Francesco Cocco
“La prego, signor Presidente Napolitano, mi risponda nel merito, invece di offendermi anche Lei gratuitamente. Con ossequio. Antonio Di Pietro”. Una lunga lettera aperta. Quasi una “requisitoria” quella del leader dell’Idv, per contestare “nel merito” alcuni atti del presidente della Repubblica, primo tra tutti la promulgazione della legge sulla sicurezza. Una missiva cui il Quirinale fa sapere di non avere nessun commento da fare e nessuna risposta da dare.
Come si ricorderà, Di Pietro fin dai giorni del lodo Alfano ha criticato apertamente il Presidente Napolitano. E ieri, con la scritta “Giorgio non firmare” impressa sulla maglietta, i militanti dell’Idv in tarda mattina, in corteo hanno accompagnato l’ex PM fin sul colle del Quirinale per la consegna simbolica della lettera aperta. Di Pietro chiede che Napolitano argini i provvedimenti di un governo “piduista” e puntualmente critica ogni nuova ratifica. Ma la risposta del capo dello Stato è già arrivata, lunedì, in occasione della cerimonia del Ventaglio. Meglio usare “la piuma d’oca” (come aveva accusato il leader Idv) nel compito di far rispettare la Costituzione, piuttosto che “un vano rotear di scimitarra”, ha detto Napolitano, rivolgendosi in particolare “a qualche fiero guerriero”. Il guerriero in questione, però, mostra di non scoraggiarsi.
E nella missiva torna a criticare innanzitutto la decisione del presidente della Repubblica di firmare la legge sulla sicurezza e di non rinviarla alle Camere, segnalando le “criticità” del testo in quella che il leader Idv definisce “una letterina di rimprovero”, “irrituale” e “contraddittoria”. Poi aggiunge sei domande, anche su intercettazioni e lodo Alfano (”Lei ha usato il ‘guanto di velluto’ firmandolo”), introdotte tutte dalla vecchia locuzione: “E’ vero o no?”. A sostegno di Di Pietro interviene il giornalista Marco Travaglio, che in un articolo su Micromega.net dall’eloquente titolo ‘Tutti gli errori del presidente’, ribattezza il capo dello Stato ‘Giorgio Ponzio Napolitano’. Ma per il resto contro il leader dell’Idv si apre un vero e proprio fuoco di fila.
Ecco sulle nuove norme sulla sicurezza una riflessione di Francesco Cocco.
Confesso che le nuove norme sulla sicurezza suscitano in me non solo preoccupazione ma un vero e proprio turbamento. Aggiungo che un tale stato d’animo ancor prima che dalle disposizioni sulle intercettazioni telefoniche nasce dalle possibilità d’istituire le cosiddette “ronde”, veri e propri corpi volontari di vigilanza sociale. Qualcuno può persino intravedere in queste norme la “partecipazione democratica“ della società civile a funzioni essenziali dello stato; quasi un’ embrionale forma di estinzione dello stato di marxiana memoria. E potrà anche accadere che a tale approdo ideologico giunga qualche rappresentante della Lega o del PDL transitato in queste formazioni dopo la militanza nella sinistra. Non è questo tempo di grande coerenza !
Si obietterà che la normativa offre le massime garanzie, che i volontari della sicurezza non possono essere armati, che non debbono aver subito condanne penali, né essere tossicodipendenti, e così via.. Solo che simili fenomeni non vanno mai visti staticamente. Occorre inquadrarli nel complessivo clima politico-istituzionale perché solo così se ne può individuare tutto il pericolo. Del resto la storia è maestra in questo campo, e non possiamo ignorare i precedenti che essa offre alla riflessione.
Le prime organizzazioni di stampo nazista nacquero nell’ambito delle palestre e delle attività sportive. La possibilità d’indossare una divisa (spesso ispirata ad uno stile chiaramente fascista), di darsi ordinamenti organizzativi interni di tipo militare, di creare uno spirito di corpo, tutto ciò finisce per essere un incentivo alla creazione nella società italiana di vere proprie bande paramilitari. Potenzialmente capaci, alla prima occasione, di diventare vere e proprie bande armate con esito letale per la democrazia. E’ un’antica storia che si ripete in Italia sin dai tempi della repubblica romana, quando ad alcuni “ottimati” fu possibile “levare” milizie private e con esse dare l’assalto agli avversari ed in ultima istanza alla res publica.
Preoccupa il contesto storico in cui oggi questi processi avanzano nel nostro Paese. Scompare precipitosamente lo “spirito pubblico”, i partiti democratici sembrano esaurire le energie in diatribe per il controllo interno, la gestione delle istituzioni avviene in forme tali da generare la sfiducia dei cittadini. Di qui il formarsi delle condizioni per un controllo dittatoriale del potere. Magari per consentire a qualche forza politica di scompaginare la struttura unitaria della Repubblica.
Confesso che non ho ben compreso a quali aspetti della legge sulla sicurezza volesse riferirsi il Presidente Napolitano nelle sue riflessioni sul potere di rinvio alle Camere.
Conosco da mezzo secolo il suo rigore di dirigente politico e pur non condividendone spesso le posizioni , ho sempre sentito profonda stima per la sua coerente intelligenza politica. Non dubito che tali doti egli saprà esercitare in questo momento storico nel suo ruolo di massimo garante della legalità repubblicana. Ma proprio per tale sentimento di grande rispetto sento, come cittadino, il bisogno-dovere di dire francamente che non comprendo questa sorta di autolimitazione all’esercizio del potere di rinvio alle Camere. Posto che l’articolo 77 della Costituzione statuisce come limite solo quello della motivazione. Ed in questo caso non mi pare si sarebbe potuto parlare di carenza di motivi per un eventuale rinvio alle Camere.
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