Andrea Pubusa
Continuiamo il dialogo, iniziato lunedì scorso, con Umberto Allegretti su democrazia e Costituzione. La volta scorsa abbiamo visto l’impatto formale della Costituzione sui nodi storici della società italiana, oggi parliamo del suo ’impatto materiale”, della Costituzione di fronte ai nodi della società italiana. Un bilancio con tante luci, ma anche con qualche ombra. Ma sentiamo Umberto Allegretti
D. Come ha funzionato la Costituzione nei suoi primi decenni di vita? Era stata calata dall’Assemblea costituente in una società arretrata, con grandi squilibri sociali, che veniva da vent’anni di dittatura. Insomma come ha inciso la nostra Carta in questo ambiente poco asuso alla democrazia?
R. Nel cammino sessantennale della Costituzione, anche di fronte alle circostanze di crisi che avrebbero potuto affossarne il valore esponendolo a rischi ripetuti e non piccoli, ha esibito la sua capacità di resistenza storica e mostrato quella che si può chiamare la sua “ultraattività”..
D. Cioè?
R. Dopo la fine del periodo costituente e per pressoché tutti gli anni ’50, vi fu una prolungata esperienza di diserzione dal suo spirito autentico, motivata dalla guerra fredda internazionale e dalla parallela rottura dell’intesa tra i partiti che pure avevano dato vita al patto. E’ questa la fase di inattuazione di larghe e qualificanti parti dell’edificio costituzionale, in materia sia di diritti fondamentali che di pluralismo del potere.
D. Ci sono stati anche dei rischi di affossamento della Carta…
R. Certo. Questa inattuazione avrebbe potuto addirittura consolidarsi, esponendo allora la democrazia al rischio di una recisa involuzione, se fosse andata in applicazione la legge elettorale maggioritaria del 1953 nota come legge-truffa; ma il popolo italiano la respinse attraverso il voto elettorale.
D. Dopo la sconfitta della legge truffa ci fu un’inversione di tendenza….
R. Sì. Da qui prende vigore la battaglia per l’attuazione della Costituzione, che domina tutto un lungo periodo con una potente attrazione, a cui pure si oppongono continue resistenze e difficoltà. Con essa si fa strada il riconoscimento sempre più marcato del suo valore progettuale e si arriva gradualmente al disgelo, seppur parziale, tra i partiti. Così la Costituzione diviene, in seno a un generale nuovo clima politico e culturale, elemento guida di un’evoluzione della società italiana verso frontiere di maggior livello di democrazia e di socialità.
D. Quanto dura questa fase?
R. Il superamento di questa prima crisi dura fino agli anni settanta, con i quali si giunge a un’attuazione abbastanza soddisfacente del progetto costituzionale, atteggiata secondo modalità corrispondenti all’epoca, anche se rimangono ancora inadempienze. La Costituzione mostra di saper accompagnare il cambiamento economico-sociale conseguente all’industrializzazione, al boom economico e alle connesse trasformazioni sociali. E’ la prova che le disposizioni economiche e sociali della Costituzione, anche in virtù della loro elasticità, pur tra applicazioni non sempre felici sono sostanzialmente adeguate a un’interpretazione adatta all’età keynesiana e al progresso verso l’uguaglianza.
D. Questo è l’aspetto prevalente. Ma non è stato un processo lineare…
R. Sicuramente. Nuove complesse crisi sopravvengono, tra loro sovrapposte, a partire già dagli stessi anni settanta.
D. Quali?
R. La crisi, dal ’68 in avanti, portata dal cambiamento socio-culturale viene affrontata con strumenti parlamentari o con la convergenza di strumenti parlamentari e referendari. Si hanno così, fra l’altro, le leggi di ampliamento e riforma dei servizi sociali dell’istruzione, della previdenza e della salute, lo statuto dei lavoratori, la riforma dell’ordinamento familiare, la legislazione sul divorzio e sull’aborto e la connessa marcia della secolarizzazione. Non mancano tuttavia incompletezze: si pensi solo alla mancata riforma dell’urbanistica con le sue conseguenze, fra l’altro, sul diritto all’abitazione, o alla paralisi del rinnovamento dell’istruzione superiore.
D. Ci fu poi la prova terribile del terrorismo…
R. Certo. Sopravviene la crisi del terrorismo interno, che mette a dura prova le disposizioni sulle libertà provocando non irrilevanti torsioni delle stesse.
D. E la Costituzione?
R. Nel complesso la Costituzione resiste adeguatamente alle nuove sfide, sebbene il loro ripetersi in termini che sembrano aver avuto maggiore gravità che in paesi simili renda assai meno smagliante che altrove – se mai tale è stata – quella “età dell’oro”, o “trentennio glorioso”, in cui suole essere raffigurato il periodo 1945-75. La sua rigidità, garantita dalle norme sui procedimenti di revisione ma più ancora dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, ha fatto buona prova contro molte violazioni e ha sostenuto la durata del testo costituzionale stesso. Non c’è stato bisogno di revisioni incisive; le modifiche si sono limitate a punti circoscritti e, essendo sempre state realizzate con la maggioranza superiore ai due terzi delle due camere, hanno mostrato la continuità nel tempo dello spirito pattizio delle origini.
D. Ma secondo te, le potenzialità immense della nostra costituzione sono state pienamente sondate?
R. Sarebbe eccessivo dire che si è saputo mettere a frutto pienamente la capacità che la Costituzione aveva avuto di affrontare i nodi della storia precedente. Infatti il benessere e l’arricchimento sono stati il valore guida dell’epoca e questo ha fatto sì che il principio individualistico ha espresso il massimo della dominanza su quello di solidarietà che pure ha ispirato gli avanzamenti dello stato sociale, così che quest’ultimo ha assunto una marcata curvatura assistenziale, misto di pretesa individualistica e di statalismo autoritario. A loro volta le libertà e il presidio a esse dato dall’indipendenza del giudiziario, per quanto migliorate, hanno sentito il peso del preesistente modulo statalista e della prevalenza dello “stato amministrativo”; quest’ultimo lasciato in piedi dal continuo rinvio delle riforme amministrative.
D. Poi c’è un continuismo con la storia precedente…
R. Sicuramente. In connessione con questo clima - che perpetua, nonostante gli avanzamenti, la linea di commistione di “individualismo e assolutismo” propria dello stato liberale - la propensione all’illegalità non è stata smentita, anzi si è avuta a un certo punto una crescita della corruzione. La composizione oligarchica della società e del potere è stata prima scalfita con l’introduzione di una maggiore uguaglianza ma ha iniziato poi a reimporsi poiché la disuguaglianza sociale a un certo punto ha ripreso a crescere. Le deficienze di struttura della produzione e l’eccesso di appoggio del mondo produttivo sullo stato e la politica, nonostante il salto nello sviluppo che si è dapprima compiuto, si sono rivelate sempre più persistenti e l’indebitamento dello stato è divenuto sempre più esplosivo.
D. E il dualismo storico italiano? La forbice fra Nord e Sud che la Costituzione si propone esplicitamente di chiudere?
R. Il particolarismo geografico ha preso ad accentuarsi e il suo peggiore frutto dato dal divario Nord-Sud è apparso incolmabile. Il potere si è mantenuto insieme concentrato e frammentato, la partecipazione popolare, malgrado tentativi di espansione, è diminuita di intensità o è stata distorta in puro sostegno al potere, l’efficienza dell’amministrazione e della giustizia sono rimaste gravemente carenti.
D. E gli altri nodi storici della società italiana? Ne abbiamo parlato la volta scorsa…
R. Il fatto religioso, nonostante i progressi della secolarizzazione della società, ha fatto valere nuove pretese di supremazia, la cultura ha sperimentato un arresto di crescita e una minore influenza sulla politica. Le relazioni internazionali, nonostante i riflessi positivi di alcuni aspetti del quadro interno e la crescente permeabilità di tutta la vita del Paese al rapporto con l’esterno, non sono riuscite né a sviluppare un ruolo di maggiore iniziativa che nel passato né a beneficiare pienamente dell’autorità conquistata dalla partecipazione alla fondazione e alla crescita dell’integrazione europea.
D. Ma in estrema sintesi quale è stata la funzione principale della Costituzione in quel periodo?
R. In definitiva, si può sintetizzare la situazione col rilevare che il frutto più stabile dell’innovazione costituzionale maturata con la Carta repubblicana è stata l’offerta di una efficace resistenza alle possibilità di arresto e di involuzione, che pur apparivano ripetutamente sulla scena, rispetto alle conquiste basilari determinate dal superamento della dittatura e dell’ingresso in un quadro liberale, democratico e sociale comune nell’impianto al resto dell’Occidente.
D. Solo una funzione resistenziale?
R. No. Certo. Funzione di baluardo difensivo, quella della Carta costituzionale, combinata però con quella di faro positivo per illuminare la strada verso nuove frontiere, benché la Costituzione, da sola, non abbia potuto produrre il pieno superamento delle gravi imperfezioni e delle anomalie che mantenevano il Paese in una situazione di precarietà da un punto di vista democratico e sociale.
E’ il “combinato disposto” di queste due funzioni che ha fatto fare alla democrazia italiana un grande balzo in avanti. Ma oggi soffiano venti di crisi. Il berlusconismo, la sua alleanza con la Lega e i postfascisti sollecitano gli umori profondi della destra italiana anticostituzionale più che acostituzionale. Il grande patto costituzionale del 1946-47 sembra essersi spezzato, anche per la fine dei partiti che lo stipularono, DC, PCI, PSI non esiistono più. Su chi poggià oggi la Costituzione? Poi c’è la globalizzazione ed entra in crisi la statualità e le costituzioni statali, che hanno dato la spinta propulsiva ai processi di democratizzazione. Ora tutto è rimesso in discussione. Crisi della democrazia e crisi della Costituzione, dunque. Quali le cause, quali le prospettive? Quesiti importanti, quasi angosciosi, a cui siamo chiamati a rispondere anche con la nostra azione sociale e politica. Ne parleremo con Umberto Allegretti nel terzo dialogo.
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