GIAMBRUNO E LA CONCEZIONE DEL POTERE: TRA SHAKESPEARE E JERRY CALA’

23 Ottobre 2023
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Carlo Dore jr.

La storia che ad oggi domina le prime pagine dei principali quotidiani nazionali verrebbe, in condizioni di normalità, relegata nel taglio basso di qualche rotocalco di second’ordine, o, per i cultori del “io mi informo solo online”, nel link defilato di uno dei tanti siti di gossip che invadono la rete.
A prima vista, è una storia come tante, fedele a un canovaccio quasi scontato: un (mediamente) noto personaggio televisivo viene catturato in un fuori onda pieno di ammiccamenti, allusioni e pose equivoche degne della più scollacciata pellicola con Jerry Calà (quello del “va bene che a letto faccio miracoli, ma non esageriamo…”). Tuttavia, al personaggio in questione manca la comicità piaciona del Jerry nazionale: infatti, la gentile consorte decide di impartirgli il giustificatissimo benservito (rigorosamente via social, secondo gli stilemi di questa stramba contemporaneità). Tutto scontato, si diceva: se il protagonista di questa storiella da cinepanettone non fosse Andrea Giambruno, asceso al salotto buono della corazzata Mediaset anche nella sua veste di premier chevalier di Giorgia Meloni, dalla cui real casa si trova allontanato dalla potenza di un post.
Solidarietà bipartisan alla Presidente del Consiglio, il cui prestigio sembra essere impermeabile alle pericolose dinamiche di una vicenda privata. Solidarietà mal riposta, se si ripensa alle reiterate (e talvolta un pò sguaiate) prese di posizione della Presidente a favore della - in verità, difficilmente inquadrabile nei suoi esatti confini - “famiglia tradizionale”. Solidarietà non del tutto giustificata, se si considera che l’intera vicenda, esaminata da una differente prospettiva, finisce col perdere i connotati della commedia anni’80 per assumere quelli, decisamente meno ridanciani, della tragedia shakesperiana.
“Stolto Lucio! Non ti accorgi che Roma è una giungla di tigri?” Forse coglie nel segno, lo sfortunato Tito Andronico: “una giungla di tigri” è formula idonea a descrivere plasticamente la realtà dell’Urbe, nella sua dimensione di icona del potere meloniano. Una “giungla di tigri”, animata dalla ricostruzione geronto-canora dei nazisti di Via Rasella offerta da La Russa a reti unificate, dalla divisa da SS ostentata da Galeazzo Bignami a beneficio di obiettivo, dalla sostituzione etnica invocata (pare inconsapevolmente) dal cognato Lollobrigida, dalle teorie alternative sulla strage di Bologna partorite da De Angelis nel pieno del bollore agostano, e perfino dalle (anche grammaticalmente) rivedibili tesi sul mondo al contrario affidate ai posteri dal Generale Vannacci.
Una pericolosa sovrapposizione tra tentazioni nostalgiche, pulsioni machiste, malcelata avversione verso ogni “diversità” che avrebbe certamente ispirato il Bardo nella costruzione di uno dei suoi personaggi negativi; una concezione del potere che la stagione del “Yo soy Giorgia” ha ampiamente coltivato, introiettato, legittimato, con giusto qualche abbellimento necessario a rendere meno scomodo il vestito buono del filo-atlantismo sfoggiato dalla premier nei consessi internazionali. Una concezione del potere di cui Andrea Giambruno - con il suo linguaggio greve, le gaffes trasformate in manifestazioni del libero pensiero di una informazione lontana dai bizantinismi degli intellettuali radical, i riferimenti sessuali e le pose inurbane - costituisce solo l’ennesima espressione: il prodotto consapevole – e fino a ieri sbandierato su tutte le copertine – del retroterra culturale di cui si alimenta il melonismo di governo.
Ed è con questo retroterra culturale, con questa sovrapposizione tra nostalgismo, machismo e odio per il diverso, che la Meloni dovrà prima o poi fare i conti, al netto dei silenzi strumentali, della fuga dalle domande sgradite, dal continuo barricarsi dietro lo schermo del “privato”. Perché anche la Tamora del Tito Andronico era una regina, che finisce per pagare a caro prezzo la scelta di fondare su una giungla di tigri la propria ascesa al trono. E perché, a scorrere con attenzione le pagine del Bardo, anche nelle più angoscianti tragedie di Shakespeare non mancano personaggi alla Jerry Calà.

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