Il 10 febbraio 2025 il “Treno del Ricordo, l’esodo giuliano-dalmata” è tornato ad attraversare l’Italia con una mostra multimediale dedicata soprattutto agli studenti delle scuole superiori. Ma l’esposizione è talmente intrisa di semplificazioni e scorrettezze storiche da far credere allo studioso che l’ha visitata di essere immerso in una realtà distopica dove, per dirla con Orwell, la ripetizione ossessiva di slogan falsi rende vere le bugie
A quanto pare non bastano tutti i disagi che compagnie ferroviarie e una scellerata gestione del traffico su rotaia infliggono ai passeggeri. Anche quest’anno infatti molte stazioni italiane saranno costrette a ospitare per un mese intero – ovviamente febbraio – il “Treno del Ricordo, l’esodo giuliano-dalmata”. Si tratta di un mostra temporanea multimediale, prodotta da una serie di ministeri ed enti governativi tra cui la Presidenza del Consiglio e la Rai, realizzata per la prima volta nel 2024.
Naturalmente è l’ennesima iniziativa dedicata al tema delle foibe e dell’esodo, che pare ormai essere l’unico argomento storico, o culturale in genere, su cui il governo investe, se si escludono alcuni chiodi fissi ideologici dell’estrema destra come D’Annunzio, il Futurismo o il mondo allegorico di Tolkien.
Così, mentre le scuole cadono a pezzi, manca il budget per la sanità pubblica e i treni in orario sono un ricordo del “ventennio” che ha preceduto l’attuale governo, una delle associazioni nostalgiche annuncia con entusiasmo che la premier Giorgia Meloni potrebbe nuovamente presenziare, il 10 febbraio, all’inaugurazione del Treno del Ricordo.
Inoltre è evidente e di sicura efficacia il richiamo ai noti Treni della Memoria che da decenni portano ragazzi di tutta Italia e di tutte le classi d’età a visitare i campi di sterminio nazisti. Ancora una volta dunque si ripropone simbolicamente l’equiparazione fra i due eventi storici, rappresentando forzatamente le foibe come “la nostra Shoah”.Ma come appare nel concreto la mostra, che messaggi veicola?
Il percorso attraverso i vagoni è scandito da tutti i miti propagandistici sul tema già ampiamente smentiti dagli storici. A uno studioso pare quasi di trovarsi in una realtà distopica nella quale, secondo la ben nota logica orwelliana, la ripetizione ossessiva di slogan falsi rende vere quelle bugie. Si parte ovviamente dall’italianità delle terre di confine, ribadita dai simboli che dovrebbero darne conferma: dall’anfiteatro di Pola ai leoni di San Marco. “Istria, Fiume e Dalmazia. Terre crocevia di culture e popoli, da sempre legate all’Italia”, c’è scritto su un pannello. Ma che fine hanno fatto nell’esposizione questi altri popoli? Scomparsi, letteralmente, in modo da apparire nient’altro che invasori, barbari pronti a cancellare le radici puramente italiane di quella terra. Seguono infatti le violenze dei partigiani jugoslavi, una sequenza di orrori motivati solo dalla volontà di rapina e da un odio inspiegabile verso i pacifici italiani.
Niente ovviamente sulle violenze fasciste, sui crimini di guerra italiani, sul terrore nazista che hanno preceduto la resa dei conti di fine guerra. Tranne la seguente frase, che farebbe sorridere se non nascondesse la volontà di capovolgere il significato del peggiore conflitto della storia dell’umanità: “Lo scoppio della Seconda guerra mondiale acuì lo scontro fra i totalitarismi e si ripercosse pesantemente sul confine orientale”. Tutto qui. “I totalitarismi”, tutti ugualmente colpevoli, si scontrano fra loro e portano morte e distruzione in Istria e Dalmazia. Insomma, come dire che sovietici e jugoslavi si sono fatti invadere e massacrare apposta da fascisti e nazisti pur di portare il comunismo nel cuore dell’Europa!
In compenso si sprecano i dettagli raccapriccianti delle violenze jugoslave e fanno bella mostra di sé gli slogan presenti in ogni rievocazione, in ogni lapide, in ogni dichiarazione politica, a dispetto della loro falsità: “Uccisi solo perché italiani” e “La pulizia etnica contro gli italiani”.
Solo alla fine arriva un frettoloso riferimento ai profughi dalla Jugoslavia dopo la guerra, a cui teoricamente dovrebbe essere dedicata l’intera esposizione. Qui ovviamente non può mancare l’episodio della stazione di Bologna, in cui un treno di esuli viene accolto tra le proteste di attivisti di sinistra. L’ennesimo esempio che dovrebbe dimostrare la crudeltà comunista, ignorando naturalmente la realtà di accoglienza da parte di tutte le amministrazioni locali dell’epoca a guida PCI. Ma come in altri prodotti propagandistici, l’unico obiettivo è quello di suscitare orrore e odio, a prescindere dalla complessità storica. Mostrando così ben poco rispetto anche verso i poveri profughi dell’epoca, la cui tragedia non interessa certamente chi oggi condanna a morte con leggi ingiuste altri profughi in fuga da altre guerre e da altre violenze.
In sostanza il visitatore è obbligato a entrare nel vagone e ascoltare fino alla fine, immobile, intruppato insieme agli altri, senza possibilità di muoversi, di tornare indietro o di andare avanti. In questo modo nessuno può sfuggire al racconto propagandistico trasmesso dal video e dagli altri messaggi presenti sulle pareti dello spazio angusto in cui è costretto. Insomma, non una libera visita, ma una visione obbligata pensata come uno strumento di rieducazione politica in perfetto stile stalinista. Ci manca forse un interrogatorio finale, durante il quale, per poter tornare liberamente alle proprie case, sia necessario ripetere gli slogan appresi; ma non disperiamo che si possa operare questo upgrade nella imminente prossima edizione.
In definitiva davvero si può dire che si tratti di un’esperienza immersiva. Ma più che negli esuli di fine guerra il visitatore finisce per immedesimarsi nella famosa scena di Arancia meccanica, il capolavoro di Stanley Kubrick, in cui il protagonista è costretto ad assistere a filmati rieducativi, legato a una sedia con gli occhi forzatamente sbarrati. Se è questa l’idea di “egemonia culturale” che hanno i nostri governanti, direi che possiamo davvero ritenere la nostra democrazia in pericolo.
Eric Gobetti, storico del fascismo, della seconda guerra mondiale, di Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento. Sul tema è autore di documentari, “Partizani” e “Sarajevo Rewind”, e di numerose monografie; esperto in politiche della memoria, per Laterza ha pubblicato “Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)” nel 2013, nella serie ‘Fact Checking’ “I carnefici del duce” nel 2023 e “E allora le foibe?” nel 2021. Nel 2024 ha scritto per la Miraggi edizioni: “Le straordinarie avventure del professor Toti nel mondo dei cevapčići”
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