Luigi Pintor
Azione “fulminea” e “rappresaglia” furono due dati distintivi della guerra nazista. Della rappresaglia, in particolare, gli ebrei furono la vittima storica. Oggi, Golda Meir e Dayan la scatenano altrettanto fulminea e feroce, contro i profughi palestinesi, prima cacciati con le armi dalle loro case, ed ora inseguiti e fatti a pezzi dalle bombe nei loro miseri rifugi in altre terre arabe. La nostra stampa borghese, i propagandisti del terrore legale e della guerra imperialista, gli uomini di cuore straziati dal sangue versato in una palazzina olimpica, asciugano ora le lacrime e tornano a sorridere, felicemente risarciti con cadaveri di donne e bambini trionfalmente vendicati da una flotta aerea mille volte più nobile del coltello dei feddayn. Questo non è finalmente, il crimine turpe dello straccione, è il diritto luminoso dei signori della guerra. Non è più sangue e barbarie e terrore, è potenza e pulizia. Non è merda, è civiltà. Aspettiamo il pagliaccio di turno che dica: l’hanno voluto loro. Occhio per occhio, dente per dente: ecco la prova che il terrorismo non paga (qualche disgraziato, anche a sinistra, già l’ha detto). Come se la guerra fosse cominciata ieri in Palestina. Come se quei profughi oggi uccisi nei loro campi non fossero i sopravvissuti di uno sterminio a cui da anni concorrono la generosa Israele, Hussein il gentiluomo, la incorrotta destra egiziana, con la complicità vorace delle grandi potenze, la vergogna sordida dell’ONU, l’inerzia che la grande opinione pubblica riserva alla causa dei deboli, per meglio concentrare le sue emozioni sui lutti olimpici. Come se i capi di Israele non dichiarassero sfacciatamente al mondo che la “rappresaglia” è in scientifica continuità con la guerra, per consolidarne ed esternderne i risultati, col fine di legittimare per sempre l’usurpazione territoriale e politica. Oggi non è solo chiaro che i 17 macellati all’aeroporto di Monaco potrebbero essere vivi al Cairo se i poliziotti di Brandt (anche di Brandt caro Avanti! non solo di Strauss) e i capi di Israele non ne avessero decretato la morte. Oggi non è solo chiaro da chi quel macello è stato voluto, ma perchè e in quale quadro è stato voluto. Non perchè c’era un ricattato che non poteva cedere al ricattatore, ma perchè c’è un oppressore che non può cedere all’oppresso, non può ammetterne la rivolta e neppure l’esistenza, preferisce sterminarlo e lo stermina, in Germania come in Palestina. E nel quadro di una guerra di aggressione e di annichilimento di un popolo povero, simbolo delle minoranze e delle classi subalterne contro cui in tutte le società capitalistiche si accentua la repressione. Chi sono i macellai, chi sono i terroristi, chi sono gli oppressori? Basta con questa storia, conosciamo a memoria le posizioni di principio, politiche e morali, che il movimento operaio ha maturato nella sua storia sulla lotta rivoluzionaria e i suoi metodi. Sono le nostre. Non i manualetti di marxismo, però. Guai a chi, a sinistra, anche per un momento mette tra parentesi la causa degli oppressi, confonde le vittime con i carnefici, crede di stare nel mezzo. Oggi costui si accorgerà forse di avere, nei giorni di Monaco subito una manipolazione che lo ha portato a piangere le stesse lacrime e trasudare la stessa indignazione dei cecchini di Baviera e dei piloti di Dayan, dei macellai in nero e dei benpensanti a colori di tutto il mondo. Anche se ora riscopre, più scientificamente, le colpe dell’imperialismo: con meno emozione, tuttavia, perché la morte si armonizza al paesaggio palestinese infinitamente meglio che alla Monaco olimpica.
10 settembre 1972
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