antincendio riuscire a
governarle tutte
3) mentre gli incendi devastano e uccidono, le Forze
d’Occupazione Italiane non ricevono l’ordine di impedire che
gli automobilisti vadano ad imbottigliarsi tra le fiamme, e
lasciano per ore le strade aperte. (Qualcuno cercava una
strage di massa? E perché?)
4) a cose concluse i politici si abbandonano a dichiarazioni
senza prove annunciando che c’è una precisa strategia, ma
nulla dichiarano sulla natura e sulle finalità di questa
strategia.
Mettendo insieme questi fattori sembrerebbe di vedere che si è
orchestrata una grande tragedia, addirittura una probabile
strage, e che da più parti ci fossero attori con un ruolo da
svolgere: alcuni diffondono allarmi, altri incendiano, altri
lasciano che la gente vada ad arrostirsi, altri ancora
dichiarano che c’è una precisa “strategia”
Pur nella grande confusione che regna su cose che non si
possono sapere, a Manca pro s’Indipendentzia sospetta che
probabilmente con l’uso omicida del fuoco “qualcuno” vorrebbe
sollevare un’indignazione dell’opinione pubblica abbastanza
grande da far accettare qualunque misura. Come ad esempio una
completa, generale e totale militarizzazione del territorio,
che come contrasto a crimini così orrendi verrebbe accettata e
tollerata dalle popolazioni.
A Manca pro s’Indipendentzia (a differenza dei politici
“sardi” e italiani, che dicono che c’è una strategia ma non ci
spiegano chi è lo stratega!) non ha nessuna certezza su come
siano andate le cose, però ha tanti sospetti. Uno di questi
potrebbe essere: una simile tragedia potrebbe avere come
motivo scatenante la volontà di militarizzare i nostri
territori? Ci chiediamo se magari chi un domani verrà chiamato
a curare un male possa essere lo stesso che il male lo ha
creato oggi!
Ma le nostre sono solo domande. Invitiamo tutti i Sardi a
riflettere…
3 commenti
1 M.P.
27 Luglio 2009 - 23:56
Qui, ma anche altrove, si finisce male.
La questione posta da “A Manca” è plausibile; in base a precedenti esperienze sappiamo che tutto è possibile.
Strategia della tensione in un periodo in cui “dilaga” una sorta di “ventata separatista” in tutta l’Italia, e in particolare da noi?
Interessi di qualche categoria come produttori o commercianti di Mangimi?
Altro?
La stessa domanda però me la pongo anche per le epidemie “pandemiche”, naturalmente.
Produttori o commercianti di Medicinali?
Strategia di qualche genere?
Altro?
Il mondo diventa sempre difficile da capire e interpretare; persino la Sardegna.
Forse, tornando la Sardegna ad essere SARDA, chissà…!
2 Democrazia Oggi - Conto gli incendi? Anzitutto l’autodifesa delle comunità
29 Luglio 2009 - 06:05
[…] Le domande di A Manca sottendono una visione un pò ingenua e fanno riemergere una tentazione ricorrente, quella di ipotizzare cause dei fenomeni incendiari estranee alla realtà sociale e territoriale sarda contemporanea. Basta leggere i giornali di oggi per rendersi invece conto che non c’è molto di nuovo in quello che è accaduto. Le notizie fornite dagli investigatori riconducono gli episodi dei giorni scorsi a due categorie. La prima è quella degli Incendi dolosi (la più parte): finalità principale è quella di arrecare un danno specifico ai proprietari di determinati fondi o aziende. Il paradosso è dato dalla stessa legislazione statale antincendi, nata dall’intento di stroncare l’uso del fuoco ai fini di speculazione, sopratutto edilizia. Chi appicca l’incendio oggi sa in genere benissimo che oltre al danno contingente scattano i vincoli della legge 353 del 2000: per dieci anni i terreni bruciati diventano inutilizzabili e, se si tratta di zone boscate (in Sardegna ci rientrano anche i pascoli arborati e vaste zone a prevalente macchia mediterranea), non ci si può costruire, coltivare, pascolare e nemmeno compiere interventi di rinaturalizzazione. Il proprietario vittima dell’incendio è praticamente rovinato. Tra gli incendi dolosi rientrano anche quelli originati da cause “sociali”: ritorsioni contro enti pubblici per mancate erogazioni di benefici, per mancate assunzioni in cantieri forestali, minacce o vendette o atti di vandalismo contro amministrazioni o amministratori comunali. La seconda cetegoria è quella degli incendi colposi: più o meno il trenta per cento quanto a numero dei fuochi, ma assai di più quanto a conseguenze in termini di estensione dei territori colpiti, per effetto di un altro paradosso: l’incendio doloso è spesso (non sempre) ben organizzato e tendenzialmente circoscritto, anche se chi lo appicca mette nel conto che possa “scappare” o addirittura ne favorisce l’estensione per occultare l’individuazione del vero obiettivo; l’incendio colposo è di per sè “scappato”, è imprevisto e imprevedibile, può partire dovunque e arrivare dovunque. Uso di fresatrici (incendio di Monte Arci), di decespugliatrici (Tresnuraghes), persino di attrezzature da barbecue e chi più ne ha più ne metta, in un contesto di assoluta perdita di quella dimestichezza col fuoco che avevano le genti sarde e in particolare pastori e contadini in passato e che non hanno affatto i nostri contemporanei. Chi appicca il fuoco dolosamente non ha bisogno dei giornali per sapere quali sono le giornate più adatte (sono assolutamente prevedibili a chiunque conosca i cicli a breve del maestrale e dello scirocco). Chi lo innesca per colpevole imperizia, al contrario, non solo non sa nulla dei cicli del vento, ma i giornali neppure li legge. Aggiungiamo ancora tralicci elettrici, linee ad alta tensione, cabine di trasformazione lasciati a sè stessi da gestori pubblico-privati irresponsabili. Nessun complotto, quindi. L’apparato antincendio non sempre funziona al meglio? Il coordinamento tra le forze impiegate non solo nello spegnimento ma anche nella gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza mostra delle falle? Capita. Ma nessun apparato sarà mai in grado di controllare completamente il fuoco in un territorio così vasto come la Sardegna. Certo invece che un’accurata prevenzione (la manutenzine costante e la ripulitura dei punti più critici di strade, linee elettriche, periferie dei centri abitati, confini dei fondi e delle aziende agricole e zootecniche) può scongiurare la morte di persone e di animali. Certo ancora che una capillare informazione (ri-educazione) sul pericolo endemico del fuoco in ambiente mediterraneo potrebbe ridurre gli incendi causati da imperizia. Certo anche che una seria collaborazione dei cittadini nella individuazione e nella denuncia dei responsabili, al fine di applicare pene che già sono previste dalla legge e che sono abbastanza pesanti, se inflitte e scontate davvero, aiuterebbe a scoraggiare gli incendiari dolosi e quelli che maneggiano fuochi, attrezzi e territori in modo imbecille. Tutto ciò si chiama autodifesa delle comunità: un tempo faceva parte della cultura delle campagne e dei paesi della Sardegna (esemplari i contenuti, in materia, della Carta de Logu arborense). Oggi nelle nostre comunità, anche rurali, si respira una subcultura da periferia urbana, tanto indifferente al valore del territorio quanto tendente a deresponsabilizzarsi dalla sua gestione e ad accettare vecchi e nuovi sensazionalismi. […]
3 M.P.
30 Luglio 2009 - 00:04
D’accordo, d’accordo; eppure qualche dubbio mi rimane, non so perchè. Elementi non ne ho, ma ci voglio riflettere un pochino.
Prima erano i pastori che volevano garantirsi l’erba più abbondante e “pulita”; ora sempre loro per le piccole vendette…
Non sono molto convinto, nonostante qualche caso possa essere di tal genere.
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