Autonomia, la lobby dei governatori

3 Giugno 2023
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Massimo Villone

Sono in svolgimento presso la I^ Commissione Affari
costituzionali del Senato le audizioni sull’ AS 615, a
firma Calderoli, volto all’attuazione dell’Autonomia
regionale differenziata. Molte le opinioni contrarie, che
hanno variamente argomentato la lesione di principi
fondamentali di eguaglianza dei diritti e di unità del
Paese.
Nulla di nuovo. Dubbi e perplessità sono venuti in passato
da soggetti non sospettabili di partigianeria, come
l’Ufficio parlamentare di bilancio, il Dipartimento affari
giuridici e legislativi della Presidenza del consiglio (Dagl),
Bankitalia, e da prestigiosi istituti di ricerca come la
Svimez. Persino l’autorevole S&P ha sottolineato la
prospettiva di un aumento dei divari territoriali e delle
diseguaglianze. Nella stessa linea si collocano le ultime
raccomandazioni Ue all’Italia.
Per contro, dai sostenitori dell’Autonomia differenziata
sono venute nel tempo e continuano ancora oggi
affermazioni del tutto indimostrate e indimostrabili di
eguale convenienza per tutti, di efficientamento del
sistema Italia, di risparmi nella spesa, di
responsabilizzazione del ceto politico. Una pubblicità
ingannevole per un prodotto palesemente avariato.
Avvertiamo così la diffidenza di Confindustria, che
emerge anche dall’intervento di Vito Grassi in audizione
in Senato. Cogliamo la contrarietà del mondo del lavoro,
testimoniata in audizione e a Napoli con la manifestazione
in Piazza Dante. Conosciamo i timori dei medici che
l’Autonomia differenziata dissolva quel che resta del
servizio sanitario nazionale. Abbiamo avvertito la volontà
dei docenti di difendere la scuola pubblica statale come
presidio dell’identità stessa del paese. Abbiamo colto la
contrarietà di tanti sindaci, che temono un
neocentralismo regionale più aggressivo e soffocante di
qualsiasi centralismo statalista. Persino i sondaggi
pubblicati su Repubblica ci dicono che nel paese c’è
una maggioranza contraria. Ma allora chi vuole davvero la
riforma?
Alla fine, è il ceto politico, e in specie quello regionale. Sul
Foglio Claudio Cerasa - certo non sospetto di sinistrismo
radicaleggiante - scrive che in Italia la lobby più influente
è quella dei presidenti di Regione. È così. Il coro di
governatori che ha sostenuto da destra e da sinistra la
nomina di Bonaccini a commissario per l’emergenza
Emilia-Romagna avvalora la tesi, come le interviste a
raffica di Zaia e dei suoi sodali. Allora non è un caso che
Calderoli con l’ AS 615 abbia ristretto la formazione delle
intese alla base òell’Autonomia differenziata a una
trattativa tra sé stesso e gli esecutivi regionali, mettendo ai
margini il parlamento e le autonomie locali. Ha scelto gli
interlocutori che da una disarticolazione dello Stato
qualcosa guadagnano: risorse, funzioni e potere i più forti;
funzioni e potere senza risorse gli altri. E per questi ultimi
migliorare la qualità della vita dei cittadini che
rappresentano è al più un optional.
Per questo nella mia memoria per l’audizione in Senato ho
scritto emendamenti all’AS 615 volti a ridare al parlamento
le scelte di merito sull’Autonomia differenziata. Mettiamo
le decisioni nelle mani di chi rappresenta tutto il paese, e
non trae personale vantaggio da quello che decide.
Ho altresì alzato un argine alla bulimia competenziale
delle Regioni partendo dall’elenco di funzioni statali nelle
materie suscettibili di Autonomia differenziata,
predisposto dallo stesso ministero per le Autonomie. È
ben vero che l’AS 615, legge ordinaria, non può porre limiti
giuridicamente insuperabili alle successive leggi che
approveranno le intese con le singole Regioni. Ma l’AS 615
può intanto vietare - ed è quello che propongo - al
ministro per le Autonomie di trattare il trasferimento alle
Regioni di funzioni strategiche per l’unità del Paese e
l’eguaglianza dei cittadini, e al presidente del Consiglio di
stipulare le conseguenti intese. Si attiva così un circuito di
responsabilità politica, che potrà indurre ravvedimenti
operosi nella maggioranza, e offrire armi per la battaglia in
Aula all’opposizione.
Naturalmente, è solo una mano in una partita più
complessa. Bisognerà rivedere il Titolo V della
Costituzione riformato nel 2001, dal quale vengono i
problemi. A questo fine presentiamo oggi formalmente in
Senato, per l’avvio dell’iter parlamentare, il disegno di
legge di iniziativa popolare per la modifica degli artt. 116.3
e 117 sul quale ho tante volte chiesto la firma.
Ne abbiamo raccolte centomila, e per aprire nella
istituzione che tutti ci rappresenta un confronto senza
rete sicuramente bastano. Per il dopo si vedrà.

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