L’ennesimo, patetico, giro di Walter

16 Luglio 2009
6 Commenti


Gianluca Scroccu 

 C’è qualcosa di patetico nelle ultime dichiarazioni di Veltroni su Craxi e Berlinguer (www.corriere.it/politica/09_luglio_15/Garibaldi_veltroni_berlinguer_b06da232-7107-11de-b1fb-00144f02aabc.shtml). E non ci riferiamo esplicitamente alle dichiarazioni sui due uomini politici, su cui da anni si esercitano gli storici con argomentazioni condivisibili o meno (non a caso riprese con la solita mediocre sintesi dall’ex segretario del PD). Veltroni oggi discetta sugli anni Ottanta (senza aver capito che fu la scelta di Craxi di accettare le teorie presidenzialiste ad aprire la strada al berlusconismo) perché non ha niente da dire sul presente, a differenza di Craxi e Berlinguer che una visione l’avevano, seppure chiaramente antitetica. Dei problemi del mondo di oggi non sa niente: quello che gli interessa, come ha dimostrato apparendo come valletto di Clooney all’Aquila, è apparire.
Tutta la sua carriera politica si è giocata sul rapporto con i media. Si è costruito un’immagine da buonista, da politico animato solo dalla voglia disinteressata di cambiare il paese o il mondo (ma in Africa, il suo mito più spregiudicato, quando ha intenzione di andare?). E così ecco che l’inciucista per antonomasia è diventato D’Alema, mentre lui no, lui è sempre stato “il nuovo”. Un uomo dal grande coraggio, Walter Veltroni: dove ha fatto le sue dichiarazioni su Craxi e Berlinguer? In un circolo del PD? Dinnanzi ad una platea di una festa democratica o dell’Unità? Quando girava l’Italia tra un discorso storico (parole sue) come al Lingotto o a Spello al tempo delle primarie o durante la campagna elettorale del 2008? No, nel clima ovattato della Camera dei Deputati dove non puoi prenderti direttamente i fischi o la disapprovazione dei militanti, che invece così la notizia se la leggono sul quotidiano e la prossima volta, spinta dalla loro passione, magari ricrederanno che “con l’autosufficienza” si può vincere e avranno dimenticato la sua lezione di storia. Del resto conosce bene le regole del marketing e della pubblicità: lui ha saputo vendersi come il vero progressista moderno che sapeva realmente rappresentare la novità non tradendo la propria storia. Si, ma quale storia? Quella di uno che nel gennaio-febbraio 1976 scriveva sulle pagine del mensile dei giovani comunisti romani “Roma Giovani” che «occorrerebbe, per svolgere un’opera di reale rinnovamento, che la DC condannasse se stessa per il suo passato, per l’espulsione dei comunisti dal governo dopo la guerra, per aver venduto agli americani il proprio partito e il nostro Paese» (tratto da M. De Lucia, Il Baratto, Kaos Edizioni, 2008, pag. 16); o quella per cui disse di essersi iscritto al PCI anche se non era comunista (ma allora perché non s’iscrisse al Psi, dove sul 1956 si erano dette cose che certo avrebbe condiviso e “non gli avrebbero fatto accapponare la pelle”, come ha detto durante il convegno citando una sua recente lettura dei verbali del PCI; o perché non al PRI o al PSDI? Non è che forse non avrebbe fatto la stessa carriera?).
Ecco, forse di venditori in politica, in Italia, per ricordare il libro del compianto Peppino Fiori su Berlusconi, non c’è stato solo l’attuale premier ma anche questo signore. Il quale oggi ricorda Berlinguer e Craxi che al di là del giudizio che si può dare su ciascuno dei due furono uomini politici profondamente diversi ma che almeno ci mettevano la faccia e avevano il coraggio di portare avanti le proprie idee sul mondo che li circondava. Questo signore, l’uomo che ci ha lasciato in eredità la più importante vittoria berlusconiana di sempre, ha sempre evitato di esplicitare il suo pensiero di fronte ai suoi elettori: il potere è stata l’unica cosa davvero importante per lui. Per il quale poteva muoversi con la leggerezza del suo buonismo da “ma anche” nei corridoi del supermarket della storia, mettendo nel carrello oggi Gobetti e i Rosselli e l’indomani Don Milani piuttosto che Berlinguer, Craxi o i Kennedy a seconda della più spregiudicata convenienza. Nella sua figura c’è insomma tutta l’incapacità di un ceto politico sempre più autoreferenziale che vede crollare puntualmente il proprio castello di riferimento: il comunismo, la Cosa, il blairismo ed ora è costretto ad inventarsi qualcosa di nuovo per l’ennesima volta per non sparire. Altro che Grillo (che pure ha detto di candidarsi perché da Berlinguer in poi la sinistra non riesce più ad esprimere una sua visione autentica della società).

6 commenti

  • 1 Raffaele
    16 Luglio 2009 - 11:19

    Le temperature africane di questi giorni hanno provocato notevoli problemi al cervello di molti comuni cittadini “ma anche” e, pare soprattutto, all’ex leader del PD…

  • 2 Marco Crobu
    16 Luglio 2009 - 14:57

    L’articolo, nella sostanza, è condivisibile: il problema è che è scritto con l’accetta. Della serie: come sprecare un buon contenuto (le dichiarazioni di Veltroni, per la loro gravità, meritano approfondimento) con argomentazioni scontate.

  • 3 Antonello Murgia
    16 Luglio 2009 - 16:12

    Credo che il problema riguardi più i militanti che i leader o sedicenti tali. E in tutti i casi, mentre non ho speranza che Veltroni inverta la rotta, spero in un ravvedimento dei militanti. Poiché fra i cardini della sinistra ci sono la partecipazione e la condivisione, è opinione diffusa che nel suo ambito le informazioni circolino in misura maggiore e ci si aspetta che alle esternazioni più astruse o più biecamente opportuniste ci sia una risposta forte. E invece, di questi tempi la base ingoia quasi tutto; al più alza la voce contro l’avversario politico nella vana speranza di acquisire consenso mettendo in evidenza che l’avversario fa più schifo dei propri leader e dimenticando che è il modello che proprio non va. Se si riduce tutto a scontro di tifoserie senza regole, vincerà sempre la squadra del presidente che ha più soldi e più spregiudicatezza nel comprare gli arbitri. Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che anche le commemorazioni recenti di Berlinguer siano state vissute, non da pochi, più come nostalgia per una stagione politica nella quale la sinistra contava molto di più ,politicamente e culturalmente, che come strumento per rilanciare quella questione morale che Berlinguer aveva individuato come prioritaria per ridare fiducia nelle istituzioni, solidità al nostro sistema democratico, governabilità. Se non si scioglie questo nodo non si risolve il problema, indipendentemente dall’evanescenza veltroniana. Per questo, dubito che anche il ben più presentabile Bersani possa darci la soluzione, avendo appollaiato sulla spalla quel D’Alema che in campo etico ha manifestato anche lui cadute importanti (furbetti del quartierino e BNL, Mirello Crisafulli, etc.). Nella speranza di contribuire a porre la questione morale come non più rinviabile, ho deciso di iscrivermi al PD e di sostenere la candidatura di Ignazio Marino alla segreteria: battaglia difficile, ma non impossibile (Obama docet) se saremo in tanti a sostenerla.

  • 4 andrea nonne
    16 Luglio 2009 - 19:41

    Ottimo.

  • 5 saverio
    16 Luglio 2009 - 21:15

    Una sola cosa è certa…che moriremo berlusconiani!

  • 6 Arrubiu
    17 Luglio 2009 - 10:43

    dl blog “Il criminoso” di Andrea Scanzi
    http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/07/07/la-mia-vita-da-cubista-e-l%e2%80%99abbacinante-storia-del-pd/
    *********************
    Partito Veltroni. Aveva detto che non avrebbe fatto più politica. E invece. Del resto aveva anche detto che sarebbe andato in Africa (come se il terzo mondo non avesse già abbastanza problemi). E invece. Veltroni è l’uomo del “ma anche” e dell’ “e invece”. Perennemente a mezz’asta, in bilico con se stesso. Spietatamente vacuo. E’ l’Oblady Obladà della sinistra. La sua carriera è stata folgorante. In neanche un anno, ha resuscitato Berlusconi, ammazzato Prodi, strozzato sulla culla un partito neonato e augurato ai giovani militanti di finire come il protagonista di Into The Wild (cioè avvelenati da un fungo in Alaska, crepando tra gli stenti). Veltroni è un portatore sano di tsunami. A lui non succede niente, per gli altri è un disastro continuo. Eppure lui è sempre lì, mai fuori moda, pronto a dispensare consigli e farsi scrivere i testi da Jovanotti. Esce dal suo album Panini, nelle notti di plenilunio, per dettare le linee guida su come uscire dalla crisi che lui stesso ha generato. In questo senso, e non solo in questo, Don Walter è uguale al suo finto nemico D’Alema. Le due facce della stessa medaglia (bucata).

Lascia un commento