Fu vera gloria, o vera infamia?

17 Giugno 2023
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Ei fu. In questi giorni – dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi (1936-2023), avvenuta nel “suo” ospedale, il San Raffaele di Segrate – l’Italia viene attraversata da un’onda mediatico-emotiva di notevoli dimensioni…

 

di Andrea Ermano - L’Avvenire dei Lavoratori

 

 

Che dire delle rocambolesche avventure e gesta, imprenditoriali o calcistiche, di Berlusconi: ai posteri l’ardua sentenza? No, quella fu vera gloria. Nessuno potrebbe negarlo. Ma varrà lo stesso anche per le “serate eleganti”? Il sito della Treccani alla voce “olgettina” parla di un “sostantivo femminile ironico” che significa: “Ragazza ospite delle cene di Silvio Berlusconi a Arcore, residente in via Olgettina a Milano”.

Ei fu. Un esponente politico di primaria importanza durante questi tre decenni italiani è morto. Tentiamo, dunque, un abbozzo di riflessione. Mentre scriviamo queste righe si celebrano al Duomo di Milano funerali di Stato voluti dal Governo di Giorgia Meloni, la quale non molto tempo fa si era dichiarata non ricattabile da “nessuno”, con ciò intendendo “Berlusconi”. Ma ora, in onore di quest’ultimo, la premier attuale ha giudicato opportuno proclamare una giornata di lutto nazionale.

    Atto “assolutamente spropositato”, secondo il verde Angelo Bonelli, essendo la prima volta che ciò accade in seguito alla morte di un “semplice” ex Presidente del Consiglio. Ma forse l’ex Cavaliere non è stato semplicemente un inquilino di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, così e non altrimenti ha deliberato il Governo, affinché l’intero popolo italiano rendesse tributo a una personalità che la non ricattabile premier reputava avere altamente illustrato il Paese.

    Il giudizio dell’autorità politica spettava a Meloni, che ne aveva facoltà. Per il giudizio della Storia bisognerà attendere ancora un po’. E, tuttavia, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, tratteggia fin d’ora lo “stato dell’arte” formulando queste valutazioni: «Sotto il profilo del rapporto con le donne, lui era un maschilista italiano medio… magari con qualche enfasi. Il problema di Berlusconi… è che lui è stato un grande uomo di azienda, un imprenditore geniale, un grande intenditore di calcio (la storia del Milan ce lo ricorda), ma ha scelto la politica non per una vocazione… ma per difendere l’azienda. E soprattutto non ha mai capito che un’azienda è una cosa, lo Stato un’altra», così Caracciolo, ospite di Lilli Gruber (vai al sito).

    Secondo noi, il direttore di Limes ha ragione. Perché in un’azienda chi guida si chiama “padrone”, e sceglie i suoi “dipendenti”. In uno Stato democratico, invece, si chiama “servitore”, perché è scelto dalle cittadine e dai cittadini che deve servire e dal cui consenso “dipende”. Questione di parole? Non potremmo chiuderla qui, la questione dei funerali di Stato e del lutto nazionale?

     La questione non è per nulla chiusa, mancando, appunto, il giudizio della Storia. Comunque sia, bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici, e un minuto di silenzio in tutte le scuole italiane in onore di una persona che pure ha subito una condanna detentiva per frode fiscale ai danni dello Stato, espiata con affidamento in prova al servizio sociale fino all’8 marzo 2015.

    Roma locuta, causa finita? A rischiare la detenzione sarà ora il rettore dell’Università di Siena, Tomaso Montanari, reo di mancata osservanza del lutto nazionale: «Nella mia università niente bandiere a mezz’asta per Berlusconi», aveva deciso l’insigne accademico. Ma forse non a caso l’ateneo senese retto da Montanari è una Università per stranieri. Perché in effetti gli stranieri faticano, su questo punto, a capire noi italiani, e basta ascoltare una rassegna stampa internazionale per farsene un’idea (vai al sito Rai Radio 3).

C’è una fondamentale differenza nel “modo di sentire” che contraddistingue il nostro Paese rispetto a tutti gli altri. Perché Berlusconi, fuori d’Italia (vedi il video), è assurto a celebrità per i sorrisini di commiserazione da parte di altri leader europei, ma anche per essere stato l’inventore di un populismo abbastanza sciagurato. Il quale, negli anni, è perigliosamente esondato verso i Paesi di Visegrad oltre che in diversi movimenti reazionari di nuovo conio. Quindi, conclude Montanari: «È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati».

Giunti sin qui, veniamo ora al momento in cui l’uomo di Arcore divenne amico di Bettino Craxi. Ciò accadde molto prima della famosa “discesa in campo” – che sarà dettata dai debiti miliardari del Biscione e da un acuto rischio giuridico a essi collegato. Dal primo Presidente del Consiglio socialista, in tempi ormai lontani, aveva ottenuto il salvataggio delle reti Fininvest, oscurate per ordinanza dei pretori di Pescara, Roma e Torino, i quali intendevano così impedire la violazione di una norma di legge, allora in vigore, che vietava ai canali televisivi privati la trasmissione su scala nazionale.

    Negli anni, il sodalizio con il segretario del PSI si consolidò a tal punto che i coniugi Craxi furono testimoni di nozze al matrimonio di Berlusconi con Veronica Lario nel 1990. E l’amicizia sopravvisse anche quando la tempesta di Tangentopoli investì in pieno l’ex premier insieme all’intero sistema politico.

    “Quell’inchiesta giudiziaria spazzò via i cinque partiti italiani più importanti”, ricorda Bobo Craxi, figlio del leader socialista, commentando la morte di Berlusconi, il quale nel 1994 aveva indubbiamente saputo riempire, con la creazione di Forza Italia, il temibile vuoto politico causato dal crollo della Prima Repubblica.

    Tra Craxi e Berlusconi vi fu un’importante amicizia-alleanza. Che portò molta fortuna a Silvio, poca a Bettino: il primo aveva potuto conservare nel 1984 tutta la sua potenza mediatica, il secondo pagherà di lì in poi il prezzo di quel salvataggio, perdendo non poca credibilità.

 

Ma il punto decisivo sta nel “vuoto politico” che si sarebbe spalancato come un baratro di lì a qualche anno, e del quale Berlusconi seppe profittare, da par suo, pur senza poter poi mettere in campo l’eccellenza di un uomo politico e di governo della statura di Bettino Craxi. È questo il punto più saliente, perché “vuoto politico” è sinonimo di quello stato d’eccezione in cui s’impone la sovranità di chi – giunti al momento decisivo – mostra di possedere la forza fattizia di decidere.

 

Forse allora, però, va ascritta ai casi di fortuna nella sfortuna il fatto che, in quei torbidi anni Novanta, si sia affermata in Italia una “forza fattizia” di tipo mediatico-finanziario (e non per esempio secessionista, golpista o altro). Certo, la potenza mediatico-finanziaria berlusconiana era e resta responsabile di non aver fatto progredire il Paese; ché, anzi, lo condusse persino a regredire, per esempio sul piano dei costumi e della volgarità generale, stendendo un velo pietoso su una piaggeria in politica internazionale, verso Putin e Bush, obiettivamente molto lontana dai tempi di Sigonella.

Ma, tutto sommato e dopo tutto, il sistema detto “Seconda Repubblica” ha saputo dimostrarsi compatibile con l’impianto istituzionale fondato sulla Costituzione italiana, al netto delle numerose e gravi forzature, che pure non sono mancate. In questo senso – beninteso, senza condividere la scelta meloniana dei funerali di Stato connessi alla proclamazione di un lutto nazionale – non saremo certo noi a lanciare l’anatema su di essi.

    Dopodiché, a nostro sommesso parere, e contro ogni pronostico, il Governo Meloni rappresenta, come dire, una sorta di ultimo carciofo super-decotto servitoci dalla destra italiana. Ma i nostri predecessori abbaiarono alla luna da queste colonne per un ventennio. E quindi vedremo, perché le previsioni valgono quel che valgono. Però, adesso l’Italia avrebbe davvero bisogno di voltare pagina.

      

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