A.P.
Ricordo tanti anni fa, nel 1989, nel PCI, ormai calante, un segretario regionale voglioso di entrare in Consiglio regionale, ma impaziente, indisse le primarie. Una novità in un partito che fino ad allora faceva decidere gli organismi dirigenti. Cos’era successo? La candidatura del segretario presupponeva l’estromissione dalle liste di un compagno consigliere e dirigente, che però era alla prima legislatura e, secondo prassi, non avendo demeritato, doveva essere confermato. Le primarie, dunque, manovrate dal segretario, in nome della democrazia, per manomettere un processo decisionale sedimentato. Manco a dirlo, indovinate chi vinse? Vinse lui, proprio lui, il segretario!
Ora, a ben pensarci, Soru, mutatis mutandis, fa lo stesso giochetto. Non vuole la Todde, ha una pregiudiziale ostilità per i 5 Stelle. Neppure per un attimo ha pensato che lavorare insieme per un programma condiviso sarebbe stata la strada migliore per raggiungere l’unità e formare una coalizione ampia, programmaticamente forte per battere la destra. Uno che è stato presidente della Regione, segretario regionale del PD, deputato europeo (seppure il più assenteista) deve dar segni e soluzioni di responsabilità. D’altra parte, valutando la Todde senza pregiudizi, deve ammettersi che è una buona candidatura, una donna (e sarebbe la prima in Sardegna), garbata, con buona esperienza amministrativa, fuori dalle manovre regionali pregresse. Tutte considerazioni che avrebbero dovuto indurre ad una decisione meditata in seno all’area alternativa alla destra. No! Quandomai! O primarie o morte! Risultato? Morte! Una sconfitta. O, per i creduloni, un alto rischio di debacle. Non bastava solo questo pericolo per una decisione meno traumatica?