Gianna Lai
Come tutte le domeniche, dal 1° settembre 2019, un post sulla storia di Carbonia.
Così, nel Bollettino Economico della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di aprile, l’esito di una inchiesta sull’industria elettrica: “ora sono le centrali idroelettriche ad avere funzione integrativa rispetto alle termoelettriche, che funzionano con regolarità. Carbonia può garantire alla Sardegna il suo fabbisogno massimo di energia elettrica ed anche alla penisola”.E si anima la polemica, a partire dalla Lettera di G. Regis dell’Ufficio Studi Cgil, pubblicata su L’Unità del 4 aprile, “La Cgil aveva denunciato l’opera di svendita, da parte dell’Ente Carboni, del carbone americano allo stesso prezzo del carbone Sulcis, lire 8.000 la tonnellata mentre, dalle 200.000 tonnellate mensili di carbone polacco importato, si è passati alle 100.000 mensili di quest’anno. Manovra ispirata dagli americani e pagata dall’amministrazione del Piano Marshall, in Italia, coi soldi del Fondo lire e fatta propria dal governo e dalla Carbosarda”. La Cgil, prosegue la lettera, ha richiesto al ministro di “sospendere o rallentare le vendite sotto costo delle scorte di carbone”, a seguito della licenza “concessa al gruppo monopolistico Ital-Viscosa dalla Giunta [del Comitato Carboni Italiani, n.d.a], il 17 marzo ultimo scorso, per la importazione di carbone dell’Arsa, che ha caratteristiche più simili al carbone sardo”. La Cgil chiede, dunque, la revoca di questa licenza, denunciando ancora, su L’Unità del 6 aprile, il grave aumento di tonnellate di carbone invenduto nei piazzali della miniera: “si importa carbone jugoslavo simile al nostro, lignite picea, mentre 200.000 tonnellate di combustibile sardo restano invedute a S. Antioco: 25.000 tonnellate importate per decisione del governo, attraverso la Giunta del Comitato Italiano Carboni”. Ed ancora, sullo stesso quotidiano, “qualche migliaio di tonnellate fermo nei pozzi, non portato in superficie, per mancanza di berline e perchè manca il posto dove ammassarlo. E 35.000 nelle laverie, e le putrelle di sostegno dei depositi in alcuni punti già cedono, e 160.000 a S.Antioco”. Mentre l’Italcementi ha già ridotto drasticamente gli acquisti di Sulcis, rispetto agli anni precedenti.
Uno stillicidio. L’Unità del 7 aprile: “Cantiere di Sirai inattivo per mancanza di berline, alcune difettose hanno già provocato gravi incidenti, altre giacciono inutilizzate; talvolta la direzione ne manda in numero eccessivo in certi pozzi, sguarnendo gli altri. Mancano i motopicchi, il legname, le pale. Questo è il sabotaggio della Smcs. Sospeso per tre giorni il lavoro a Sirai”. E l’8 aprile, “E’ diminuito il prezzo del carbone di lire 1800 rispetto all’ottobre 1949, ora costa lire 9.500” mentre, nonostante “il sabotaggio della direzione, la resa uomo è salita da 350 kg/ del ‘47 ai 500 kg attuali”. E il 18 aprile, “si lavora solo 3 ore al giorno nel bacino del Sulcis. Non c’è più posto per sistemare il carbone, manca l’attrezzatura e il legname. E il 19 aprile: “Lettera della Camera del lavoro di Cagliari al Comitato Carboni, presso il Ministero dell’Industria, sul collocamento del carbone sardo e per denunciare l’importazione del carbone americano e dell’Arsa”. Così dal Notiziario Confindustria n. 3 del 5 febbraio 1950: “Nella scorsa estate, in seguito alla previsione di un lungo sciopero di minatori americani, si son venute a costituire, nei depositi dell’Ente Approvvigionamento Carboni (EAC), ingenti scorte di fossile, attualmente 215.000 tonnellate, il cui collocamento resta difficile”. Fino alla preoccupazione dello stesso prefetto “grave la situazione nel Sulcis-Iglesiente per le ripercussioni nazionali e internazionali dei mercati”, e del questore, “disoccupazione, senza tetto, aumento dei prezzi, in fallimento le piccole imprese”, chiusa la miniera di Orbai, a Villamassargia, dalla Società Monteponi-Vassena. Così l’Ufficio Provinciale dell’Industria e del Commercio, “Precaria la situazione delle miniere metallifere, la Fonderia prepara i licenziamenti, precaria la situazione nel settore carbonifero, anche se addolcita da iniezioni di miliardi, che altro scopo non hanno se non quello di ossigenarla”.
“E’ stato annunciato un prestito di 2 miliardi, concesso dall’ERP alla Smcs, per la meccanizzazione delle miniere”, leggiamo infine su L’Unità dell’8 aprile: ne aveva posto le premesse, l’anno precedente, una convocazione OECE, a Parigi, dei rappresentanti dei paesi aderenti, per discutere di un prestito ERP destinato alla modernizzazione e alla meccanizzazione delle miniere. Il piano presentato dalla Carbosarda, produzione finale di 3 milioni di tonnellate annue, prevedeva una spesa di 14.161.000 di lire, una parte dei quali destinati a macchinari e materiali: “Un prestito ERP in dollari per impianti minerari da acquistare in America”, 3.500 milioni destinati alla costruzione della centrale termoelettrica a Portovesme, “750 milioni per materiali e impianti minerari, da acquistare in Germania, altri 8.000 milioni per spese relative alla messa in funzionamento dei vari impianti”. Così lo Studio per la riorganizzazione dell’azienda, 1955, a cura della stessa Smcs, che traccia poi le seguenti conclusioni: “se un parte dei finanziamenti fu concessa e corrisposta in tempo, seppure non tutti i materiali siano poi stati utilizzati, per il resto la Società dovette ricorrere a gravose operazioni bancarie”. Per cui i lavori di preparazione e montaggio “proseguirono a rilento… tanto che, a distanza di anni, nessuno degli impianti potè essere portato a termine, eccezione fatta per la miniera di Seruci”.
La mancata ristrutturazione della miniera, nell’ambito dei nuovi organismi internazionali preposti al controllo della produzione e del mercato dei combustibili in Europa, segna dunque il destino del Sulcis: a risponderne, il movimento avrebbe chiamato la politica nazionale e quella sarda, senza tuttavia averne risposta.
1 commento
1 Aladin
20 Novembre 2023 - 00:44
Anche su aladinpensiero: http://www.aladinpensiero.it/?p=149659
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