Andrea Pubusa
Mentre si è positivamente aperta la discussione sulla riforma della legislazione elettorale regionale mirata alla restaurazione di una accettabile democrazia in Sardegna, sottolineo in questa direzione due idee, peraltro già considerate nella proposta della Scuola di cuĺtura politica F. Cocco, illustrata lunedì da Fernando Codonesu in una affollata assemblea pubblica a Cagliari.
La prima riguarda le iniziative di legge popolare. Sono state raccolte 210 firme sul testi di legge c.d. Pratobello24. sono state depositate in Consiglio regionle, ma non è stata ancora fissata la discussione in Commissione nè è stata annunciata una data di avvio della procedura. Si tratta di un comportamento scorretto istituzionalmente che comprime senza giustificazione una manifestazione di volontà popolare, legittimamente espressa. I costituenti non hanno previsto alcun obbligo di esame e tantomeno di approvazione, ma hanno confidato nella sensibilità e correttezza cosstituzionale degli organi legislativi. Ma - ahinoi! - queste virtù democratiche non si sono manifestate spontaneamente in alcun luogo, nè a Roma nè, per quanto ci riguarda. a Cagliari.
Se il galateo costituzionale latita, occorre una disciplina. Ad esempio stabilire nel regolamento del Consiglio che le iniziative popolari vanno portate all’esame della Commissione competente entro un termine predeterminato (90 giorni?) ed esitate in un tempo accettabile (6 mesi?). Occcorre anche prevedere una sanzione in caso di inadempimento (blocco dei lavori delle Commissioni e del Consiglio fino all’adempimento?). So che ci possono essere molte osservazioni intorno a questa proposta, perché incide sulla discrezionalità dell’Assemblea regionale, ma non si può tollerare che gli istituti di democrazia diretta previsti nella legislazione costituzionale siano vanificate da condotte antidemocratiche. Per questo il testo della proposta Codonesu rimette alla legge una disciplina in materia, seppure con diversa declinazione Rispetto a quella ora illustrata.
Seconda questione. La parità di genere. Se ne parla tanto e molti passi in avanti sono stati fatti. 50 anni orsono non c’era un magistrato donna, ora sono la maggioranza. altrettanto nella scuola e grande crescita c’è anche nelle università. Scarso esito ha avuto invece la parità nella politica, nelle istituzioni rappresentative. L’intervento sulla disciplina delle preferenze ha dato scarsi risultati. In Consiglio regionale la doppia preferenza ha inciso poco, la parità è lontana. C’è un’eguaglianza formale, di fronte alla legge, ma manca l’uguaglianza sostanziale, fra gli eletti. Ed è noto che l’art. 3 della Costituzione pone alla repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ostacolano la parità e la partecipazione dei lavoratori (ossia della parte finora subalterna) alla politica del paese. Se i rimedi finora disposti non hanno raggiunto un risultato accettabile, bisogna pensare altro. Per esempio, stabilire che nell’assegnazione dei rappresentanti alle liste uomini e donne siano in numero pari. Una lista elegge due consiglieri? Entrano la donna e l’uomo più votati. Ne invia sei? Vanno in Consiglio i tre candidati con maggiori preferenze e le tre donne più votate, ancorche’ abbiano meno preferenze del 4°, 5° e 6° uomo con migliori preferenze. Uguaglianza perfetta.. Si viola così la volontà popolare? Nè più nè meno di quantio si fa oggi con sbarramenti irragionevoli e premi di maggìoranza. In questo caso però lo si fa non per favorire questo o quel candidato oppure questa o quella lista, ma per rendere uguali donne e uomini, rispettandone grosso modo la reale consistenza numerica. In fondo oggi se gli uomini prevalgono negli organi elettivi vistosamente è perche’ hanno più tempo da dedicare alla politica. Le donne stanno di più a casa. Se si dedicano di più alla famiglia, questa circostanza non dev’essere ragione di penalizzazione nella rappresentanza. Anzi, meritano un premio o quantomeno una compensazione. O no?
1 commento
1 Franco Meloni
17 Marzo 2025 - 07:46
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