Gen. Biagio Di Grazia
La scena mondiale è stata dominata la scorsa settimana dall’approvazione da parte americana del pacchetto di aiuti a favore dell’Ucraina, su un totale di 94 miliardi di dollari per le tre aree di crisi in cui gli Usa sono implicati (Ucraina, Israele, Taiwan). L’Ucraina vede assegnati per sè 61 miliardi, cifra solo nominale, dato che nelle casse statali ne arriveranno solo (intorno) ai 27 miliardi, e non tutto per sostenere lo sforzo bellico ma anche per spese statali di vario genere (anche per pagare i pensionati!); la parte rimanente, più sostanziale, è diretta al procurement interno americano, una somma che rimane cioè negli Usa e servirà a compensare, anche se parzialmente, quanto speso fino ad ora per l’Ucraina; da qui la ragione per cui il pacchetto è stato condiviso dai repubblicani; occorreva in qualche modo tacitare le imprese che producono armi per la guerra; e sono proprio quelle imprese che finanziano il partito di Trump.
La questione americana non è fine a se stessa per due ragioni.
La prima riguarda l’arsenale militare americano che, seppur il più efficiente e dotato al mondo, necessita di aggiustamenti dettati dalla politica, che segue un percorso non sempre ragionato, in netta differenza con quello russo che invece si affida ad una impostazione che, almeno adesso, poggia su una economia di guerra. Se questo ragionamento fosse esteso a tutte le democrazie occidentali che sostengono lo sforzo bellico ucraino, ne scopriremmo delle belle: il poco che ha dato l’Italia l’ha attinto a detrimento delle sue dotazioni organiche tanto che qualcuno prevede che in caso di guerra, l’Italia non avrebbe scorte per sopravvivere tre settimane.
La seconda ragione è di carattere operativo dato che il Pentagono ritiene di dover porre il freno agli eventi rovinosi provenienti dal fronte di combattimento, dove si registrano gravissime perdite ucraine, l’offensiva russa continua ovunque e si assiste a pesanti bombardamenti del territorio, che stanno minando alla base i fondamenti della società.
Soprattutto nel settore orientale i russi sfondano a più riprese le difese ucraine e acquisiscono posizioni su posizioni; dopo la cattura di Avdiivka, i russi perseguono l’attacco puntando su Chasiv Yar, città che aggiunge il suo nome a quelle che hanno segnato le tappe sanguinose della guerra, Backmut e Avdiivka, per proseguire verso l’area di Kramatorsk che è vitale per l’occupazione dell’intera Oblast di Donetsk, in quanto agevolerebbe la progressione verso un’area che si configura come “hub logistico” ucraino. In generale i russi acquisiscono territorio ovunque attacchino e dimostrano di voler spingere prima che il sostegno occidentale si concretizzi.
I giornali ucraini riportano che il Presidente ucraino abbia garantito che le forze armate avrebbero “resistito” per alcune settimane, termine in cui sarebbero attivi i sistemi d’arma americani già presenti su suolo europeo (Polonia e Romania).
Nel frattempo l’intelligence britannica avverte che l’intensificazione dei bombardamenti russi potrebbe essere premessa per una offensiva estiva, attesa per giugno.
Seppur si può escludere che il pacchetto di aiuti americani nella sua interezza possa cambiare il volto della guerra nel breve, esso si connota come un incentivo per l’Europa a fare la sua parte ed entrare nel gioco del rialzo degli armamenti; un cosiddetto “stop gap”, cioè misura provvisoria atta a stimolare interventi risolutivi europei.
Il che sta avendo i suoi effetti tanto che il premier inglese è stato il primo a rispondere all’invito americano con un contributo sostanzioso di mezzo miliardo di sterline, e altre nazioni stanno seguendo l’esempio, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca. Certamente i Baltici e Polonia non si faranno pregare per seguire la tendenza e molti premono sulla Germania affinchè conceda i sistemi missilistici di media portata Taurus. Che la Svezia abbia deciso di trasferire alla Lettonia una linea carri moderna sembra essere anche un indicatore di intervento.
Ma se questi contributi non sono sufficienti a sostenere lo sforzo ucraino a lunga scadenza, certamente sono efficaci quando potranno avere effetto. Naturalmente ci sarà da aspettare che il grosso degli aiuti militari arrivi in Ucraina, non prima di 45 – 60 giorni dalla firma del presidente americano.
Nel frattempo l’approvazione è servita a muovere quanto già presente su suolo europeo; ci si riferisce particolarmente a missili Atacms (Army Tactical Missile Systems), che hanno una gittata fino a 300 chilometri, una potenza e una precisione inediti finora per l’esercito ucraino e un numero elevato di sistemi antiaerei Patriot, da tempo presenti anch’essi su suolo europeo.
Il combinato tra questi sistemi, a lunga portata e antiaerea, è tale da poter ribattere le azioni dei sistemi di bombardamento russi, denominati “Fab” (bombe aeronautiche a caduta libera) risalenti ad epoca sovietica, opportunamente convertite in ordigni plananti; trattasi di dispositivi ad alto potenziale esplosivo, efficaci contro obiettivi statici come i centri di coordinamento delle difese ucraine e vengono usati contro bersagli statici, come centrali, fabbriche o grattacieli. In buona sostanza sono ordigni che offrono “un’opzione nuova e molto più distruttiva” per i piloti di jet russi in quanto permette loro di attaccare da una distanza di 60-70 chilometri, rimanendo così lontani dalle difese antiaeree. Così facendo, in sostanza, si supera il territorio di contrasto tra schieramenti dove comunque raramente vi sono difese antiaeree, e si colpisce in profondità.
Oltre a ciò, la carenza di munizioni antiaeree ucraine, e per battere la fascia di contatto (20 -30 chilometri), ha indotto i russi hanno ricorrere di nuovo alla strategia degli anni 90’ dei voli a bassa quota e dei bombardamenti ravvicinati (alla maniera del nostro caccia “Tornado”, per intenderci). In buona sostanza la reazione occidentale con i nuovi sistemi si attuerà con i Patriot posti a difesa delle installazioni profonde all’interno del territorio, e gli Atacms che possano battere le basi di partenza degli assetti “Fab”.
Il problema permane se e quanto l’Occidente sarà in grado di sostenere l’Ucraina con un approvvigionamento esteso nel tempo, contro un potenziale russo che si alimenta da una industria interna ormai perfettamente tarata sul “tempo di guerra”.
Su tutto ciò influisce il fattore umano. Mentre i russi possono agevolmente effettuare ricambi di truppe al fronte e rimpiazzare le “perdite”, gli ucraini hanno difficoltà a reperire le sostituzioni e la massa dei soldati si trova in prima linea ben oltre i periodi previsti da normativa militare, con grave detrimento delle capacità operative e della “voglia di combattere”; accade ormai che le perdite non vengono colmate tanto che gli organici dei reparti scendono con il passare dei giorni; alcune Brigate hanno talmente ridotto gli organici che sono a livello di “Battlegroup” (che significa qualcosa di indefinito sopra il reggimento e sotto la Brigata); inoltre la nuova legge sulla “leva” che programma di reclutare mezzo milione di persone, è fallimentare; chi si trova all’estero, e sono almeno 300.000 giovani, non intende rientrare in patria per combattere. Polonia e Lituania, che sono i paesi preferiti da tali “soggiorni”, hanno dichiarato la ferma intenzione di voler rimpatriare i giovani ucraini “renitenti” togliendo loro quando dovuto in quanto “rifugiati”, ma si trovano ad affrontare enormi difficoltà nel farlo, compresa la “ulteriore fuga” di costoro verso altre nazioni europee. Infine si assiste anche alla prassi “suicida” di assegnare a reparti combattenti, soldati precedentemente arruolati in funzione logistica, il che li vota alla morte in breve tempo. È verosimile che quando il Presidente francese Macron accennava alla necessità futura di sostenere lo sforzo bellico ucraino con soldati occidentali, prevedesse le carenze umane ucraine; le armi non possono fare tutto e gli uomini sono la risorsa fondamentale del combattimento; d’altra parte se è vero che i soldati ucraini sono sfiduciati, siamo sicuri che reparti occidentali (tra cui magari gli italiani) possano rinvigorire la motivazione?
La carenza di risorse umane ucraine spinge il Capo di Stato Maggiore ucraino Syrskyi verso una strategia “difensiva” e cerca di attuare il cosiddetto “forzato contenimento”, una combinazione di arretramenti da posizioni insostenibili e costruzione di barriere, ove sia possibile contenere lo sforzo nemico; il che, per contro, potrebbe invogliare i russi ad una offensiva generalizzata che, anche se non contemplata, potrebbe essere indotta da un collasso totale o parziale del fronte ucraino; per il momento tutto lascia prevedere che il fronte rimanga “congelato”. I nuovi sistemi d’arma e le munizioni promesse (un milione di colpi da 155 mm) per l’esercito ucraino potrebbero variare la situazione di stasi, ma non prima dell’estate, e sino ad allora l’iniziativa è in mano ai russi. Per contro, quanto la dirigenza russa voglia impegnarsi in conquiste oltre le acquisizioni attuali, è oltremodo dubbio!
Con riferimento al settore centrale del Fronte, l’attenzione mondiale è sempre rivolta all’area di Zaporizhzhya dove la centrale nucleare ha subito numerosi attacchi che hanno alimentato lo spettro di possibili emissioni di radiazioni. Nel particolare si sono succeduti serie di attacchi effettuati con droni: solo uno di questi è stato valutato come “importante” e ha colpito la cupola del reattore n. 6.
L’Agenzia ONU AIEA incaricata della sorveglianza della centrale ha registrato che tutti gli attacchi sono stati fronteggiati da reazioni russe a protezione del sito, ha rilevato la inconsistenza di tali attacchi e la impossibilità che potessero generare emissione radioattiva. Il Direttore Generale Grossi ha commentato l’accaduto dell’attacco al rettore 6 come un serio “incidente” che, tuttavia, non ha minato, né poteva farlo, l’integrità dell’impianto.
Dopo di che si è sviluppato un ampio confronto di propaganda su chi abbia lanciato gli attacchi e quali siano gli effetti desiderati.
Prima di commentare le voci e gli aspetti operativi del problema, è bene rilevare che risulta altamente improbabile che un attacco da drone possa scatenare la fuoriuscita di radiazioni in quanto è estremamente difficile rompere l’involucro che protegge il reattore, cioè l’effettiva struttura, difficile da perforare; si tratta di strutture edilizie concepite nel periodo sovietico, durante la Guerra Fredda, programmati per resistere ad un impatto di un aereo oppure missile convenzionale di media grandezza, ovviamente privo di ordigno atomico; senza contare che una volta sgretolato l’involucro esterno, entra in azione la protezione propria del reattore, per cui l’interno “sensibile” è difficilmente raggiungibile.
Sulla base di queste semplici conclusioni, risulta irrilevante chi sia stato a lanciare i droni dato che sia ucraini che russi sono perfettamente a conoscenza delle caratteristiche strutturali dell’impianto e si entra nel campo della pura speculazione a fini di propaganda.
D’altra parte perchè mai i russi lancerebbero su di se tali droni pur sapendo che non hanno possibilità di incidere e provocare effetto? Lo stesso si potrebbe argomentare per gli ucraini.
Risulta così evidente che paventare il pericolo di emissione di radiazioni sollevato in occidente è null’altro che il tentativo (molto banale) per indurre i russi a lasciare il controllo della centrale nucleare; d’altra parte, si potrebbe rilevare, un eventuale spargimento di radiazione interesserebbe il territorio a est della Centrale, tutto russo o controllato dai russi.
Diverso è il ragionamento circa la possibilità che si verifichi all’interno della centrale di Zaporizhzhya un fenomeno del tipo Chernobyl che, questo si, potrebbe essere causato dai russi, all’interno del sistema; ma nella struttura operano e lavorano anche migliaia di ucraini e gli stessi tecnici dell’AIEA, e una tale operazione di “auto sabotaggio criminale” sarebbe facilmente ben documentato; ma questo non sarebbe l’effetto di un attacco ma di un incidente tecnico.
E non è neppure credibile che tanti Servizi di Intelligence, che normalmente “scoprono tutto”, non possano risalire a chi abbia materialmente lanciato i Droni; meglio lasciare l’indeterminazione, incolpare i russi e poi ognuno può sfruttare a proprio piacimento l’accaduto.
2 commenti
1 Aladin
8 Maggio 2024 - 08:02
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=153817
2 Giorgio
8 Maggio 2024 - 08:20
sarebbe ora che si cominci a parlare di trattative di pace
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