Carlo Galli – la Repubblica
Resistenza e Costituzione sono inscindibili: il fondamento irrinunciabile della nostra democrazia. Lo ha ricordato spesso il Presidente della Repubblica. Ecco in proposito una riflessione di Carlo Galli su la Repubblica del 24 aprile 2009.
Che il Capo dello Stato, a ridosso del 25 aprile, sia intervenuto con solennità a proposito dei fondamentali assetti istituzionali del Paese istituisce un chiaro riferimento fra la Resistenza e la Costituzione.
Ma anche fra il perdurante significato del massimo documento della nostra vita civile e la sua origine storica e politica. È come se Napolitano avesse ricordato che l’unità politica di uno Stato si fonda su una dualità conflittuale dalla quale è sprigionata l’energia costituente; e che se è certamente vero che il conflitto originario deve essere neutralizzato e portato a unità, e dare vita a un ordinamento che ottiene il consenso di tutti, è anche vero che quel conflitto, pur cessando di esistere come lacerazione e separazione, resta in qualche modo interno all’unità politica raggiunta, e, permanendovi, la orienta a favore di certe opzioni, mentre ne esclude altre. Che insomma all’origine del testo costituzionale c’è una decisione, che il consenso e il dialogo rimediano uno strappo, che l’ordine politico è nato da un disordine fecondo ma anche sanguinoso. Il che, del resto, colloca l’Italia, almeno da questo punto di vista, fra le grandi democrazie occidentali, che simile destino hanno conosciuto.
La nostra Costituzione è in virtù della sua origine, appunto questa unità politica orientata: e il fatto che (solo oggi) sia (almeno a parole) universalmente riconosciuta come un patrimonio di tutti non può significare né che è divenuta un oggetto inerte e senza vita, né che è un contenitore disponibile a tutto. Deve invece significare che – benché nessun partito, fra quelli che le diedero vita, sia rimasto vivo e vitale sulla scena politica – essa è ancora rigida, quanto ai principi e agli obiettivi. Che la complessità e la poliedricità della Resistenza – le sue molte anime – hanno preso una forma impegnativa (appunto, la Costituzione), e che questa conserva in sé un progetto ancora da realizzare, un passato che è presente, un’origine che è attuale.
Da ciò, alcune conseguenze: la prima è che coloro i quali (molto in ritardo) mostrano di comprendere che il 25 aprile non è una festa di parte, una ricordo dell’odio, ma il patrimonio civile di tutto un popolo libero, non la possono oggi banalizzare come un’innocua ricorrenza patronale, o come folklore, o come un generico momento di antitotalitarismo. La Costituzione è prima di tutto antifascista, perché quello è stato il totalitarismo che la Resistenza ha effettivamente combattuto. E l’omaggio alla Resistenza implica una coerenza nella prassi politica, e nel rispetto della Costituzione: il 25 aprile ha generato scelte politiche e costituzionali forti – allora come ora –, e ha disegnato in modo impegnativo una qualità specifica della democrazia, autentica e non virtuale, inclusiva e non populista, pluralistica e non conformistica, laica e non clericale, liberale e non autoritaria: una democrazia umanistica e pluralistica, non etnica né plutocratica. E ciò vale sia per le istituzioni sia per la costituzione materiale della società, con tutto quello che ciò significa in merito ai poteri opachi che condizionano la nostra democrazia, e alle disuguaglianze che la limitano pesantemente. E dovrebbe valere anche a far ricordare a tutti che l’esercizio diretto della sovranità popolare (il referendum) non può essere considerato – nella democrazia repubblicana – un incidente di percorso nelle strategie delle forze politiche, un fastidio da rimuovere con una ‘leggina’.
Infine, quell’esigenza di coerenza vuole che un eventuale momento costituente debba esprimere l’energia capace di ridisegnare il quadro istituzionale in senso federale e autonomistico – per consentire alla politica reale, quella che sta dentro la società, uno spazio superiore a quello che ora trova nelle istituzioni –, ma debba anche conservare la qualità specifica della democrazia prevista dalla Resistenza e dalla carta costituzionale del 1948: una democrazia segnata da un equilibrio reale dei poteri, e non da una ipertrofia dell’esecutivo, che garantisca lo sviluppo libero e equilibrato della società e della vita politica, e che lo incardini sulla legge e sul bene comune, non sul potere personale di qualcuno. L’omaggio formale ai principi della prima parte, insomma, non deve valere come il lasciapassare perché la costituzione democratica venga trasformata, e sfigurata, in una costituzione postdemocratica.
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