L’Intelligenza Artificiale è neutra?

30 Novembre 2024
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La direttrice di MicroMega sostiene che è neutrale, ma non neutra. Scopri perché.

 

Condividiamo il Prologo del numero 6/2024 di MicroMega dedicato all’Intelligenza Artificiale.

Umana, troppo umana. L’IA e noi

di Cinzia Sciuto

Si dice spesso che la tecnologia è neutra e tutto dipende dall’uso che se ne fa: un coltello puoi usarlo per tagliare il cibo per nutrirti o per uccidere. Il coltello, in sé, non uccide né è fatto, in sé, per uccidere. Questo approccio di apparente buon senso è in verità foriero di molti equivoci, e questo sia da parte di chi lo difende sia da parte di chi lo nega e sostiene invece che la tecnologia non sia neutra proprio per nulla. Di norma i fautori della tesi “la tecnologia è neutra” sono tendenzialmente coloro che hanno fiducia nello sviluppo tecnologico e ne colgono tutti i possibili vantaggi; mentre coloro che sostengono che la tecnologia non sia affatto neutra sono di norma molto critici nei confronti dei suoi sviluppi, vedendovi innanzitutto un perverso percorso di alienazione e, in ultima analisi, di (auto)distruzione. A me pare che abbiano tutti ragione, e che molto spesso le lunghe discussioni fra “apocalittici e integrati” ruotino attorno a un equivoco.

Potremmo infatti dire che la tecnologia in sé è neutrale, ma non neutra. È neutrale nel senso che non ha scopi etici o politici intenzionali. Il coltello non ha nessuna intenzione di uccidere per il semplice motivo che non è dotato di nessuna volontà, non è un essere a cui poter attribuire intenzioni, desideri, scopi, responsabilità. Se non utilizzato da un essere dotato invece di queste caratteristiche rimane inerte sul tavolo, e non fa male a nessuno (finché qualcuno incidentalmente non ci mette una mano sopra…). Ma la tecnologia non è neutra, ossia non è un elemento che, una volta introdotto nell’ambiente, non ha su di esso nessun effetto, come i gas inerti. E questo per varie ragioni.

Innanzitutto ciascuna tecnologia possiede una “logica” di funzionamento interno che condiziona in maniera spesso determinante l’ambiente circostante e chi la usa, influenzando in maniera più o meno significativa scelte e comportamenti. Negli anni Ottanta gran parte della quotidianità di molte famiglie era scandita dagli orari del palinsesto televisivo, mentre oggi con la tv on demand e lo streaming in molte famiglie non si sa neanche più cos’è un palinsesto tv.

In secondo luogo ogni tecnologia apre spazi di possibilità che rendono possibili cose che prima non solo non erano possibili, ma spesso neanche letteralmente pensabili. Questo ha un effetto immediato sui nostri desideri e, dunque, sul nostro modo di essere, sentire, relazionarci con noi stessi e con gli altri, su aspettative, sogni, passioni, progetti, intenzioni.

In terzo luogo, fin dall’invenzione della ruota o dalla scoperta del fuoco, ogni innovazione ha avuto effetti più o meno grandi a tutti i livelli della nostra vita: personale, sociale, etica, politica, urbanistica e persino fisica.

Sostenere dunque che con l’introduzione dell’IA siamo di fronte a una “rivoluzione antropologica” (visione che accomuna apocalittici e integrati) è allo stesso tempo verissimo e banale. Potremmo occupare pagine e pagine con l’elenco delle innovazioni che hanno provocato cambiamenti radicali a un livello tale da poterle ben definire “rivoluzioni antropologiche”. Pensiamo per esempio all’invenzione del motore a scoppio, che ha inciso in maniera eclatante sulla costruzione delle città, sul nostro rapporto con lo spazio e il tempo, con il viaggio, con il nostro corpo, con il lavoro. Per non parlare delle straordinarie innovazioni nel campo delle telecomunicazioni, dalla radio a internet, passando per il telefono. Ma talvolta persino invenzioni semplici hanno la capacità di stravolgere interi assetti sociali ed economici: è il caso del “container”, la scatola che – consentendo di tagliare costi e tempi di trasporto delle merci – ha dato una fortissima accelerazione alla globalizzazione economica e di fatto ha «cambiato il mondo» (cfr. Marx Levinson, The box. La scatola che ha cambiato il mondo [2006], trad. it. di Sandrina Murer, Egea, seconda edizione 2021).

L’Intelligenza Artificiale dunque non è la prima, e non sarà neanche l’ultima innovazione tecnologica che stravolgerà le nostre vite. Converrà quindi lasciare da parte sia gli scenari apocalittici e distopici sia quelli che decantano le magnifiche sorti e progressive di una tecnologia che risolverà come per incanto tutti i nostri problemi. L’atteggiamento catastrofista e quello magico sono accomunati da una medesima impostazione di fondo: sono fatalisti, si lasciano portare passivamente l’uno verso la catastrofe, l’altro verso un non meglio specificato progresso spontaneo. Il nostro ruolo – come individui e come società – in entrambi i casi è passivo (a meno che non si scelga la rinuncia eremitica). L’atteggiamento laico vuole invece che si rimanga alla concretezza dei problemi, li si analizzi, se ne rilevino le contraddizioni, i paradossi, gli inganni mentre si colgono le incredibili potenzialità di una tecnologia che, per l’ennesima volta nella nostra storia, cambierà il mondo. Scriveva Hannah Arendt in Vita activa che «gli uomini sono esseri condizionati perché ogni cosa con cui vengono in contatto diventa immediatamente una condizione della loro esistenza». Ed è con questa conditio humana che dobbiamo fare, criticamente, i conti. 

Questo articolo è tratto da MicroMega 6/2024 “Umana, troppo umana. L’IA e noi” con contributi di Matteo Pasquinelli, Alfio Ferrara, Federica Meta, Simone Rossi, Eugenio Santoro, Stefano Moriggi, Mario Pireddu, Daniel Andler, Adrienne Fairhall, Fabio Bartoli, Paolo Caffoni, Francesco Suman, Leonardo Impett, Antonio A. Casilli, Judith Simon, Gloria Origgi, Neda Atanasoski, Kalindi Vora, Stephen Holmes, Blaise Agüera y Arcas, Paolo Ercolani

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