Gramsci e Lenin e la democrazia popolare

24 Agosto 2023
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Andrea Pubusa

Com’è noto, Marx non ha elaborato una teoria o un modello di stato socialista da sostituire a quello borghese. Però ha dato alcune indicazioni, traendole sopratutto dalla esperieza della Comune di Parigi. La forma della  democrazia popolare deve ricavarsi anzitutto dalla concrete esperienze rivoluzionarie, senza ingessanti e astratte teorizzazioni preventive. E Lenin e Gramsci seguono questa impostazione.
La prima indicazione consiste nella necessità della “distruzione della macchina dello Stato”. Cosa dice Marx? La Comune ha dimostrato che “non basta che la classe operaia s’impadronisca della macchina dello Stato per farla servire ai suoi fini”, “la rivoluzione non deve tentare di far passare la macchina burocratica e militare in altre mani - ciò che è sempre avvenuto finora - ma di distruggerla”  (sottolineatura di Marx nella lettera a Kugelmann del 12 aprile 1871). Per sostituirla con che cosa?,  si chiede Lenin. Con una democrazia radicale. Completa eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche, compresi i funzionari pubblici e i magistrati, con stipendi pari a quello di un operaio. Ugualitarismo integrale. Critica radicale al parlamentarismo borghese, con l’introduzione di un continuum di assemblee elettive, che dalle piccole Comuni giungono alla capitale. ”Queste Comuni avrebbero eletto “la Delegazione nazionale” di Parigi” per esercitare “le funzioni (poche, ma importanti) che restavano ancora al potere centrale”. Insomma, il principio di sussidiarietà ante litteram! Così lo Stato oppressivo e parassitario viene distrutto e inizia a decadere lo Stato in generale. La Comune in questo modo si mostra come la forma “finalmente trovata” che deve e può sostituire ciò che ha demolito, “con la quale si compirà la liberazione economica del lavoro”.
Nel ‘17 l’ottobre traduce le Comuni in Soviet, ipotizzando una democrazia formata da un continuum di assemblee elettive di operai e contadini. In questo Lenin si mantiene fedele all’osservazione di Marx, il quale dalla Comune trae l’insegnamento che la forma della  democrazia popolare deve ricavarsi anzitutto dalla concrete esperienze rivoluzionarie, senza ingessanti teorizzazioni preventive.
Come si vede, da questi scritti di Lenin, antecedenti al 1917, emerge limpidamente lo spirito radicalmente democratico del marxismo, prima della torsione autoritaria di Stalin, che ha sostituito ad un apparato burocratico e repressivo un altro apparato con uguali connotati. Un allontanamento e un travisamento del pensiero di Marx e anche di quello di Lenin. Gramsci declina invece il marxismo in modo opposto, preservandone il carattere libertario e liberatorio. Nino - com’è noto - enuclea il concetto di egemonia, che sostituisce la forza delle armi con quella della cultura, della conquista delle “casematte”. Rimane il problema dello strappo rivoluzionario, posto che e’ inimmaginabile che la borghesia abbandoni il potere senza resistenza. In questo contesto il partito è un intellettuale collettivo più che un apparato burocratico. Non a caso il pensiero di Gramsci si mostra vitale e ricco di spunti anche per l’oggi. Ci dà stimoli per una battaglia in difesa della democrazia e per un suo sviluppo completo, come strumento di liberazione e di eguaglianza.
La democrazia diretta è l’obiettivo fondamentale, ossia l’esercizio delle funzioni pubbliche da parte di organismi formati dai lavoratori e al di fuori delle logiche del parlamentarismo borghese. Non una democrazia delegata a chi ha il potere economico, ma un democrazia integrale esercitata dai lavoratori tramite loro organismi.
L’Ordine nuovo di Gramsci si fonda su questa riflessione, che è di Marx e di Lenin, e trova stimolo nel movimento dei consigli di fabbrica sviluppatosi a Torino sopratutto nel 1919.

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