La Consulta svuota la legge Calderoli sull’autonomia differenziata

15 Novembre 2024
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 Massimo Villone, presidente Coordinamento per la democrazia costituzionale

In attesa della pubblicazione della sentenza, la Corte costituzionale ne ha comunicato una sintesi. Un commento compiuto potrà farsi solo dopo il deposito del testo intero della decisione. Ecco ora una prima dichiarazione di Massimo Villone, seguito dal testo della nota della Corte costituzionale.

 

 

Fermare la trattativa governo-regioni

Resta in vita il referendum abrogativo dell’intera legge Calderoli

 

Dichiarazione di Massimo Villone, presidente del Coordinamento

per la democrazia costituzionale

 

Il comunicato del 14 novembre anticipa una pronuncia della Consulta che dichiara infondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, ma coglie molteplici motivi di illegittimità su specifiche norme. Come era prevedibile, un accoglimento parziale è l’esito dei ricorsi presentati da quattro regioni.

Nel complesso, si cancellano nell’autonomia differenziata in stile leghista gli elementi di più chiara incompatibilità con il regionalismo disegnato in Costituzione. È l’esito che avevo sperato di ottenere proponendo già nel gennaio di questo anno che alcune regioni avanzassero ricorso in via principale avverso la legge proposta da Calderoli, allora ancora in discussione. Una proposta sostenuta dal Coordinamento per la democrazia costituzionale e poi fatta propria dalla Via Maestra con una lettera inviata ai presidenti di regione.

La pronuncia incide in profondità sulla legge 86, ad esempio toccando per molteplici versi i Lep, o specificando che la devoluzione non può essere per materie o ambiti di materie, ma solo per puntuali funzioni e deve essere giustificata per la singola regione. Si nega in specie che l’art. 116.3 possa tradursi in uno shopping nel supermercato delle competenze come vorrebbero i leghisti. Questo bene si coglie anche dalle affermazioni di principio sulla corretta interpretazione dell’art. 116.3, che deve rimanere nell’ambito “dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”, e nel distribuire le funzioni deve comunque osservare il principio costituzionale di sussidiarietà.

Attendiamo ora la sentenza. Ma vanno fermate le trattative già avviate dal ministro Calderoli con quattro regioni. Insistere sarebbe una inutile fuga in avanti. Non per caso, la Corte ci ricorda la sua competenza anche per le leggi approvative di singole intese. Qui rileva che la sentenza comprende una parte di lettura “costituzionalmente orientata”, che senza giungere a una dichiarazione di incostituzionalità, comunque indica le linee costituzionalmente conformi da seguire nell’attuazione dell’art. 116.3.

Quanto al percorso referendario del quesito totalmente abrogativo, va chiarito che il comitato promotore non ha alcun potere di ritiro o di rinuncia. Se la legge fosse stata dichiarata interamente illegittima, il referendum verrebbe meno in quanto privo di oggetto. Ma non si può trarre il medesimo effetto da un accoglimento parziale, a seguito del quale la legge sopravvive. Quindi il percorso referendario prosegue, e bisogna continuare nella vigilanza e nell’impegno sul territorio. Potrebbero cadere i quesiti parziali, laddove abbiano ad oggetto norme dichiarate illegittime. Sul punto dovrà comunque pronunciarsi la Corte di cassazione.

 

Roma, 15 novembre 2024

 

 Ecco ora il testo del Comunicato della Corte Costituzionale

 

Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale
Comunicato del 14 novembre 2024

LA CORTE COSTITUZIONALE HA DECISO LE QUESTIONI DI
COSTITUZIONALITÀ DELLA LEGGE SULL’AUTONOMIA
DIFFERENZIATA

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio Comunicazione e stampa fa sapere che
la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità
dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del
2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo
legislativo.

Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina
l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia)
deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce,
insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano
forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della
solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini,
dell’equilibrio di bilancio.

I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra
i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non
debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del
sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della
tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio
costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e
regioni.

In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare
l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica
e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.

 

La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e
Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento
ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato
l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:

-
la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di
differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte
ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e
amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla
luce del richiamato principio di sussidiarietà;

-
il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di
idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene
rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del
Parlamento;

-
la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
(dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;

-
il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio
per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in
vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;

-
la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della
compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le
funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e
l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere
premiate proprio le regioni inefficienti, che dopo aver ottenuto dallo Stato
le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite non sono in grado
di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;

-
la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della
devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente
indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;

-
l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma,
Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme
di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti
speciali.

 

La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della
legge:

-
l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come
riservata unicamente al Governo;

-
la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere
o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso
l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;

-
la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie
(distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se
il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non
potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali;

-
l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle
risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della
spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e
criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la
copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a
carico dello stesso;

-
la clausola di invarianza finanziaria richiede oltre a quanto precisato al punto
precedente che, al momento della conclusione dell’intesa e
dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale
della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli
obblighi eurounitari.

Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti
derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel
rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della
legge.

La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di
differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre
regioni o in via incidentale.

Roma, 14 novembre 2024

Palazzo della Consulta, Piazza del Quirinale 41 - Roma - Tel. 06.4698224/06.4698376

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