Carbonia. Nella cornice del contesto nazionale: politiche liberiste e Piano di lavoro

17 Dicembre 2023
1 Commento


Gianna Lai

Oggi, domenica, nuovo post sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Il Piano di lavoro, perché “il sindacato esca dalle strettoie della conflittualità permanente e delinei un modello costruttivo del suo ruolo nella società”, dice lo storico Giovanni De Luna. Secondo la sollecitazione di Riccardo Lombardi, che aveva esortato il movimento sindacale a uscire dalla politica rivendicativa del giorno per giorno e a darsi un programma di ampio respiro, nel quadro di una visione economica generale. Dice Sergio Turone, “un tentativo di sottrarre almeno in parte il processo di ricostruzione del paese all’arbitrio della iniziativa privata, sulla cui vitalità spontanea facevano assegnamento invece le forze politiche di governo, per rilanciare l’economia italiana in chiave essenzialmente liberistica”.
Nel biennio 1950-51 gli aiuti Erp raggiungono in Italia i 400 milioni di dollari circa. E se, come già detto, “fino al giugno 1949 la maggior parte delle forniture di merci fu costituita da cereali (40%), carbone (24%), cotone (15%) e prodotti petroliferi (10%), mentre bassa restava la percentuale destinata ai macchinari, nel corso del 1949 invece aumenta la fornitura dei macchinari, fino a toccare il 32%”, appunto nel successivo biennio. I dati, sulla Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro, indicativi “del rinnovamento tecnologico delle industrie che dal 1949 in poi fu molto rapido, sopratutto per le industrie maggiori”. E fu una tendenza “patrocinata, da parte americana, allo scopo di facilitare gli scambi nella vasta area del dollaro”, già fin “dalla seconda conferenza del Gatt,… Accordo generale sulle tariffe e sul commercio,… agosto del 1949, che stabilì una riduzione generale delle tariffe doganali, poi confermata da successivi accordi tra gli Stati aderenti”. Liberalizzazione degli scambi e grande competitività nei mercati esteri, a facilitare la ripresa in Italia, insieme al basso costo della manodopera e all’esercito di disoccupati, “che per parecchi anni superò i due milioni di unità”. Mentre, nello stesso tempo, “l’espulsione dal governo e poi la sconfitta del Pci e del Psi,… la scissione sindacale, il fallimento del progetto relativo ai Consigli di gestione nelle imprese, la politica repressiva attuata da Scelba”, sembravano caratterizzare la volontà di “restaurazione del potere anche economico della parte più forte della borghesia italiana”. Onde impedire “che avessero successo i tentativi di rinnovamento, le cosidette riforme di struttura, teorizzate dai partiti della sinistra e da parte della stessa Democrazia cristiana, già prima della caduta del fascismo e durante la Resistenza”.
Ed è per contrastare le politiche liberiste del governo e l’attacco al sindacato e ai movimenti popolari che Di Vittorio aveva elaborato il Piano di lavoro, “La Cgil indebolita dalle scissioni del 1948 e del ‘49, cercò per quanto era possibile di resistere e contrattaccare, stimolata e sostenuta dalle Camere del lavoro, dalle federazioni di categoria e dalle organizzazioni di fabbrica”, come leggiamo ancora su Candeloro. Tenuto fermo “il principio della contrattazione nazionale guidata appunto dagli organi confederali centrali”, si rendono conto, i dirigenti della Cgil, che “la lotta contro la disoccupazione non poteva essere condotta soltanto in forma difensiva, ma doveva essere inquadrata in una visione strategica più vasta, mirante a spingere il governo a modificare la politica economica prevalsa dal maggio del 1947 in poi”. Nacque così la proposta del Piano del lavoro fatta da Di Vittorio al II Congresso nazionale della Confederazione, tenuto a Genova dal 4 al 9 ottobre 1949. Il Segretario generale della Cgil, partendo dalla considerazione “che in Italia vi erano circa due milioni di disoccupati, un altro milione di lavoratori a orario ridotto e più di un milione di braccianti che lavoravano solo saltuariamente e osservando che l’emigrazione all’estero, proposta da De Gasperi poco prima come principale sollievo alla disoccupazione, non poteva assorbire una così grande quantità di forza lavoro esuberante,… propose… che lo Stato adottasse un piano inteso a risolvere alcuni problemi generali per lo sviluppo del Paese e ad assorbire al tempo stesso la maggior parte dei disoccupati e dei sottoccupati. Questo piano del lavoro che fu approvato dal congresso, si articolava in quattro punti, 1) Nazionalizzazione delle aziende elettriche monopolistiche e costituzione dell’Ente nazionale elettricità, che assuma la gestione delle aziende nazionalizzate e abbia il compito di promuovere… la costruzione di nuove centrali termoelettriche… 2) Costituzione di un Ente nazionale per la bonifica, le irrigazioni delle terre e le trasformazioni fondiarie, col compito di promuovere un intenso sviluppo dell’agricoltura italiana specialmente nel Mezzogiorno, collegato all’inizio della realizzazione della riforma agraria. 3) Costituzione di un Ente nazionale dell’edilizia popolare col compito di promuovere la costruzione di case popolari, scuole, ospedali, ecc. in tutte le province d’Italia, principalmnete nelle zone maggiormente colpite dalla guerra… 4) Realizzazione di un vasto programma di opere pubbliche essenziali ad un minimo di civile convivenza (strade, acquedotti, fognature, illuminazione, telefoni, ambulatori)”.
Ma non avrebbe trovato ascolto tra i politici Di Vittorio, né in Parlamento né, tantomeno a livello di governo, l’Italia dentro un contesto internazionale che ben poco spazio lasciava, in piena guerra fredda, alle proposte di piano, liquidate come fossero richiami alle politiche dell’Est europeo. E conclude, perciò, lo storico sottolineando come “la proposta del Piano del lavoro non ebbe uno sbocco pratico immediato, nonostante l’agitazione e le discussioni organizzate intorno ad esso per quasi due anni dalla Cgil e dai partiti di sinistra. De Gasperi respinse il Piano che giudicò inattuabile,… il tentativo di controffensiva della Cgil si urtò quindi contro una forte resistenza sia del governo sia delle forze economiche dominanti, sopratutto nel campo industriale. Perciò il costo del lavoro restò basso ed ebbe per tutto il decennio 1950-60 un tasso di incremento inferiore a quello della produttività”. Forte sviluppo economico, in Italia, ma bassi salari e povertà delle famiglie, mentre nel resto dell’Europa la ripresa avveniva non certo gravando così fortemente sui ceti popolari.
E lo storico Valerio Castronovo, infine, sempre a proposito del Piano,“La proposta della Cgil rilanciava il discorso sugli effetti moltiplicatori della spesa pubblica…, e contemplava l’offerta di una larga disponibilità sindacale in cambio di un decisivo impegno del governo contro la disoccupazione. Sebbene il piano del lavoro non avesse la pretesa di presentarsi come un disegno organico di programmazione economica, esso rappresentò allora qualcosa di più di un semplice atto propagandistico con cui si affrettarono a liquidarlo molti osservatori”. In effetti il piano di lavoro poneva al centro “la questione più generale di una diversa utilizzazione della capacità produttiva e di una differente distribuzione del reddito, con tutte le relative implicazioni politiche e nel rapporto forza fra le varie classi sociali”. Più incisive, secondo lo storico, le lotte “dei braccianti meridionali per la terra e l’imponibile di manodopera” che, “non solo avevano dato uno scossone al predominio degli agrari ma avevano aperto, in pari tempo, la strada al consolidamento della sinistra nel Mezzogiorno” Qui, infatti, Pci e Psi “guadagnarono terreno nelle elezioni politiche del 1948 al confronto dei suffragi stazionari, o in declino, delle regioni settentrionali”.

1 commento

Lascia un commento