Daniela Pistis
Trentamila buste paga cancellate, le multinazionali fuggite, la disoccupazione schizzata al 13 per cento: in questo contesto, l’unico segnale arriva dal sindacato. Oggi 10 luglio stop di otto ore e corteo a Cagliari. Sullo sciopero pubblichiamo un articolo dal sito www.rassegna.it
A distanza di sette anni dall’ultimo sciopero generale, il sindacato sardo sceglie di nuovo la piazza. Oggi 10 luglio, in occasione della protesta di 8 ore dei settori produttivi e dei servizi a rete, saranno almeno 10.000 le persone che da tutta l’isola arriveranno a Cagliari per partecipare al corteo che si snoderà nelle principali vie cittadine, sino a concludersi in piazza del Carmine.
Una manifestazione unitaria, che ha messo d’accordo Cgil, Cisl e Uil, sia nell’individuazione delle ragioni dello sciopero che nell’elaborazione delle soluzioni.“Vogliamo rendere visibile il malessere – spiega Enzo Costa, segretario generale della Cgil regionale –, perché c’è l’intento di banalizzare, o peggio nascondere, le difficoltà di migliaia di lavoratori, famiglie e pensionati aggrappati alla speranza che qualcosa possa cambiare”. È un malcontento diffuso quello a cui danno voce i sindacati: lo dimostra anche il numero di adesioni che, in questi giorni, stanno manifestando le associazioni di Comuni e Province, di artigiani e piccoli imprenditori. Persino la Confindustria sarda ha espresso apprezzamento per l’intento che sottende allo sciopero, dichiarando pubblicamente di sostenere le istanze e di condividere la decisione di Cgil, Cisl e Uil di dare un segnale forte alla politica, affinché vengano elaborate le giuste soluzioni per far ripartire l’economia e lo sviluppo.
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Un disagio generalizzato dunque, che sembra spingere a convergenze inedite nella Sardegna spaccata a metà dalla crisi. Da una parte, una sfilza di associazioni schierate con i sindacati e con il loro movimento di protesta. Dall’altra, il governo regionale, che assiste immobile allo smottamento del sistema economico isolano. Proprio negli ultimi tempi, la Regione ha subìto scelte fatte a Roma senza il minimo coinvolgimento dei rappresentanti delle istituzioni sarde: lo spostamento del G8 alla Maddalena e lo scippo dei fondi per le infrastrutture collaterali, che avrebbero dato nuovo appeal alla Sardegna, offrendo una prospettiva diversa all’attuale declino. “Da mesi sollecitiamo questa giunta – spiega ancora Costa – affinché elabori un’idea di sviluppo, un modello economico su cui puntare: il nostro grido resta inascoltato, perché chi sta alla giuda della Regione non ha nessun progetto, né evidentemente la sensibilità politica e la capacità di trovare risposte allo smantellamento del nostro sistema produttivo”.
C’è da dire che negli ultimi giorni c’è stata un’intensa attività fra le file della maggioranza che governa la Regione: c’era l’esigenza di dar corpo al Piano casa dopo che la Sardegna si era candidata come capofila nel progetto annunciato mesi fa dal presidente del Consiglio Berlusconi. Il disegno di legge sarà pronto entro metà luglio, insieme a una serie di correttivi che, secondo le dichiarazioni dello stesso presidente della Regione Cappellacci, limiteranno sensibilmente i vincoli imposti dal piano paesaggistico regionale della giunta Soru. Il centro-destra sardo presenta la nuova legge come una manna contro la crisi: l’aumento delle volumetrie, la cancellazione di alcune norme che avrebbero bloccato lo sviluppo, comporterebbe automaticamente l’avvio di una nuova fase di prosperità, nell’edilizia come nel turismo (si parla infatti di abbattere alcuni vincoli che riguardano proprio gli alberghi sulle coste). La maggioranza ci sta lavorando in questi giorni, proprio mentre l’altro pezzo di Sardegna, quella che soffre, subisce e lotta per superare la crisi, organizza lo sciopero generale. Qualche effetto comunque la mobilitazione annunciata l’ha già sortito, perché per il 17 luglio è stato convocato il tavolo anticrisi Stato-Regione. Ora si tratta di verificare se in quella sede verranno prese decisioni adeguate.
Il panorama, al momento, continua a essere desolante: 30.000 buste paga cancellate, le multinazionali fuggite, la disoccupazione schizzata al 13 per cento: in questo contesto, l’unico segnale arriva dal sindacato, che chiede al governo regionale d’intervenire con politiche e programmazione e con un’idea di sviluppo che rappresenti un punto di partenza e una prospettiva per il futuro. Richieste che risalgono a ben prima dell’insorgere della crisi e a cui non ha fatto seguito, almeno fino a oggi, nessuna azione concreta. Eppure le soluzioni ci sarebbero: “Serve una seria politica industriale – conclude Costa –, investimenti su infrastrutture, chimica, tessile e agroindustria, così come sul carbone per risolvere il problema energetico, rilanciare le politiche del welfare locale e puntare sull’istruzione e sulla ricerca”.
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