Depositate in Senato le 100 mila firme contro l’Autonomia differenziata

6 Giugno 2023
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Salvatore Toscano - L’Indipendente

Mentre nei palazzi romani le forze politiche discutevano del capitolo riforme costituzionali, con particolare riguardo per l’autonomia differenziata, l’Italia dal basso raccoglieva firme per presentare la propria proposta di legge. L’obiettivo è modificare gli articoli 116 (terzo comma) e 117 (primo, secondo e terzo comma) della Carta per introdurre una clausola di supremazia della legge statale e spostare alcune materie di potestà legislativa concorrente, come la salute e la scuola, verso la potestà esclusiva dello Stato. Così facendo, «un’autonomia differenziata lesiva di uguaglianza e unità sarà preclusa per Costituzione», ha dichiarato il Coordinamento per la democrazia costituzionale (CDC), promotore della legge di iniziativa popolare. Con il supporto di sindacati e associazioni, la proposta ha raggiunto le 105.937 firme, depositate in Senato. L’auspicio del fronte contrario al ddl Calderoli è di vedere presto incardinato il disegno di legge costituzionale, step a cui fa seguito il voto in Aula entro quattro mesi.

Come scritto dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, presieduto dal costituzionalista Massimo Villone, la redazione dell’iniziativa popolare ha coinvolto la società civile, arricchendosi del contribuito di giuristi, docenti, attivisti, medici, esponenti del mondo della cultura e scrittori. A questi si aggiunge poi la sponda politica offerta in Parlamento dall’Alleanza Verdi e Sinistra Italiana. «In commissione, sulla scorta delle audizioni fatte finora, mi pare che ci sia un largo elemento di dissenso, di dubbio intorno alla proposta del governo anche da parte di pezzi di mondi insospettabili. Inoltre, c’è una larga convergenza delle forze di opposizione, che non era scontata. Questo ci lascia ben sperare», ha dichiarato il capogruppo di AVS in Senato Giuseppe De Cristofaro. Forte di un appoggio in Parlamento, Villone ha organizzato il contrasto al ddl Calderoli – «che rischia di sfasciare il Paese pezzo per pezzo» – lungo due direttrici: la presentazione di emendamenti nelle sedi istituzionali e la proposta di legge di iniziativa popolare. Quest’ultima intende modificare gli articoli 116 e 117 della Costituzione, interessati già nel 2001 dalla tanto discussa riforma del Titolo V. In caso di approvazione, le materie strategiche come scuola, università, salute, lavoro e infrastrutture passerebbero dalla concorrenza Stato-Enti minori alla potestà esclusiva del primo.

Le divisioni e i dubbi sulle conseguenze dell’autonomia differenziata sono emersi sia durante i vertici politici tra maggioranza e opposizione sia da stime esterne. Ultima quella della Banca d’Italia, che ha ricordato all’esecutivo il pericolo di una forte riduzione delle entrate sul bilancio pubblico. Secondo il Centro analisi Svimez, se il Veneto ottenesse le 23 materie (oggi concorrenti) richieste, potrebbe trattenere il 90% dell’IRPEF maturato sul suo territorio, lasciando allo Stato e alla successiva ripartizione tra Regioni il 10%. Per l’Emilia-Romagna la quota si attesterebbe al 78,8%, mentre alla Lombardia andrebbe il 70,7% del proprio IRPEF. Decine di miliardi di euro sottratti al bilancio dello Stato, che ad oggi non ha previsto alcuna copertura finanziaria per la riforma. A questo punto il Paese si ritroverebbe a scegliere tra l’emettere nuovo debito pubblico e il rinunciare al restringimento dei divari territoriali, una strada contraria a quanto previsto dalla Costituzione e dai Trattati istitutivi dell’Unione europea.

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