Appunti per un programma regionale. Sui trasporti perché non devono decidere i sardi?
Pensate che i nostri antenati si spostassero fra i nuraghi per lavorare, commerciare o per andare dagli amici, partecipare a cerimonie religiose o altro ancora, chiedendo, per costruire le strade o scegliere il mezzo di trasporto, prima il permesso a qualcuno, a qualche autorità esterna? O credete che facessero i sentieri da sè al più mettendosi d’accordo coi capi degli altri villaggi? Oppure li facessero semplicemente, seguendo la natura dei luoghi? E quando i fenici fecero qualche strada, vicino al mare, per i loro traffici, come provano i giganti di monte Prama (a proposito erano sardi contro i fenici o fenici contro i sardi?), i nostri avi resistenti non decidevano da sé le strade e chi farci passare? Ora, invece, decidono gli altri.
Planando e venendo all’oggi, vediamo in sintesi la disciplina costituzionale sui trasporti, cui i trasferimenti sono funzionali. La Sardegna ha potestà legislativa esclusiva secondo l’art 3, lett. g) su: «trasporti sulle linee automobilistiche e tramviarie». La lettera p) inserisce «il turismo e l’industria albergiera». Ha potestà concorrente o ripartita nelle materie di cui all’art. 4, lett. f): «Linee marittime ed aeree, cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione».
A ben guardare, questa disciplina si limita ai trasporti interni. Le linee automobilistiche e tranviarie in un’isola non possono che avere questa dimensione. Lo stesso si può dire per le linee marittime ed aeree e il cabotaggio perché sono limitate ai porti e agli scali dell’isola. Si badi però che sono esclusi i trasporti ferroviari. Le ferrovie allo Stato e solo allo Stato!
C’è poi l’art 53 che recita: «La Regione è rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla». Ci aiuta nell’interpretazione di questa norma una sentenza della Corte costituzionale (n. 230/2013, del 23/7/2013). Cos’è successo? La Regione sarda aveva impugnato una disposizione (l’art. 6, c. 19, del decreto legge 6/7/2012, n. 95, convertito con modificazioni in legge 7/8/2012, n. 135) perché determinerebbe l’esclusione della Regione medesima dal procedimento sulle convenzioni con i soggetti che gestiscono il servizio di trasporto marittimo fra la Sardegna e il continente. L’esclusione sarebbe totale nella parte in cui si prevede che tali convenzioni si intendano approvate e producano effetti a far data dalla sottoscrizione, senza la partecipazione della Regione al relativo procedimento. L’esclusione sarebbe invece parziale nella parte in cui si prevede che le successive modificazioni o integrazioni siano approvate una volta che le Regioni interessate sono state semplicemente «sentite», senza, dunque, che sia stata acquisita l’intesa con le stesse.
Le modalità di partecipazione della Regione sarda a questo procedimento - come si è visto - sono delineate dall’art. 53 dello Statuto speciale, riportato sopra, secondo il quale la Regione è rappresentata nei procedimenti di elaborazione delle tariffe e della regolazione dei servizi nazionali di comunicazione che la riguardano. Esso richiede - afferma la Corte - una reale e significativa partecipazione della Regione a queste fasi decisionali.
Il ruolo della Regione - soggiunge la Consulta - non è garantito dalla formula «sentite le regioni interessate» della norma censurata, che si limita ad imporre la mera acquisizione del parere, risultando, invece, necessario un procedimento che assicuri un efficace coinvolgimento della Regione secondo la figura dell’intesa fra i due enti. Di qui la dichiarazione della illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 19, secondo periodo, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «sentite le regioni interessate», le parole «e d’intesa con la Regione Sardegna». Viene violato anche - dice la Corte - il principio di leale collaborazione, che sempre deve essere osservato nei rapporti fra Stato e regioni.
La Giunta sarda inoltre ha evidenziato come la situazione della Regione in ordine ai collegamenti marittimi sia del tutto peculiare, a causa della sua insularità, che rende la corretta gestione di tali collegamenti essenziale per lo sviluppo (agro-pastorale, industriale e turistico) dell’isola e per il soddisfacimento dei diritti dei suoi residenti.
Dall’insieme della disciplina statutaria, anche nella interpretazione favorevole della Consulta, si desume che lo schema di decisione rimane sostanzialmente quello dell’art. 13 dello Statuto: decide lo Stato, la Regione concorre o partecipa. Certamente anche il concorso e la partecipazione possono incidere sulle decisione, ma, in caso di contrasto, è sempre lo Stato a prevalere.
Ora, nella prospettiva della c.d. linea sarda al federalismo, la disciplina in questo caso andrebbe esattamente ribaltata: dovrebbe essere la Regione a decidere e lo Stato a concorrere, anche per gli aspetti finanziari.
Insomma, dovremmo tornare all’autogoverno integrale del periodo nuragico, più che a quello dei fenici, titolari di vie di comunicazione, come testimoniato dai giganti di Monte Prama, messi lì a dissuadere i fenici dall’andare oltre o i sardi a invadere le strade dei fenici, a seconda delle opinioni sulla presenza di quei grandi guerrieri di pietra. Ma, a parte gli scherzi (anche perché allora non esistevano i treni), chiedere sui trasporti (ferrovie comprese) interni ed esterni, poteri decisionali per gli abitanti di un’isola sembra ragionevole, necessario e ovvio. Tanto più che recentemente nell’art. 119 della Costituzione è stato inserito il principio d’insularità. E cosa meglio di una adeguata disciplina sui trasporti può dargli gambe? O no? Insomma, ecco un altro tema su cui si puo’ fondare un programma unitario, alternativo alla destra in Sardegna.
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1 commento
1 Aladin
9 Settembre 2023 - 09:24
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=147179
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