Fernando Codonesu
In numerose parti del paese il dibattito sul no all’autonomia differenziata codificata dal ministro Calderoli, e fatta propria dal governo Meloni qualche giorno prima delle elezioni nel Lazio e in Lombardia, si arricchisce sempre di più dalla costituzione di comitati di cittadini molto partecipati, pronunciamenti di consigli comunali e dell’intera Anci, di quattro Regioni, pareri di costituzionalisti e attività del comitato per democrazia costituzionale confluite in una proposta di legge di iniziativa popolare tendente a rimettere al centro della questione il parlamento italiano, oggi del tutto esautorato dall’esecutivo e dalle cosiddette “intese” previste dal secessionismo delle regioni ricche contro quelle povere.
L’urgenza del No e la necessità di fermare Calderoli prima che sia troppo tardi è evidente.
Tuttavia, proprio pensando alla necessità di ridiscutere in parlamento della confusione e dell’alto contenzioso tra le Regioni e lo Stato,creato dall’insieme delle 20 materie concorrenti , credo che dire solo No non basti. Si tratta di una posizione difensiva mentre c’è bisogno di un approfondimento parlamentare e di una mobilitazione nel paese che individuino con maggiore precisione tra tutte le materie concorrenti, quelle che possono e devono essere attribuite esclusivamente allo Stato e quelle che andrebbero attribuite alle regioni.
Fondamentalmente, nel contenzioso tra le Regioni e lo Stato, la Corte ha letto il principio della “leale collaborazione” a senso unico, mentre tale principio dovrebbe avere sempre un’interpretazione bidirezionale, in quanto si trattava e si tratta di contenziosi tra enti repubblicani sovrani. Questa considerazione nasce dal fatto che secondo il dettato della Costituzione gli enti locali, Regioni comprese, esprimono ed esercitano la sovranità popolare alla pari dello Stato, come definito nell’art. 114 e nel secondo comma dell’art.1.
Per evitare equivoci di ogni sorta e nel rispetto dei principi dell’autodeterminazione e dell’autogoverno, alcune materie devono essere di competenza esclusiva dello Stato. Per esempio, lo devono essere l’istruzione e la sanità, con una netta e inequivocabile precisazione al riguardo. Su tutte le materie di competenza statale vanno pretesi e implementati i Livelli Uniformi delle Prestazioni, non i LEP che sono ulteriore causa di disuguaglianza economica e sociale tra i territori e le diverse regioni del paese.
Ricordo, con riferimento alla sanità, che dal primo gennaio 1993 erano entrati in vigore i livelli uniformi di assistenza e i cosiddetti LEP non facevano parte del lessico politico del tempo!
Mi chiedo, ci sono le condizioni per mantenere la specialità delle cinque regioni a statuto speciale? E’ possibile ragionare sull’estensione di tale specialità ad alcune materie oggi concorrenti?
E’ chiaro che per le tre regioni transfrontaliere come il Trentino A.A., la Valle d’Aosta e il Friuli, alcune motivazioni storiche continuano ad essere presenti, seppure modificate in meglio dall’Europa nel corso dei decenni passati. Lo stesso discorso vale per le due isole, Sicilia e Sardegna.
Al riguardo, per non incorrere nell’ideologismo, sarebbe utile fare un’analisi di tipo socio economico sulla base di alcuni indicatori come il reddito medio pro capite, l’andamento demografico, i servizi sociali relativi alle varie fasi della nostra vita, insomma tutti quei servizi che fanno parlare non solo dello sviluppo ma del benessere di un territorio, non ultimo l’indice di disoccupazione. Al riguardo ricordo che tale indice nelle due province di Trento e Bolzano presenta nell’ultimo decennio valori da miracolo economico, in barba a tutte le crisi!
In base a queste semplici considerazioni di base e conoscendo l’iter della modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, ritengo utile ragionare serenamente sulle condizioni attuali della sussistenza della specialità delle cinque regioni a statuto speciale, come la Sardegna e lo stesso Trentino A.A.
Con riferimento alle motivazioni storiche originali che hanno portato alle specialità in Costituzione, corroborate da alcuni indicatori economici e sociali attuali che ci permettono di parlare di sviluppo e condizioni di benessere territoriale, a me pare che siano le condizioni per poter rivendicare l’autogoverno su alcune materie concorrenti da parte di alcune regioni a statuto ordinario, e ci siano tutte ancora per le regioni a statuto speciale, a partire dalla Sardegna e dal Trentino.
Qui mi limito a due materie oggi concorrenti, energia e governo del territorio, ma considerazioni analoghe possono essere fatte su altre materie.
Per la Sardegna e per il Trentino bisognerebbe impostare un vero e proprio manifesto per l’allargamento della propria specialità perché continuano a sussistere le condizioni storiche che hanno portato al riconoscimento dello statuto e vi sono oggi ulteriori elementi valutativi di cui tener conto.
Se pensiamo all’energia idroelettrica, per esempio, perché deve essere in mano all’Enel, oggi società privata quotata in borsa con solo il 23.6% del MEF e non più ente nazionale monopolista?
Questa energia viene dall’acqua che, da che mondo è mondo, è un bene pubblico che fa parte del demanio regionale. L’energia che ne deriva deve essere pubblica, salva la potestà di darla in gestione o in concessione a privati. Ma questo deve essere deciso dal legittimo proprietario, la Regione, e non dallo Stato che nel processo di liberalizzazione iniziato nel 1999 con il decreto Bersani, ha perso per strada questo asset che continua ad essere gestito come se fossimo ancora in regime di monopolio energetico da un soggetto oggi privato!
In Sardegna, la grande disponibilità di sole e vento, unita all’energia idroelettrica che continua ad essere in mano all’Enel nonostante la potestà primaria derivante dal nostro statuto, ci permetterebbe di raggiungere la piena autonomia energetica per i bisogni attuali di tutti i comparti economico sociali e per i bisogni futuri.
Un autogoverno dell’energia allora per le due regioni, tanto più necessario in Sardegna anche per fronteggiare l’assalto alle coste sarde di un alto numero di progetti eolici off shore, direttamente autorizzati da Roma, che rappresentano un progetto di stampo neocoloniale che andrebbe combattuto con ogni mezzo.
Sull’energia, per entrambe le regioni dovrebbe valere il principio dell’autoproduzione da realizzare mediante la realizzazione di una comunità energetica su base regionale, di cui potranno far parte soggetti pubblici e privati, ma soprattutto di cui potrà par parte l’intera cittadinanza, pur di pensare e progettare una società a largo azionariato popolare.
La seconda materia, il governo del territorio, ha numerose implicazioni: ambiente, pianificazione urbana e territoriale, paesaggi urbani e rurali (dalla campagna alla montagna), filiere dei prodotti e produttività, vivibilità dei luoghi, benessere, bellezza, ecc.
E’ innegabile che su questa materia il Trentino abbia da insegnare a tutta l’Italia, al punto che suggerisco ai vari amministratori, a incominciare da quelli della Sardegna, di fare qualche corso almeno di base qui da voi. Se si considerano le strade, per esempio, l’Anas può solo imparare su come si fa la manutenzione preventiva e correttiva, o come si pianifica e sviluppa una rete su base provinciale. L’ordine, la pulizia e il rispetto che si ammirano e respirano in tutti i paesaggi trentini, lo dico per conoscenza diretta, dovrebbero essere studiati nelle migliori università italiane. A me sembra di poter dire che quello che chiamiamo “bene pubblico”, in Trentino si declina con il fatto che tale bene ha una moltitudine di proprietari (siete tutti proprietari), da noi e in gran parte dell’Italia, invece, vince spesso e volentieri il disordine e la rovina perché “pubblico” viene declinato con “non è di nessuno”.
Il governo del territorio In Sardegna assume ancora maggiore importanza perché ci permetterebbe di rimettere in discussione con ragionevoli possibilità di successo la ridislocazione, ridefinizione e riperimetrazione delle servitù militari che oggi pesano per oltre il 60% nella nostra isola. Noi vogliamo essere un’isola di pace soprattutto oggi con la guerra all’interno dell’Europa, e non di uso e sperimentazione di armi e bombe che distruggono altri popoli!
Un manifesto, allora, nel nome di un autogoverno su alcune materie oggi concorrenti che allarghi le competenze delle nostre specialità.
Un manifesto che può essere realizzato all’interno della Costituzione vigente, con la Repubblica una e indivisibile, in una prospettiva di federalismo solidale come quello pensato dai padri fondatori dell’Europa.
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