Verso le elezioni regionali. Rifondazione: costruire un Fronte popolare di giustizia sociale, di reddito e di pace

10 Luglio 2023
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Enrico Lai - Segr. Reg. Rifondazione comunista


Fra pochi mesi si svolgeranno le elezioni regionali sarde e “grande è la confusione sotto il cielo”. È indispensabile e necessario tracciare un bilancio di questa esperienza governativa a guida Solinas. È imprescindibile richiamare la sua continuità amministrativa rispetto al governo Meloni intriso di attacchi al mondo del lavoro, dello stato sociale e alla Costituzione. La sostanziale differenziazione, tra l’esperienza italiana e quella sarda, risiede nella palese incapacità dell’azione politica di governo regionale. In ragione di ciò la sua giunta si è contraddistinta per una spiccata attitudine alla litigiosità che definirei squisitamente “poltronaia”. Litigiosità appunto che mai è entrata in una relazione d’analisi e di prospettiva amministrativa all’interno della maggioranza, ma solo di collocazione di “figure” nell’ambito del sottogoverno regionale. Rimane quindi ferma e netta la bocciatura delle politiche della Meloni così come quelle di Solinas. Se “Atene piange, Sparta non ride”. Risulta in Sardegna, con ogni evidenza, così come lungo tutta la penisola, la netta scollatura tra domanda di cambiamento e l’offerta politica non all’altezza della fase storica in cui ci troviamo. La cartina tornasole di questo fenomeno è il palese astensionismo, dettato in parte da un senso di impotenza decisionale e dall’altro dalla non rappresentatività politica del conflitto sociale in corso. In Sardegna son ben sviluppati e culturalmente avanzati movimenti che si inseriscono nella difesa della sanità pubblica, dei trasporti pubblici, della Costituzione, della smilitarizzazione delle basi militari e par la Pace senza se e senza ma. L’opposizione a guida PD ad oggi non solo non è stata capace di intercettare il conflitto sociale ed esserne espressione politica, ma per certi tratti è stata concausa attiva in recenti passate amministrazioni di scelte che hanno portato a un indebolimento della “cosa pubblica”. Una su tutte come la cosiddetta “riforma Arru” sulla sanità che è stata l’antesignano dell’accelerazione sulla privatizzazione della sanità e del suo contestuale indebolimento verticale spalancando le porte all’emiro qatariota a Olbia. All’indomani di quella scellerata “riforma” Rifondazione Comunista uscì da quella maggioranza di governo. L’opposizione non si scosta dal commento passivo ai fatti di cronaca politica con un tentativo “normalizzatore” non solo del conflitto sociale ma degli stessi poli politici sostenendo il quadro bipolare grazie a questa legge elettorale mai messa veramente in discussione. Un “mea culpa” mai avvenuto forse perchè mai sentito e mai fatto proprio dagli azionisti di maggioranza di questa opposizione. In virtù di questo mi pare opportuno sottolineare come anche in quel caso Rifondazione Comunista votò contro l’attuale legge elettorale con cui sia andrà sicuramente al voto in Sardegna fra qualche mese. Punto che ritengo nodale è il rapporto economico sardo e italiano nell’ambito del conflitto russo-ucraino. Saltando a piè pari le ragioni del conflitto, che meriterebbero sicuramente un serio approfondimento, l’Italia non si differenzia minimamente della NATO nel non ricercare una via diplomatica alla risoluzione del conflitto alimentando di fatto una escalation militare. Già col governo Draghi, e col governo Meloni oggi, la guerra viene continuamente alimentata. Il rifinanziamento della guerra, votato recentemente anche dal PD, inciderà con l’incremento della spesa militare nel 2% del PIL che significherà una spesa di 38 miliardi di euro all’anno. Un’azione politica che si pone non soltanto in contrapposizione alla Costituzione nel suo articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma come una sottrazione di risorse allo stato sociale come scuola e sanità e politiche attive del lavoro. La Pace non è solo un tema da “pietas cristiana” ma una questione totalmente aderente alla realtà vissuta dai ceti popolari che trovano non solo sguarnite le tasche e i carrelli della spesa derivante dalla galoppante inflazione ma la stessa centralità della “cosa pubblica”. È possibile quindi costruire un’alleanza politica con forze che alimentano la guerra, che attaccano la centralità del “pubblico” dello stato sociale, che emarginano e limitano le espressioni plurali della società? Io penso di no.

Ritengo altresì indispensabile e non più rimandabile creare un “fronte popolare di giustizia sociale e di pace” con quelle sensibilità non rappresentate all’interno del consiglio regionale sardo. Intese non solo come forze politiche e sociali esistenti, ma come donne e uomini impegnati nei comitati di

difesa della salute, della transizione energetica, della pace e contro l’autonomia differenziata. Realizzare uno spazio politico autonomo culturalmente ed elettoralmente dai poli esistenti con la costruzione di un “programma minimo” volto alla difesa e al rafforzamento della “cosa pubblica” come sanità, istruzione, trasporti ed energia. Uno spazio politico antiliberista e antifascista che si ponga il tema della Pace e della dismissione delle basi NATO in Sardegna. Che sappia rendere praticabile la pluralità delle articolazioni delle sensibilità sarde attraverso una proposta di una legge elettorale proporzionale da porre in contrapposizione all’attuale legge elettorale “truffa”. Che produca l’istituzione del “reddito garantito sardo” contro la disoccupazione e la precarietà del lavoro. Penso a questo spazio politico non settario e senza etichette di sorta che coinvolga il mondo e le forze della sinistra storica, dell’autonomismo, del federalismo, dell’indipendentismo e ambientalismo da sempre impegnati in battaglie comuni. Su questo si lavora e le discussioni sono in atto e le ritengo a un buon livello di maturazione politica. Penso che possa esistere la possibilità e lo spazio politico plurale con il mantenimento ognuno delle proprie sensibilità, per un progetto che non ricada da una parte nella subalternità intellettuale al Partito Democratico e dall’altra al settarismo minoritario ideologico e identitario.


Enrico Lai

segretario regionale di Rifondazione Comunista

 

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