Meloni si vanta della retromarcia sulle auto elettriche e abbraccia il fossile

10 Marzo 2023
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Alfiero Grandi

Giorgia Meloni ha rivendicato come un successo italiano avere ottenuto il blocco delle decisioni Europee in materia di costruzione di nuove auto con motori che usano carburanti fossili non oltre il 2035, agendo di conserva con la Polonia, con cui è in pieno sviluppo un asse politico, di impianto nettamente conservatore.
In realtà non c’è nulla di cui vantarsi, è stata bloccata un’iniziativa importante contro la crisi climatica.
Draghi non è un ambientalista ma ha saputo collocare l’Italia in una posizione corretta sulla crisi climatica in occasione del G20 di Roma e poi della Cop 26 di Glasgow puntando sull’obiettivo di non arrivare all’aumento di 1,5 gradi.
Ambiente, l’Italia sceglie la retroguardia
Non è passato molto tempo, l’Italia oggi si sta collocando in una posizione opposta, di retroguardia e nel caso dei motori endotermici delle auto con una brusca inversione di rotta, contrastando le iniziative più coraggiose della Commissione europea sui temi ambientali.
Non sappiamo quando l’argomento potrà essere ripreso, c’è solo da sperare che il resto dell’Europa isoli le posizioni più conservatrici e retrograde dell’Italia e dei suoi nuovi “amici”. In particolare il Governo italiano sta facendo scelte (oppure non fa scelte) che lo collocano lontano dai paesi con cui storicamente l’Italia ha avuto rapporti stretti di collaborazione. Il Ministro dell’Ambiente ha inviato il testo del decreto sulle comunità energetiche a Bruxelles, fin qui potrebbe sembrare tutto ok. Il problema è che questo ha lodevoli intenzioni ma non ha chiarito i mezzi finanziari che intende mettere in campo per far partire le comunità energetiche locali che potrebbero dare un contributo rilevante alla transizione ecologica. Per ora solo parole.
La vecchia Fiat non investe in innovazione
Fit for 55 è un pacchetto di misure innovative dell’UE per una svolta in tempi rapidi, in particolare nell’uso delle energie da fonti rinnovabili nella mobilità. La misura che ha colpito di più l’attenzione è che entro il 2035 non dovrebbero essere più prodotte auto con motori endotermici, benzina e diesel. Contro questo pacchetto di misure si sono scatenate opposizioni riconducibili alle posizioni dei costruttori di auto, che in particolare in Italia sono su posizioni di conservazione. Stellantis infatti punta sull’elettrico con alcuni marchi non italiani, mentre la vecchia Fiat resta lontana dalle innovazioni.
La propaganda di produttori, che peraltro stanno già impoverendo l’industria in Italia, dà numeri di eccedenze di lavoratori indimostrate e in ogni caso dimenticando che quello che non si farà più come prima si farà con altre modalità, che – guarda caso – porteranno più occupazione, sia pure di tipo diverso.
Il Governo dovrebbe costruire un progetto in cui la transizione si possa realizzare in quanto il superamento della CO2 prodotta dalle auto è uno dei punti chiave per impedire l’aumento della temperatura che provoca i disastri a cui stiamo assistendo.
Il cambiamento climatico può aspettare?
O invece si pensa seriamente che il cambiamento climatico può aspettare? C’è una doppiezza di atteggiamenti, da un lato le notizie allarmanti sulla siccità al Nord portano a nominare un commissario straordinario e dall’altra nessuna seria scelta strutturale per porvi rimedio. E’ come dire che si rincorrono i problemi anziché prevenirli.
I Ministri interessati si sono sbracciati per rassicurare i produttori, agitando i rischi occupazionali, che pure ci possono essere se non si affrontano i problemi organicamente, verso i quali occorre preparare i rimedi, ad esempio riconvertendo le professionalità.
Così per quanto riguarda la produzione da energie rinnovabili, fotovoltaico ed eolico, se togliamo gli effetti del superbonus, ora bloccato per decreto, dovrebbe esserci un piano poliennale per incentivare gli investimenti. Enel è vicina al completamento dell’investimento in pannelli fotovoltaici più grande d’Europa, ne servirebbero altri, ma a chi è interessato ad investire nelle rinnovabili, fotovoltaico in primis, va presentato un progetto, compresi i finanziamenti pubblici disponibili, altrimenti nel 2030 non avremo i 70 GW di rinnovabili in più che era il nostro obiettivo.
No alle rinnnovabili, sì al gas
Va aggiunto che produrre galleggianti e pale eoliche e generatori in mare, a una distanza dalla costa di 25/30 km, porterebbe importanti commesse per la siderurgia, mentre l’ex Ilva vivacchia al di sotto delle sue capacità produttive e non ha risolto i problemi di compatibilità ambientale con il territorio.
Invece grande spolvero per i rigassificatori galleggianti e per accordi di fornitura del gas, necessari per la transizione ma che non sono inquadrati in un periodo di transizione destinato a lasciare il campo alle rinnovabili. Addirittura ci si è inventati l’Italia hub europeo del gas, di cui si parla solo da noi e che invece dovrebbe lasciare il posto agli investimenti nelle vere risorse nazionali, acqua, sole, vento, che per di più sono rinnovabili.
Non pervenute le scelte sull’idrogeno da fonti rinnovabili, se ne parla per qualche treno, ma un progetto nazionale degno di questo nome non c’è, del resto se scegli l’idrogeno devi anche costruirne la distribuzione e prevederne l’uso al posto dei carburanti fossili.
La guerra ha certamente cambiato le priorità e la transizione ecologica è stata brutalmente spinta in secondo piano. In primo piano ora c’è la guerra, per di più con la curiosa affermazione della Meloni che l’aiuto militare all’Ucraina non costerebbe nulla all’Italia, affermazione discutibile e che verrà presto smentita dalla spesa militare che l’Italia si è impegnata a portare al 2% nel giro di qualche anno.
Una linea sbagliata, di retroguardia
Il Governo sulle politiche ambientali finora ha mostrato un volto conservatore, regressivo, in contraddizione perfino con le dichiarazioni di ricerca di una maggiore autonomia nazionale, che verrebbe garantita solo da una crescita esponenziale delle energie da fonti rinnovabili.
Tra l’hub del gas del Governo e un’Italia lanciata negli investimenti più avanzati sulle rinnovabili c’è di mezzo un mare, o meglio le scelte politiche e il Governo Meloni è disinteressato alle politiche ambientali e invece è molto orientato sul fossile, basta guardare il che sta assumendo Eni. Per di più il rinnovamento delle fonti energetiche porterebbe tecnologie avanzate, ricerca, nuovi lavori, processi di formazione.
Invece il Governo si attarda su posizioni di retroguardia. Qui siamo oltre i tanti incidenti di percorso di cui si sta discutendo ma c’è una linea politica sbagliata e retrograda, contraria agli interessi e ad una vera autonomia nazionale.
Alle concessioni balneari il Governo ha dedicato tempo ed impegno mentre le politiche ambientali sono nella nebbia, o peggio. Questo Governo ha comportamenti regressivi, pericolosi. Per di più gli errori sulle concessioni balneari hanno già portato ad un alto là dell’Unione europea sulla prossima tranche di miliardi del Pnrr.

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