Gianna Lai
Nei giorni successivi tocca a Sebastiano Pomata, definito dal cronista “ufficiale della Repubblica di Salò”. Così lo svolgimento: “vidi passare in Corso Iglesias un corteo di due-tremila persone che si fermò di fronte alla sede n. 2 del Msi, la prima era presso il magazzino di Multineddu: sparai in aria per paura”. Arrestato e subito rilasciato, non esiste verbale con una sua dichiarazione al momento dell’arresto, documenta l’avvocato Fara. E sembrano ridimensionarsi le accuse nei confronti degli operai e dei dirigenti della sinistra, i testimoni più riflessivi, Multineddu, parte lesa al processo, “abbiamo incontrato un gruppo di persone le quali ci hanno riferito di aver visto Giganti, Mistroni, Selliti e Lecca”: al giudice che chiede chi fossero quelle persone, risponde di non ricordare. Multineddu non è astioso quando racconta, dice il cronista, “trovai il magazzino devastato e seppi da altri che Mistroni, Selliti e Giganti si erano adoperati per calmare la folla”. Interrogati E. Operti, direttore delle Acli e G. Cossu del Psli, “ho sentito la parola vendetta non so chi l’ha pronunciata, ma chi ha fatto tutto è Tatano Ciuffo, dirigente del Psli”.
Ed ancora su L’Unità del 9 dicembre, a una precisa domanda del presidente, G. Cossu risponde: “Signor Presidente, in istruttria ho fatto dei nomi ma, mi creda, io non ho visto nulla. Mi dicevano semplicemente di fare così. I nomi li scriveva su dei bigliettini il dirigente del Psli signor Tatano Ciuffo”, cominciando così a sgretolare “la montagna di accuse”, a detta del cronista, la “montatura” su cui si fonda l’intero castello di carta.
In città si seguono a distanza le notizie sul dibattimento, sempre tanto lavoro per il Comitato di solidarietà, impegnato nella mobilitazione fra i quartieri e nell’organizzazione delle Giornate di festa del minatore, per tutto il mese di dicembre. E volantini distribuiti nei cantieri denunciano l’azione antioperaia svolta dalle Acli, in continuità con la sua politica, nonostante la pesantezza del clima determinata dal processo in corso a Oristano: preziosa informazione per i lavoratori in miniera la lettura de L’Unità e le note informative che giungono tramite gli avvocati, sui testi d’accusa, in particolare. L. Caboni, ragioniere di 67 anni, si limita a ricordare come, nei discorsi “incendiari” di Mistroni, Selliti e Lecca, lui abbia udito la parola vendetta. “Ho sentito Mistroni dire che i missini avrebbero dovuto fare le valigie se Togliatti fosse morto e Lecca che nel suo discorso pronunciò la parola vendetta”. E V. Marongiu, attivista dell’Azione cattolica, “Il Montecucco prima che sfondasse la porta della sede Acli mi ha urlato - apri la porta oppure butto dentro una bomba a mano -”. E poi ancora Cossu che, tuttavia, sembra voler ritrattare, “in istruttoria ho fatto nomi ma, mi creda, non ho visto nulla”. E Tatano Ciuffo ancora sulle posizioni della denuncia, “Lecca ha gridato vendetta, vendetta, tremenda vendetta”.
E poi don Nazareno Mocellin “udii i discorsi del 14 luglio, discorsi un po’ vivaci. La sera del 15 un gruppo di dimostranti penetrò nei locali della sede Acli e dell’Azione cattolica. Io non ricordo i nomi né la fisionomia di questi. Le persone che mi riferirono le notizie erano degne di fede, ma non so se lo fossero coloro presso i quali queste stesse persone attingevano le notizie”: don Mocellin esclude responsabilità di Pelessoni e Ceci, l’imputato democristiano, mentre l’altro democristaino coinvolto è latitante. Infine la deposizione del maresciallo Dessì che parla di presenza di “piani K, avamposti rivoluzionari e sentinelle”, pronte a intervenire. Ma poi dichiara di non aver visto nulla, trovandosi dentro la caserma di via Gramsci.
E vuole citare il cronista, a conclusione di questa prima fase processuale, i giornali indipendenti nella descrizione di Carbonia, il 14 luglio, immersa in un’atmosfera “di bolgia dantesca”. Secondo lui, in realtà, “il processo, proprio per le deposizioni a carico, si svuota lentamente del suo contenuto. Stanno davanti ai giudici popolari… uomini e donne che hanno, dinanzi alla società e dinanzi alla polizia, una sola colpa, quella di essere comunisti. E’ in fondo questa l’unica, la sola imputazione attorno alla quale sono sorte le imputazioni”, imputazioni da pretura avrebbe detto un magistrato estraneo al processo 4). Vedi L’Unità del 14 dicembre. Ma i capisaldi dell’accusa sono, in particolare, il maresciallo Dessì e l’ex commissario Pirrone, la sua deposizione determinante ai fini della condanna di molti imputati: il risentimento nei confronti degli operai sulcitani emerge fin dalle descrizioni che degli scioperi egli fece nei verbali redatti dopo gli scontri con la polizia, “ i comunisti si precipitarono in piazza come cani latranti”. La sua rabbia anche di fronte ai giudici “Deposizione di Pirrone, ex commissario di Carbonia: se vi fossero stati rinforzi le cose sarebbero andate diversamente… signor presidente, se avessi avuto la forza vi sarebbe stato un conflitto e il processo si sarebbe svolto non nella ridente Oristano ma nei campi Elisi o all’Eremo”. All’avvocato Asquer, che ne definisce la provenienza domandando, - è stato sottoposto a procedimento generale per collaborazionismo con i nazisti? - Son stato assolto in Cassazione. - Ma in precedenza ha riportato una forte condanna?”, la risposta dell’ex commissario, ancora sul pronunciamento della Cassazione. Così si conclude l’interrogatorio dei testi di accusa al processo contro i minatori di Carbonia, il Pubblico Ministero chiede 12 anni per Pirastru, Mistroni e Selliti, 19 anni e quattro mesi per Giganti. Condono di 3 anni per le pene gravi, di 2 per quelle inferiori ai 5 anni.
1 commento
1 Aladin
9 Luglio 2023 - 01:45
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=145635
Lascia un commento