Meglio Bersani!

7 Luglio 2009
6 Commenti


Carlo Dore jr.

Con la conclusione di questa lunghissima tornata elettorale – iniziata con la imprevista sconfitta di Renato Soru nella corsa alla presidenza della Regione Sardegna e completata con i tiratissimi successi riportati a Firenze, Bologna e Bari -, gli appartenenti a quell’ampia fetta di popolo progressista che (spesso più per disperazione che per convinzione) trovano nel PD il loro attuale punto di riferimento devono ancora una volta interrogarsi su quale prospettiva perseguire nell’immediato futuro.
Mentre Bersani si candida, Franceschini replica, Veltroni ritorna, D’Alema ragiona, la Serracchiani sceglie e i TeoDem si agitano, provo a fornire il mio contributo al dibattito in corso sui prossimi assetti del centro-sinistra, partendo da un immagine tratta dall’ultima campagna elettorale: l’immagine di un militante diessino che, allontanandosi dalla piazza in cui aveva appena avuto luogo una manifestazione a sostegno di Flavio Del Bono, mormorava sconsolato: “Ma insomma, questo partito si regge grazie ai nostri voti, ai voti della sinistra…eppure…abbiamo per segretario un ex democristiano; abbiamo proposto candidati provenienti dalla Margherita a Roma, Bologna, Firenze, Napoli… Ma dove sono finiti i nostri? Perché abbiamo bisogno delle veline per mettere paura a Berlusconi?”.
Le riflessioni di quel militante contengono, a mio avviso, i due punti centrali su cui si impernia la sfida che i democratici sono oggi chiamati ad affrontare: da un lato la certificazione del fallimento del “veltronismo” e del modello del partito autosufficiente; d’altro lato, la necessità di dare vita ad un partito “vero”, prima ancora che ad un partito “nuovo”.
Già dall’analisi del famoso discorso del Lingotto, emergeva infatti come la filosofia veltroniana del “ma anche”, del partito dei lavoratori e degli imprenditori, dell’infelice ed un po’ greve italianizzazione degli slogan di Obama avrebbe di fatto chiuso i progressisti italiani nel più classico “cul de sac” , creando una forza politica incapace - a causa delle inevitabili divisioni interne e della palese mancanza di una linea unitaria– di prendere posizioni chiare sulle grandi questioni di rilevanza nazionale.
Alla luce di un simile status quo, scelsi di non partecipare alle primarie dell’ottobre del 2007, limitandomi ad accordare il mio voto al Partito Democratico nel tentativo di arginare l’onda berlusconiana che si accingeva a sommergere il Paese. Tuttavia, le conseguenze derivanti dall’attuazione della strategia elaborata dall’ ex Sindaco di Roma sono oggi sotto gli occhi di tutti: sommaria liquidazione della leadership di Romano Prodi (a cui evidentemente veniva imputatato il peccato mortale di aver vinto tutte le elezioni cui aveva partecipato); astensionismo crescente; gli operai di Mirafiori ed i portuali di Livorno che votano i massa per IDV e Lega Nord; amministratori apprezzati come Illy e Soru condannati alla sconfitta dalle divisioni maturate in seno alla loro stessa maggioranza; Berlusconi messo alle strette non dai rilievi di un’opposizione silente ai limiti dell’afonia, ma dalle rivelazioni di una pattuglia di escort in carriera; Veltroni costretto ad abbandonare in tutta fretta il quatier generale del Nazareno.
All’indomani di una consultazione amministrativa ispirata alla logica del “si salvi chi può!”, è dunque necessario individuare la strada da cui ripartire nell’elaborazione di una proposta politica in grado di guidare l’Italia fuori dalle sabbie mobili in cui si sta rovinosamente arenando l’attuale esperienza di governo del Cavaliere. In questo senso, per ridare speranza ad un Paese sull’orlo di una crisi politica e morale forse irreversibile, non bastano qualche faccia nuova ed i generici richiami ad un rinnovamento finora percepibile solo in alcune sporadiche riunioni di militanti lastricati di buone intenzioni: bisogna creare, entro tempi brevi, un partito degno di tale nome.
Occorre creare un partito (lo si chiami PDS, DS, o PD: le sigle ormai lasciano il tempo che trovano) capace di intercettare i consensi degli appartenenti a quella vasta area della c.d. “sinistra diffusa” che attualmente versano, per usare le parole di Ilvo Diamanti, nella triste condizione di esuli in terra straniera, fungendo da elemento-cardine di una forte coalizione che sappia riproporre lo spirito del grande Ulivo del 1996.
Occorre creare una partito saldamente radicato sul territorio, non più equidistante tra sindacato ed imprese ma presente nel mondo del lavoro e vicino alle esigenze dei lavoratori; occorre creare un partito etico, schierato a difesa della Magistratura e delle istituzioni di garanzia, messe quotidianamente sotto attacco dall’arroganza di un premier che una legge inconcepibile presso qualunque democrazia occidentale rende di fatto legibus solutus; occorre creare un partito laico, che sappia affrontare i temi connessi alla tutela delle libertà civili proponendo soluzioni emendate da pregiudizi di natura morale o religiosa.
Di questo insieme di istanze - gridate a tutta forza dal popolo progressista presente nelle piazze, nei circoli, nei blog ed in tutti i luoghi di aggregazione che la politica moderna mette a disposizione di elettori e militanti - né Franceschini (a cui va riconosciuto il merito di avere di avere svolto con dignità il ruolo di traghettatore assegnatogli dopo il fallimento della stagione veltroniana, stagione della quale era stato comunque attivo protagonista) né la tanto onesta quanto ingenua Debora Serracchiani sembrano avere preso integralmente consapevolezza, evidentemente ignari del fatto che ogni operazione di rinnovamento di una classe dirigente non può prescindere dalla costruzione di un partito ancorato a valori che, al momento, in casa democratica non è dato rilevare.
Di queste istanze sembra invece essersi fatto effettivo interprete Pierluigi Bersani, eterno contestatore del modello del “partito liquido” e convinto sostenitore della necessità di ricreare, attorno al PD, una nuova alleanza di centro-sinistra (basata sull’intesa tra ex prodiani, ex diessini e sul contributo di alcune delle forze che al momento si collocano a sinistra del Partito Democratico) per proporre quella credibile alternativa alla destra berlusconiana di cui attualmente si avverte la mancanza.
Dopo anni di incertezze e di divisioni, sento di condividere questo progetto, anche se non nascondo le tante zone d’ombra che il medesimo presenta, con particolare riferimento agli uomini che saranno chiamati, soprattutto a livello locale, a gestirne l’attuazione. Comunque, alle primarie di ottobre, mi presenterò al seggio: voterò per Bersani, e per sostenere l’idea di un PD qualificabile come moderno partito di sinistra, sperando che anche questa ennesima speranza non si trasformi nell’ennesima delusione.

6 commenti

  • 1 angelo aquilino
    7 Luglio 2009 - 14:02

    Caro Carlo,
    Io preferirei Marino, però mi piacerebbe che non ci si dividesse. Bersani e Marino sono due ottime persone. E’ essenziale non dividersi come ha fatto ancora una volta rifondazione con i risultati che abbiamo visto. Sono per Marino, ma se vince Bersani o Franceschini non faccio tragedie. Vanno tutti bene
    Aquilino

  • 2 Massimo Marini
    7 Luglio 2009 - 17:24

    Non sono d’accordo, sosterrò Marino e non sono esattamente convinto che siano “tutti uguali” o che uno valga l’altro. Mi spiego meglio, non vorrei passare per ingenuo. So benissimo che se Marino è Senatore della Repubblica lo deve allo sponsor dalemiano, so benissimo che non siamo davanti ad un messia o all’Obama de no’atri. Ma so anche che rappresenta una posizione progressista, giovane e laica, appoggiata finalmente con convinzione dalla base. Bersani è stato a mio parere il miglior ministro degli ultimi vent’anni, ma si porta dietro tutto l’apparato che ha ridotto il centrosinistra nello stato in cui si trova e che di fatto ha legittimato Berlusconi quale candidato “valido”. Franceschini è il vice-disastro, come ha detto Rienzi che poi se lo è rimangiato, e nonostante il merito di aver salvato il salvabile negli ultimi quattro mesi, evitando il default, è paurosamente legato al centro più conservatore e ricattatore rappresentato da Rutelli e dall’UDC. Nella fattispecie la proposta di Marino è proposta seria e concreta, non di facciata come furono quelle di Adinolfi e Scalfarotto. Tra qualche giorno saremo anche in grado di parlare meglio nel merito. Intanto io personalmente ritengo sia quasi un dovere morale appoggiare un candidato che finalmente ci farà andare a votare a naso libero. Ed è vero anche che se “il sistema” veramente non lo avesse voluto, Marino non ce l’avrebbe fatta a candidarsi. Però visto il nervosismo che aleggia in zona Bersani soprattutto, sembra quasi che i cardinali abbiano paura di essersi datti una zappa ai piedi, un po’ come in effetti è successo in America con Obama, candidado alle primarie per rinfrescare la facciata del Partito, ma dato per perdente davanti alla candidata di apparato della Clinton. Però in democrazia, ogni tanto, possono succedere cose imprevedibili. E l’impressione è che oggi il pallone sia più rotondo delle altre volte

  • 3 Enea Dessì
    7 Luglio 2009 - 20:02

    Scusatemi molto, ma di fronte al dramma che stanno vivendo migliaia di lavoratori sardi espulsi dai cicli produttivi, difronte a questo esagerato numero di nuovi poveri che in Sardegna non ha precedenti da almeno 30 anni a questa parte, vogliamo parlare ancora di costoro che se la tirano a suon di qualche decina di migliaia di euro al mese? Ma lasciamoli perdere e pensiamo a come ricominciare a lavorare per la Sardegna. Lasciamola stare questa Italia vigliacca e stantia.

  • 4 Massimo Marini
    7 Luglio 2009 - 23:46

    Purtroppo la risoluzione di certe problematiche non può prescindere dall’interessamento del Governo in carica a meno di una rivoluzione popolare/guerra civile, magari di stampo indipendentista, alla quale forse tu alludi. Sperare che nella prossima legislatura ci sia un Governo di diverso colore politico, o anche solo una opposizione guidata da chi secondo noi può affrontare più efficacemente le problematiche drammatiche che stiamo vivendo, è probabilmente il modo più interessato e approfondito di mostrare attenzione. Il più concreto e reale. La questione degli stipendi credo sia da intendersi come denuncia della distanza tra “il palazzo” e “il campo”. E su questo in tanti casi, non ci piove.

  • 5 Enea Dessì
    8 Luglio 2009 - 10:47

    No, caro Marini, non alludo a rivoluzioni o guerre civili. Dico che la Sardegna ha necessità di una forte spinta per cambiare e che il cambiamento non c’è da aspettarselo da decisioni prese a Roma o da legislatori che a tutto pensano se non ai loro ignobili tornaconti. Io sono convinto che i processi di globalizzazione portano a riappropriarsi dei territori nell’ambito di orizzonti che non sono più nazionali ma, nel nostro caso, europei. Mi chiedo: ora che ENI e tutte le multinazionali ci lasciano in eredità le macerie e tutto ciò che ne consegue per l’abbandono delle industrie, pensiamo davvero che la soluzione la si potrà trovare affidandoci a decisioni romane o brianzole? O è costituendo un forte gruppo di interesse presente a Bruxelles che la Sardegna potrà guardare verso strade più sicure e più opportune? Sono mesi che mi sto scervellando, col sindaco di Portoscuso, per capire quale futuro disegnare per quel territorio. Sappiamo bene che dopo il fallimento dei contratti d’area, voluti da quella sinistra spendacciona e senza riguardo nel trattare i denari del contribuente, i margini di errore si sono ridotti al lumicino. Io insisto per lo sviluppo di politiche di attrazione di capitali e imprese basate su forti azioni di defiscalizzazione per le aziende innovative e in particolare per quelle che sviluppano energie rinnovabili su cui si sta giocando il futuro di tutto il mondo ma se in Sardegna si pensa ancora e sempre al carbone davvero non so che cosa pensare. Comunque credo che i sardi debbano imparare ad essere più europeisti e molto, molto meno italiani.

  • 6 Massimo Marini
    8 Luglio 2009 - 23:37

    Caro Dessì, ora il tuo pensiero è molto più chiaro, articolato, e soprattutto condivisibile in pieno. Non credo però che una cosa (l’interessamento attivo alla drammatica situazione che stiamo vivendo in Sardegna) possa escludere l’altra (l’interessamento attivo al futuro del proprio Partito di riferimento). Nè alla fine credo possano prescindersi a vicenda.

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