Francesca Pubusa - Università di Cagliari
Lunedì 4 novembre è stato lo Stop genocide day, su iniziativa della Rete Ricerca e Università per la Palestina e Docenti per Gaza, due organizzazioni formate, rispettivamente, da personale dell’Università, degli enti e dei centri di ricerca; e della Scuola.
La data non è stata casuale: con questa scelta, i lavoratori della conoscenza di ogni ordine e grado hanno voluto dare alla giornata dedicata alle Forze armate un significato ulteriore e diverso, per testimoniare il nostro impegno, nella ricerca e nella didattica, sulla storia e sull’attualità della Palestina, e sulle vicende del suo popolo.
La Rete Ricerca e Università per la Palestina (RUP), in particolare, si è formata quest’anno, all’indomani e a partire dalla mobilitazione con cui docenti, studenti e personale amministrativo delle Università, a gennaio, hanno redatto e sottoscritto una lettera al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per chiedere di interrompere bandi e accordi di collaborazione di ricerca con le Università e i centri di ricerca israeliani.
La mobilitazione del personale e degli studenti universitari è animata dal netto rifiuto a che il proprio lavoro e le proprie ricerche diventino mezzi di oppressione, di guerra e di morte: spesso infatti i risultati delle ricerche effettuate nell’ambito di progetti con istituzioni israeliane si traducono in strumenti di guerra - materiali o immateriali – testati e utilizzati contro i Palestinesi. Ciò accade in ragione della possibilità di usare anche a fini militari sistemi e beni progettati per l’uso civile: è il meccanismo del doppio uso (dual use), che è espressamente richiamato dalla documentazione descrittiva di uno dei più importanti mezzi di finanziamento europei alla ricerca, dove viene considerato un normale esito dell’attività scientifica. Tale circostanza fa il paio con la proposta della NATO agli Atenei, risalente a circa un anno fa, di finanziare di progetti di ricerca su pace e cooperazione.
Lo Stop genocide day del 4 novembre ha coinvolto le Università di Torino, Venezia, Bergamo, Napoli-Federico II e L’Orientale, Bologna, Roma-La Sapienza e Roma Tre, Firenze, Padova, Cagliari, L’Aquila, Pisa-sant’Anna, Trento, Milano-La Statale, Siena-UniSi e Università per Stranieri. Si sono svolte iniziative in ciascuna sede e un evento nazionale: il seminario on line “Fermare il massacro. Strumenti pacifici di lotta e liberazione”.
I relatori sono stati Omar Barghouti, co-fondatore del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni a Israele), Luigi Daniele, professore Diritto internazionale di guerra e Diritto internazionale umanitario alla Nottingham Trent University, e Carla Pagano, studiosa di Paesi arabi e islamici, diritti umani e questioni di genere, nonchè dottoranda di ricerca presso l’Università di Napoli, L’Orientale.
Sono state in primo luogo precisate le finalità della Rete Ricerca e Università per la Palestina: lavorare affinchè gli Atenei si dotino di codici etici e di procedure che assicurino la dovuta diligenza (due diligence) in relazione alle scelte di ricerca e di collaborazione, nel senso di escludere che possano produrre strumenti di violazione dei diritti umani. Inoltre, sospendere i rapporti di ricerca e didattica, tutt’ora in essere, fra alcune Università e centri di ricerca italiani con gli omologhi israeliani, e interrompere tout court i rapporti con imprese, organizzazioni, fondazioni italiane direttamente e indirettamente coinvolti nella produzione e nello spostamento di armi. Ancora, sospendere i programmi mediante i quali gli studenti europei svolgono una parte del loro percorso universitario presso Università israeliane e gli accordi attraverso i quali gli studenti effettuano tirocini universitari presso imprese israeliane e italiane, coinvolte nella produzione di materiale bellico.
La situazione di Gaza è stata inquadrata anche dal punto di vista del diritto internazionale, attraverso i principi che regolano il diritto di guerra e quello umanitario, ovvero: l’uguaglianza fra le parti in conflitto; l’obbligo per entrambe di osservare il diritto internazionale, che non è reciproco, in quanto, se anche una lo viola, l’altra non è autorizzata a violarlo a sua volta; il principio di proporzionalità nella reazione, quello della distinzione fra obiettivi civili e militari, quello della prevenzione.
Abbiamo visto come gli articoli 2 e 3 della Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, adottata il 9 dicembre del 1948, lo definiscano attraverso specifiche caratteristiche. Alla luce di queste disposizioni, il genocidio non è qualificabile come una mera parola, e nemmeno come un’opinione, nè personale, nè politica. Si tratta invece di una categoria giuridica: è in corso un genocidio laddove ricorra anche uno solo degli elementi indicati nell’art. 2 della Convenzione; in quanto tale, esso e i comportamenti che gli sono strumentali sono sanzionati, come previsto dall’art. 3.
Il comportamento di Israele a Gaza va dunque osservato e valutato attraverso gli elementi di cui all’art. 2 della Convenzione.
Così ha fatto la Corte internazionale di giustizia, qualificando illegali le occupazioni di terra mediante espropri e insediamenti, nonchè considerando presumibile la ricorrenza di un genocidio a danno dei Palestinesi. E’ di questi giorni la notizia del deposito presso la medesima Corte, da parte del Governo sudafricano, di un memoriale di 750 pagine, contenente le prove evidenti della natura genocidaria del comportamento israeliano. Al Sudafrica si affianca il Governo irlandese.
La Corte internazionale emanerà dunque presumibilmente nuove e ulteriori decisioni nei confronti dei membri del governo e dell’esercito isreliano: il contesto rivela infatti la precisa volontà di Israele di ribaltare le categorie e le regole del diritto internazionale, faticosamente costruite a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
Gaza in tal senso costituisce un laboratorio per testare non solo armi, ma anche pratiche da utilizzare poi, altrove e dappertutto.
Occorre dunque presidiare i principi, le regole e le categorie del diritto internazionale, poichè, evidentemente, se il ribaltamento dovesse avvenire - come in buona misura è già successo in Palestina, ma anche in Jugoslavia, in Iraq, a Guantanamo - esse diventerebbero il nuovo “diritto” internazionale. Cioè, un non diritto.
Le decisioni della Corte vincolano gli Stati circa l’interpretazione delle norme di diritto internazionale, per cui, in ragione delle sue sentenze sulla questione palestinese, ogni Stato risulta vincolato a non assistere lo Stato genocida, configurandosi, altrimenti, complicità nei suoi crimini – sanzionata dal citato art. 3.
Infine, l’organizzazione BDS: essa riproduce le modalità di mobilitazione pacifica che hanno condotto il Sudafrica ad abbandonare il regime di apartheid, consistenti, come si ricorderà, nel suo progressivo isolamento economico. Si tratta di un’iniziativa fortemente sostenuta dai Palestinesi dei Territori occupati, da quelli che vivono nel resto del mondo e da una buona quantità di ebrei, fra i quali sempre più giovani sotto i quarant’anni.
Durante il dibattito, abbiamo discusso di ecocidio - 20 anni solo per rimuovere le macerie - scolasticidio – le 12 Università di Gaza sono state cancellate, così come l’80% delle scuole - armi a disposizione di Israele - gli USA forniscono missili che hanno un’area di impatto letale di 400 mq, che in un contesto sovraffollato come Gaza sono evidentemente ancor più devastanti.
Il seminario è stato registrato, e sarà possibile rivederlo; intanto sono in programma altre iniziative a sostegno del popolo palestinese.
La Rete Ricerca e Università per la Palestina è sia su Facebook che su Instagram, così come Docenti per Gaza.
1 commento
1 Aladin
13 Novembre 2024 - 15:23
Anche su aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=159358
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