SULL’AUTONOMIA LA CORTE NON HA CHIUSO LA PARTITA

26 Novembre 2024
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MASSIMO VILLONE IL FATTO QUOTIDIANO

 

 

L a Camera dei deputati ha respinto martedì 19 la mozione unitaria sull’autonomia differenziata (Ad) presentata da tutte le opposizioni (1-00367). Avendo la Consulta ritenuto in sette punti lesiva della Costituzione la legge 86/2024, pur rigettando la censura di totale incostituzionalità, si chiedeva al governo di sospendere qualsiasi iniziativa a partire dal negoziato con le regioni e dall’attività del Clep presieduto da Cassese. Il ministro Calderoli ha espresso parere contrario, solo concedendo che non convocherà altri tavoli negoziali prima del deposito della sentenza (previsto entro il 10 dicembre). È positiva l’iniziativa delle opposizioni, che certo devono continuare a incalzare la maggioranza. Considerando la necessità di un adeguamento della legge 86/2024, che nel comunicato la Corte esplicitamente richiama e affida al Parlamento, si potrebbe ad esempio pensare alla presentazione di proposte di legge volte ad abrogare la Calderoli, e a sostituirla con norme rispettose della Costituzione, da contrapporre alle proposte di maggioranza o comunque da discutere e votare nei tempi per regolamento riservati alle opposizioni. Un tema immediato, peraltro, è dato dall’eventuale impatto della pronuncia sul referendum abrogativo della legge 86. Nel dibattito parlamentare dalle opposizioni è venuta l’affermazione che la legge non esiste più. Una valutazione politicamente condivisibile, nel senso che si richiede un radicale ripensamento, ma tecnicamente imprecisa, perché una parziale incostituzionalità non espunge la legge dall’ordinamento giuridico. A destra una curiosa contraddizione. Si afferma che la 86/2024 sopravvive appunto perché la Corte rigetta la censura di incostituzionalità volta all’intera legge. Si assume però che il referendum non abbia più ragione di essere. Ma se è vera la premessa ne segue che la procedura avviata con la presentazione di quesiti referendari abrogativi continua. Il principio di fondo è semplice. Se la norma oggetto di un quesito referendario abrogativo prima del voto è dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta, le operazioni referendarie cessano perché il referendum perde il suo oggetto. Questo accade se il quesito referendario e la dichiarazione di illegittimità costituzionale coincidono. Il quesito referendario totalmente abrogativo della legge 86/2024 sarebbe venuto di certo meno se la Corte avesse dichiarato la legge incostituzionale nella sua interezza. Invece, l’incostituzionalità parziale riconosciuta non può dare lo stesso effetto di una incostituzionalità totale. Cadrebbe il quesito parzialmente abrogativo presentato dalle regioni, se la incostituzionalità colpisse le norme che ne sono oggetto. Lo sapremo quando leggeremo la sentenza depositata. Mentre sappiamo sin d’ora che il quesito referendario totalmente abrogativo chiede la cancellazione dell’intera legge, che rimane invece vigente per la parte non dichiarata incostituzionale. Il referendum non perde il suo oggetto. Il nodo sarà sciolto (solo) dalla Cassazione, che per dare il via alla successiva fase del giudizio di ammissibilità in Consulta dovrà chiedersi se la 86/2024 sopravvive. La risposta è: ovviamente sì. Lo certifica anche Calderoli quando rifiuta di fermare il negoziato con le regioni. Lo stesso vale per Zaia e Fontana, che vogliono continuare come se nulla fosse accaduto. Si consideri che la Cassazione dovrà decidere sulla legge come risulta a seguito della pronuncia della Corte. Eventuali modifiche verranno poi ma non rilevano oggi, nel momento in cui la Cassazione decide. E sarebbe davvero singolare negare il diritto del popolo sovrano di votare sulla legge, mentre governo e regioni continuano a negoziare. Sugli sviluppi ulteriori peseranno anche l’esito della costituente M5S, e il voto in Emilia-Romagna e Umbria. Questo non solo per la sconfitta della destra, ma anche per l’impatto nelle coalizioni, e nei singoli partiti che le compongono. Il cattivo risultato della Lega nelle urne potrebbe ridurne il potere di ricatto nella maggioranza. Per contro, il buon esito del Pd consolida la segretaria Schlein e il suo no sulle riforme, e in specie sull’Ad. Vedremo se il Pd avrà ritrovato un’anima, come dichiara la stessa Schlein al Corriere della Sera (20.11). Certo non sfuggivano, di recente, i refoli di una fronda interna, e traspariva sulle riforme la disponibilità di segmenti del partito a condividere almeno in parte le ragioni dell’avversario politico, anche evitando scontri frontali referendari. Non illudiamoci. La destra vuole scrivere la sua Costituzione, e “rivoltare il paese come un calzino” (co-pyright Meloni). Ci aspettano tempi difficili, in cui saranno indispensabili posizioni nette e parole d’ordine univoche. Proprio quelle che Calderoli vorrebbe mettere a tacere per sempre.

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