Anche senza referendum il controllo popolare resta sempre necessario

3 Febbraio 2025
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 Alfiero Grandi

La decisione della Corte costituzionale blocca il referendum sull’autonomia regionale differenziata (l. 86/24) creando una difficoltà all’ampio movimento unitario, sociale e politico, cresciuto con un lavoro di anni fino ad essere temuto da Calderoli e dal governo.
E’ purtroppo una battuta d’arresto per il lavoro che puntava a informare e a coinvolgere ancora di più le persone durante la campagna elettorale per il referendum abrogativo, parte di un pacchetto di referendum di cui 5 ammessi.
Ci impegneremo comunque tutti a sostenere gli altri 5 referendum e individueremo nuove modalità per proseguire il contrasto alle scelte del governo che ha voluto e fatto approvare la legge 86/24.
Dal blocco del referendum non consegue la rinuncia a contrastare la legge Calderoli, anzi le dichiarazioni del neo Presidente della Corte costituzionale incoraggiano ad incalzare il governo. Quelli che Calderoli definisce “avvoltoi” continueranno a contrastare le scelte inaccettabili che ha portato avanti con la legge 86/24 anche senza il referendum. Zaia se ne faccia una ragione.
La Corte va ovviamente rispettata ma le decisioni possono essere criticate nel merito.
La Corte costituzionale era già intervenuta sulla legge Calderoli con una pesante sentenza (192/24) dichiarando l’incostituzionalità di 7 punti, riscrivendone altri 5 e ricordando che la Corte vigilerà sui nuovi testi legislativi e sulla loro attuazione - come ha ricordato il neo Presidente Amoruso - pur non arrivando a dichiarare incostituzionale l’intera legge.
Malgrado la pesante sentenza della Consulta il governo e la maggioranza non ne hanno tratto la conseguenza logica di tornare in parlamento con una nuova proposta.
Non risulta che la Corte costituzionale abbia tenuto in conto l’argomento del collegamento della legge 86/24 a quella di bilancio.
La Corte invece ha bocciato il referendum abrogativo perché ha ritenuto di non facile comprensione il quesito sottoposto a referendum, che poteva prefigurare indirettamente un coinvolgimento dell’articolo 116 c.3 della Costituzione.
Ne saranno rimasti stupiti i 25 magistrati della Cassazione che hanno invece ritenuto ammissibile il referendum il 20 dicembre non solo per il numero delle firme (1.291.248) ma perché hanno giudicato trasferibile il quesito dalla legge 86/24 al testo come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale (192/24).
Va sottolineato che la Cassazione ha scritto alla fine della sua sentenza di ammissibilità il nuovo testo del quesito referendario abrogativo sulla legge 86/24 indicando con chiarezza che si riferiva al testo della legge come modificato dalla Corte costituzionale.
La Corte costituzionale non sembra avere tenuto conto della sentenza dei 25 giudici della Cassazione, dando l’impressione che la non ammissione del referendum risalga al momento della sentenza 192/24.
In una conferenza stampa l’ex presidente Barbera aveva affermato che pesano ancora nelle discussioni sulla Costituzione opinioni fondate sul timore del tiranno, che potrebbe essere ritenuto superato. Ovviamente la nostra Costituzione è coerente con un’Italia da rinnovare dopo la dittatura, ma con tutto il rispetto, l’avvento di Trump e dei super ricchi al governo degli Usa dice il contrario, come ha denunciato anche Biden prima di lasciare. Le democrazie corrono il serio rischio di assomigliare alle esecrate autocrazie.
Un altro timore sembra avere influito sulle decisioni e cioè che un referendum popolare possa destare preoccupazione, essere un elemento divisivo del paese. A parte il rovesciamento delle responsabilità visto che il referendum propone di abrogare qualcosa fatto da altri, in sostanza è una reazione, le democrazie, Italia compresa, hanno una crisi di credibilità e di partecipazione democratica alle scelte politiche, con un aumento dell’astensionismo elettorale, di caduta della partecipazione, di allontanamento dalle istituzioni democratiche.
I referendum possono contribuire a riportare elettrici ed elettori a partecipare e a decidere, guardare con preoccupazione a questa forma di partecipazione democratica è un errore che può costare caro alla democrazia.
E’ curiosa l’affermazione che il quesito referendario avrebbe finito per diventare un giudizio sull’articolo 116 c.3, visto che la Consulta ha ristretto l’area delle materie che sarebbero devolvibili alle regioni, togliendo commercio con l’estero, ambiente, energia, porti, aeroporti, reti, istruzione, professioni, modificando di fatto l’art. 117 della Costituzione.
Vigileremo sull’attuazione delle modifiche imposte con la sentenza 192/24, segnalando alla Corte le forzature, con un attento monitoraggio per evitare distrazioni della Corte costituzionale. Un controllo popolare dal basso non può che far bene a tutti.

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