La “terza via” di Bertinotti per l’uscita dal capitalismo

11 Luglio 2009
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Gianfranco Sabattini

Il Prof. G. Sabattini recensisce criticamente il recente libro di Bertinotti “Devi augurarti che la strada sia lunga, 2009″, nell’intento di stimolare il dibattito sulla sinistra e sul socialismo. Raccoglie l’invito Francesco Cocco, con un intervento che pubblicheremo domani

Il libro intervista di Fausto Bertinotti, già segretario del partito della Rifondazione comunista, per il superamento dei limiti del capitalismo mondializzato propone una prospettiva di azione politica, che, paradossalmente, non si discosta dalla logica spontaneista propria del sistema che mette all’origine dei mali del mondo attuale. Ciò è quanto si evince dalla lettura del suo libro-intervista (Devi augurarti che la strada sia lunga, 2009); un libro che trae origine dalla sconfitta elettorale del 14 aprile 2008, che ha “spazzato via” la sinistra radicale dal Parlamento. Per Bertinotti, infatti, sarebbe giunto il momento di fermarsi a riflettere sul passato per valutare la possibilità per le forze della sinistra di un ennesimo slancio in avanti. Poiché con la sconfitta la via al socialismo non si sarebbe interrotta, chi vuole cambiare il mondo deve predisporsi all’attesa di un evento, che, anche se non previsto, possa contribuire a mutare le condizioni attuali. Un’attesa che dovrà essere partecipata ed attiva, nella certezza che dopo il tempo della semina seguirà quello della raccolta; ma, in politica, per evitare la compromissione della sicurezza del raccolto ci si dovrà augurare perciò, nel mettere a punto la futura strategia, che “la strada sia lunga.
Qual è la riflessione che Bertinotti mette a fondamento della “sua” terza via? Il campo socialista non c’è più e il capitalismo planetario è divenuto l’unico modo di produzione concepibile per l’umanità, sino a prefigurarsi come “pensiero unico” che influenza il diffuso convincimento della “morte delle ideologie”. Su questo punto della sua riflessione, Bertinotti innesta il suo debito culturale contratto nei confronti di Walter Benjamin per la critica di questi alla modernità ed all’idea di progresso. Nella radicale negazione del “progressismo”, Bertinotti avverte la “possibilità di un’innovazione, di un salto di paradigma, ma anche di un <> di sinistra nuovamente possibile”. Col salto di paradigma sarà possibile opporsi al prepotere del capitalismo in modo che non sia, né accettazione dei suoi esiti come inevitabili, per revisionare tutto tranne il culto del progresso, come ha fatto la sinistra riformista maggioritaria; né riconferma identitaria con il conseguente rifugiarsi in un minoritarismo settario, come fa o tende a fare la sinistra radicale minoritaria. Il salto di paradigma deve, invece, consentire l’apertura di una “via diversa”, all’altezza della sfida del nuovo capitalismo, non più fondata sulla rivoluzione come “pura conquista del potere centrale”, ma su “un processo di trasformazione reale, di fondo, che sia legato alla partecipazione dei soggetti e delle persone”, per il perseguimento di un “rivoluzionamento delle strutture, delle relazioni umane, delle culture” con cui fuoriuscire dal capitalismo. In altre parole, la sfida al capitalismo deve fondarsi su un movimento di tutti i possibili militanti, che, incentrato sui conflitti reali, non abbia padri, agisca con una radicalità prepolitica, non abbia strutture centralizzate, né vere gerarchie e sia dotato di una coscienza politica latente capace di esprimersi attraverso una rete di reti, che, intrecciando tutte le specifiche esperienze, le traduca in una globalità comunicativa. L’avvento di un movimento così inteso, non richiederà “più a tutti di fare la stessa cosa, quella decisa magari a maggioranza”. Si dovrà decidere “al contrario di stare insieme anche facendo cose diverse o manifestando approcci diversi, ma verificandone la compatibilità, affinché ognuno possa parlare all’altro ricorrendo al <>”. Quanto alle modalità con cui strutturare l’azione politica per la fuoruscita dal capitalismo, la nonviolenza dovrà costituire la vocazione autentica del movimento. Per Bertinotti, infatti, se si intende questo evento “come un grande processo non solo di trasformazione sociale ed economica, ma di liberazione delle persone, di tutte le persone, un percorso nonviolento…è il solo che ci possa condurre a questa meta”. Ciò, perché non “si può più vincere annientando l’Altro, il Nemico, anche perché il <> non può riconoscere la vittoria…del vincitore”; perciò, il movimento dovrà perseguire il suo obiettivo affermando < >, senza se e senza ma. Questi sono i criteri ideologici e prasseologici che dovranno ispirare, per Bertinotti, l’opposizione al capitalismo a livello mondiale ed a livello dei singoli sistemi sociali dei prossimi anni.
Tutto ci si poteva attendere, tranne il fatto che Bertinotti, nel costruire la “sua” terza via di alternativa al capitalismo globalizzato, facesse implicitamente riferimento alla “teoria” che Michael Hardt e Antonio Negri hanno elaborato in Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale (2004). Da questi autori, Berinotti ha tratto l’idea portante di tutta la sua proposta che rinviene, come si è visto, nella moltitudine di soggetti e persone del movimento da lui preconizzato l’elemento soggettivo destinato a prendere forma come alternativa alle forze che esprimono il dominio del capitalismo. La moltitudine, infatti, nella prospettiva bertinottiana, si distingue da ogni altra forma di soggetto sociale (quale, il popolo, le masse, la classe operaia, i partiti, il sindacato ecc), in quanto i soggetti sociali diversi dalla moltitudine, anche se caratterizzati da differenze diffuse, ridurrebbero la diversità delle diverse componenti della moltitudine stessa ad unità. Peccato, però, che Bertinotti non si avveda che, assumendo la centralità della moltitudine a forza propulsiva del movimento, sacrifica la trasmissione unidirezionale dei flussi informativi, esprimenti le istanze del movimento stesso, verso un “centro operativo” (l’organizzazione istituzionale dello stato) col quale le procedure democratiche possono realmente “dare corpo” a quella centralità. Inoltre, la forma con cui Bertinotti propone di costruire un’alternativa alle forze espresse dal dominio del capitalismo implica la rimozione di ogni controllo dell’impatto degli esiti dell’azione politica del movimento sul sistema sociale e sulla sua evoluzione; in conseguenza di ciò, ironia della sorte, la rimozione del controllo di tali esiti si ridurrebbe ad essere effetto diretto ed ultimo dello spontaneismo movimentista, della stessa natura di quello causato dallo spontaneismo delle libere forze di mercato proprie del capitalismo. Sia Bertinotti, che gli apologeti degli “animal spirit” del capitalismo propongono un approccio esplicativo della dinamica sociale che risulta essere, dal punto di vista metodologico, identico sul piano degli effetti ultimi. Nel senso che, così come gli apologeti del capitalismo tout court rinvengono la causa della dinamica sociale nella “distruzione creativa” di shumpeteriana memoria indotta dall’attività innovativa che si svolge su basi autoregolatrici all’interno di un processo evolutivo spontaneo, in modo analogo, la proposta bertinottiana rinviene la causa della dinamica sociale nella “distruzione creativa” indotta dall’attività innovativa che si svolge, sempre su basi autoregolatrici, all’interno dello spontaneismo del movimento della moltitudine.
La rimozione degli esiti negativi del capitalismo spontaneista, in realtà, può avvenire solo secondo le forme e le modalità proprie di un processo democratico partecipato, consistente nella possibilità di trasformare, attraverso un crescente coinvolgimento nei processi decisionali di tutti i componenti i sistemi sociali (e, a livello internazionale, di tutti i popoli), l’energia del disordine e del “caos sistemico”, originata dallo spontaneismo del processo storico di qualsivoglia natura, nella forza di governo e di controllo della dinamica sociale. Forza, questa, che può essere resa possibile solo dal ruolo positivo che l’esistenza di un quadro politico-istituzionale può esercitare nei confronti dell’evoluzione spontanea del sistema sociale. Sia essa determinata dalle forze sottostanti il funzionamento del capitalismo, o dalle forze sottostanti l’azione di un movimento che si identifica in un’anonima moltitudine.

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