Enrico Berlinguer: «Caduto in battaglia»

18 Agosto 2009
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Luigi Pintor

Provo moltissima difficoltà a scrivere di Enrico Berlinguer. Non è solo per tristezza. Sento quello che è successo come una tragedia politica. È come se quest’uomo integro, verso il quale ho sempre provato una istintiva amicizia che in qualche modo sentivo ricambiata, fosse caduto vittima di uno sforzo troppo grande. Caduto in battaglia è una brutta espressione retorica, eppure è così. Come segretario del Partito comunista, ma io credo anche come persona, come coscienza politica e morale, Berlinguer aveva avvertito che la democrazia italiana sta correndo grandi rischi, che molti valori essenziali che abbiamo cercato di affermare nella società nazionale in questi decenni sono stati minacciati. E ha trovato, negli ultimi tempi, lui per sua natura così prudente, accenti estremi per esprimere questo convincimento, e suscitare energie capaci di rovesciare l’andamento delle cose. È tragico, e sembra quasi un ammonimento per noi, che si sia spezzato sotto questa tensione.
(..) Egli appartiene a una generazione che, incontrandosi con il movimento operaio negli anni della seconda guerra mondiale, fece molto di più di una scelta politica come può essere intesa oggi, si identificò con una causa ideale e ne fece un modo di essere. Se non è stato facile per nessuno, in questi decenni, reggere alle tempeste che si sono abbattute sull’universo comunista senza smarrirsi e confondersi, quanto deve essere costato di intelligenza e sensibilità a uno che è diventato un capo senza pretenderlo?
Schivo e fragile, sono due definizioni di Berlinguer che si leggono oggi sui giornali e facilmente si associano alla sua immagine: eppure ha aiutato milioni di uomini a orientarsi in un combattimento divenuto sempre più difficile.
Tratto da l’Unità del 13 giugno 1984

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