Premierato “cieco” e costituzionalizzazione dell’ignoranza

11 Novembre 2023
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Carlo Dore jr. - Univ. Cagliari

In base alle prime anticipazioni relative al contenuto del ddl Casellati, viene spontaneo rilevare come mesi di discussioni su presidenzialismo all’americana, semipresidenzialismo alla francese e cancellierato alla tedesca abbiano prodotto (con particolare riferimento alla c.d. “clausola anti-ribaltone”) un modello ispirato alla formula del “premierato cieco”: cieco rispetto all’esigenza – pure apparentemente considerata dai teorici della riforma – di non vulnerare le prerogative del Capo dello Stato; cieco rispetto alle dinamiche assunte dalle crisi di governo riscontrabili nel corso della Seconda Repubblica. Una riforma che regola le crisi di governo ignorando le normali dinamiche da cui è scandita l’evoluzione delle crisi di governo; una riforma della Costituzione basata sull’ignoranza; l’ignoranza che si fa Costituzione, ovvero la costituzionalizzazione dell’ignoranza. Eccola qui, la madre di tutte le riforme.
Come è noto, la “clausola” in parola prevede che – una volta sfiduciato da una delle Camere il Presidente del Consiglio eletto a suffragio universale – il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico esclusivamente ad un parlamentare (non ad un tecnico estraneo al Parlamento) espressione di una lista collegata al premier sfiduciato. Il premier incaricato può ricevere la fiducia di una maggioranza differente, nella sua composizione, da quella che sosteneva il Presidente del Consiglio scelto dal corpo elettorale, risultando però vincolato all’attuazione del programma di governo elaborato da quest’ultimo.
Ebbene, ci si deve chiedere quale delle crisi di governo verificatesi negli ultimi vent’anni avrebbe potuto essere risolta sulla base del meccanismo descritto dalla norma sopra riportata. La risposta, brutale nella sua semplicità, risulta molto indicativa dell’efficienza della soluzione che ispira il suddetto meccanismo: forse una, vale a dire quella, risalente al 1997, che portò alla formazione del Governo - D’Alema a seguito della traumatica conclusione della prima esperienza di Romano Prodi a Palazzo Chigi. Esperienza superata attraverso la formazione di due nuovi movimenti originati dalla scissione consumatasi in seno al alcuni partiti preesistenti (i Comunisti italiani creati da Cossutta e Diliberto in contrapposizione alla linea bertinottiana; l’UDR di Cossiga e Mastella, inizialmente eletto nelle fila del centro-destra), i cui voti in Parlamento sopperirono al passaggio all’opposizione di Rifondazione comunista.
Al netto di questa estrema ipotesi, caratterizzata da un totale rassemblement del quadro politico emerso dalle urne, non sfugge come i margini di operatività della clausola in parola prefigurino soltanto uno scenario paradossale: se infatti un partito di maggioranza dovesse spezzare il vincolo fiduciario che lo lega a un premier direttamente eletto, questo stesso partito dovrebbe avere la forza o per continuare a far parte della maggioranza preesistente (al netto delle probabili, violentissime lacerazioni conseguenti all’interruzione dell’esperienza di governo del Presidente del Consiglio espresso direttamente dal corpo elettorale), o addirittura per imporre un proprio esponente quale futuro premier alle forze originariamente all’opposizione, nel quadro di un nuovo patto di governo. Per contro, in questo secondo caso, i partiti d’opposizione dovrebbero a loro volta impegnarsi non solo a sostenere un Governo guidato da un esponente di uno schieramento politico inizialmente percepito come ostile, ma anche vincolarsi all’attuazione di quello stesso programma che avevano avversato in sede di competizione elettorale.
Ecco allora che la norma anti-ribaltone giunge alla conseguenza di ammettere solo un “duplice ribaltone”, rendendo per tabulas costituzionalmente illegittima la soluzione più logica di una crisi di governo: quello di un Esecutivo privo di una connotazione politica immediata (si pensi a quello guidato da Lamberto Dini nel 1995, o a quello presieduto dal Mario Monti nel 2011) in grado di superare le fibrillazioni interne a coalizioni in frantumi. E su questo punto l’ignoranza che ammanta il premierato cieco investe, come in precedenza accennato, l’importanza assunta dall’opera di mediazione del Capo dello Stato  nella gestione di alcuni tornanti decisivi del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, caratterizzati dalla presenza di fattori di crisi (economica, sanitaria, giudiziaria, criminale) che la politica appariva troppo debole per affrontare.
Dopo le dimissioni dell’Esecutivo guidato da Giuliano Amato (falcidiato dagli avvisi di garanzia collegati a Tangentopoli), fu il “tecnico” Ciampi a traghettare il Paese lungo la stagione delle stragi; sempre a un tecnico come Monti toccò la gestione della crisi finanziaria verificatasi al tramonto del berlusconismo, seppellito da scandali sessuali e dalle risate in mondo visione dell’asse franco-tedesco; e un civil servant come Draghi gestì la fase finale della crisi pandemica, tacitando le continue manifestazioni di dissenso che avevano condizionato (forse, oltre i suoi demeriti) l’ultima fase del secondo governo Conte.
Ecco, la scelta di privare il Presidente della Repubblica di uno strumento come i governi tecnici o “del Presidente”, utili in certi contesti a far decantare i conflitti interni alla dialettica politica, affidando la gestione di congiunture particolari ad Esecutivi impermeabili alle logiche del consenso, finisce col cristallizzare in Costituzione l’ignoranza riferita ad alcuni dei momenti centrali della storia italiana del dopoguerra. L’ignoranza in costituzione, la costituzionalizzazione dell’ignoranza: il primo, e più evidente vulnus che inficia il modello del premierato cieco.

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