Gianna Lai
Oggi, domenica, nuovo post su Carbonia dal 1° settembre 2019.
Dice lo storico Francesco Barbagallo, “dalla fine della seconda guerra mondiale la storia dell’Italia è assolutamente incomprensibile se perdiamo di vista la dimensione internazionale e la analizziamo come una vicenda tutta interna”. E, se per Vittorio Foa il Piano Marshall fu “una gigantesca operazione bancaria destinata ad allargare, attraverso la domanda europea, le basi industriali,.. lo sviluppo tecnologico e la ricerca negli Usa e, contemporanemente, a creare in Europa uno stabile interlocutore omogeneo col capitale americano”, è proprio in tale quadro che, “nel corso degli anni cinquanta, si ebbe un considerevole sviluppo e consolidamento dell’economia italiana. Gli scambi con l’estero ebbero un’influenza sempre crescente fino a diventare l’asse portante del sistema economico”, impoverendo tuttavia i ceti più deboli, dato che “i salari reali crebbero meno della produttività e diminuì la quota del lavoro sul reddito nazionale, sacrificando in una certa misura il mercato interno; lo Stato diede un notevole impulso alla industrializzazione di base (sopratutto siderugia e fonti di energia), lasciando il massimo spazio alla libera iniziativa privata nell’industria manifatturiera”. Mentre si rafforzavano gli imprenditori dato che “la guerra fredda, sul piano internazionale”, riflettendosi come una “crociata anticomunista all’interno di tutti i paesi capitalistici, li aiutava a tenere la classe operaia sottomessa e disponibile”. In Italia, i governi centristi decisivi “ai fini della divisione e quindi dell’indebolimento del sindacato”.
Nel 1950 furono avviate trattative che portarono, l’anno successivo, all’istituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, CECA: come dicono gli autori Fissore e Meinardi in La questione meridionale, ormai “la sempre più stretta integrazione dell’Italia nel mercato capitalistico mondiale, e quindi la sua crescente dipendenza dalla divisione internazionale del lavoro, imponeva una ridefinizione della politica degli investimenti sia per la loro natura che per la loro localizzazione”. Perché “Il nuovo ordine mondiale post-bellico viene disegnato dagli Stati Uniti intorno alla centralità dell’economia di mercato e alla libertà degli scambi,… una politica della produttività,…il benessere… miglior antidoto al comunismo”. Dello stesso avviso lo storico Giancarlo Di Falco: nel dopoguerra “il commercio internazionale crebbe rapidamente facendo aumentare la percentuale degli scambi sul prodotto interno lordo dei paesi europei industrializzati e contribuendo alla continuità della crescita”. E se, proprio “Negli Usa l’alto livello delle spese militari giocò un ruolo importante, in coerenza con la politica di grande potenza che quel paese svolse dopo la guerra mondiale”167, per restare al passo con l’evoluzione del mercato “la maggior parte dei paese industrializzati affrontò un processo impegnativo di ammodernamento, espansione e riqualificazione dei propri sistemi produttivi, che si protrasse per tutti gli anni Cinquanta e buona parte dei Sessanta”. Mentre aumentano le pressioni Usa perché i governi occidentali, e l’Italia stessa, intensifichino i programmi di riarmo all’interno dei loro territori.
Fondamentale ricordare, come dice ancora lo storico Carlo Pinzani, Storia d’Italia Einaudi, che, fino al 1947 i programmi di dominio americani, erano ancora in linea con la politica di Roosewelt, “tendente a puntare prevalentemente, per l’espansione americana, sul terreno economico”. In tale contesto concepito il piano Marshall, fino all’affermazione della dottrina Truman: “nel disegno egemonico degli Stati Uniti vengono gradualmente accentuandosi gli aspetti di carattere militare;… alle forme di stabilizzazione economica, fondate sull’ideologia del New Deal, veniva gradualmente succedendo il dominio del complesso militare-industriale”. Così, per quanto riguarda il modello di sviluppo italiano, decisiva “la gestione degli aiuti americani,… uno dei tramiti principali attraverso i quali si realizzò operativamente la saldatura tra il partito cattolico e la grande industria”. E le misure legislative e amministrative che privilegiano “i ceti medi, urbani e rurali,… già favoriti dal fascismo”; penalizzati invece, “con una politica salariale e normativa restrittiva, gli operai, schierati in larga parte con i sindacati e i partiti di sinistra”.
1 commento
1 Aladin
21 Aprile 2024 - 07:54
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=153301
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