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La crisi continua a deprimere i consumi e rischia di accelerare tendenze già in atto, seppur con ritmi meno intensi, nella rete commerciale italiana. Come la scomparsa dei negozi di quartiere. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat indicano un calo del 2,9% a maggio delle vendite al dettaglio rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Ma a soffrire di più sono i piccoli negozianti che hanno visto diminuire il giro d’affari del 3,8%, con un ritmo più che doppio rispetto alla grande distribuzione (-1,5%). Una deriva insostenibile secondo la Confesercenti che prevede quest’anno, come conseguenza, un saldo negativo fra nuove aperture e chiusure per botteghe e negozi di almeno 50.000 unità. L’avanzata della grande distribuzione che, grazie alle economie di scala, è più strutturata per resistere in un ciclo congiunturale negativo come l’attuale, viene da lontano. Lo scorso anno, nonostante la crisi già in atto, supermercati, e ipermercati fecero segnare un incremento delle vendite dell’1,6%, a fronte di un calo dei piccoli commercianti dell’1,7%. “I piccoli esercizi - avverte il presidente di Confesercenti Marco Venturi - restano sott’acqua, con intatto il rischio di una emorragia di chiusure che potrebbe toccare nel 2009 un saldo negativo di almeno 50 mila unità”.
Il divario maggiore tra grandi e piccoli riguarda il settore alimentare: i negozi di quartiere hanno subito in un anno un calo delle vendite del 4,4%, a fronte del più contenuto -1,7% subito dalla grande distribuzione. Anche nel caso delle vendite di generi non alimentari, comunque per i piccoli è stata una debacle: nel confronto con il maggio 2008 le vendite si sono ridotte del 3,6%, tre volte tanto quelle della grande distribuzione. Il colpo d’acceleratore è ampiamente attribuibile alla crisi, che ha modificato le strategie di risparmio da parte delle famiglie. Oltre il 40% - secondo l’Istat - ha dichiarato di aver limitato l’acquisto o scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto all’anno precedente.
E in questa strategia rientra anche la preferenza per la scelta degli acquisti in Supermercati, Discount e grandi magazzini. Continua infatti ad aumentare la percentuale di famiglie che acquistano generi alimentari (pane, pasta, carne, pesce, frutta) presso gli hard-discount (dall’8,6% del 2006, al 9,7% del 2007, al 10,9% del 2008). Il supermercato rimane il luogo di acquisto prevalente (68,1%, era il 67,8% nel 2007), soprattutto nel Centro-nord (superiore al 70%), immediatamente segue il negozio tradizionale (63,7%, era il 64,7%) in particolare nel Mezzogiorno (76,2%) e per l’acquisto di pane (59,4%). Il 17,2% delle famiglie acquista presso ipermercati, con punte del 22% nel Nord, dove questa tipologia distributiva è più diffusa. Al mercato si reca circa il 22% delle famiglie del Centro-nord (erano il 20% nel 2007) contro il 33,1% delle meridionali (erano il 31,4%).
Coi piccoli negozi di quartiere scompare una rete di rapporti personali, cresce l’anomia della città e l’isolamento delle persone. Ma in fondo è ciò che vuole il capitale: pompare soldi e impedire le relazioni che creano solidarietà. I dati Istat fotografano questo impoverimento.
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