Gianna Lai
Dal 1° settembre 2019 ogni domenica pubblichiamo un post sulla storia di Carbonia. Eccolo.
E’ un rimando continuo da un monopolio all’altro l’Italia del tempo che, in termini di colonizzazione economica, condiziona fortemente la Sardegna, prime vittime innocenti le popolazioni isolane: non così le sue classi dirigenti che stanno al gioco e non aprono battaglie politiche per promuovere nuovi processi di emancipazione, pur di fronte a una Carta costituzionale appena emanata e, interno ad essa, uno Statuto Regionale speciale. Su questione energetica e sviluppo economico si determina il futuro dell’intero Mezzogiorno, in prima fila Cgil e sinistre nelle loro grandi battaglie popolari. Così in Sardegna, dove ci si prepara all’elezione del primo governo regionale, in quegli anni di pesante “disagio sociale, aggravato nelle campagne dall’insicurezza dovuta all’aumento della criminalità”, certo determinante l’innalzamento incontrollato del costo della vita. Leggiamo sul prof. Girolamo Sotgiu, La Sardegna negli anni della Repubblica, come le condizioni di vita delle masse popolari fossero aggravate dal “crescente aumento del costo della vita. A farne le spese erano tutte le categorie ma, in modo più incisivo, quelle a reddito fisso, salariati e impiegati, i centri urbani ancor più di quelli agricoli, le zone minerarie in particolare. Possono bastare alcuni esempi, prosegue il professore, per aver chiaro il quadro: “rispetto al 1938, quando costava L. 1,99 al kg, il pane era salito sulla piazza di Cagliari a 118 lire, … il latte da 1,60 a 77. … Il costo della vita era cioè aumentato mediamente di 34 volte. A questi aumenti non ne corrispondeva uno adeguato dei salari che erano aumentati mediamente solo di 13 volte, rimanendo ancora a livelli estremamente bassi. In agricoltura le paghe erano le seguenti: in provincia di Cagliari 427 lire nella prima zona, 422 nella seconda, 425 nella terza, se uomini; se donne 331, 326, 311. Queste le paghe al lordo… Più alte, anche se del tutto insufficienti in relazione al costo della vita, le paghe percepite dagli operai. Nelle miniere metallifere un operaio specializzato percepiva una paga lorda giornaliera di L. 1.065, un operaio qualificato di L. 1.044, un operaio comune di L. 1.033, un manovale di 1.019. Nelle miniere carbonifere la paga era leggermente più alta, mentre era più bassa negli altri settori produttivi: in quello edilizio, in quello meccanico, in quello chimico, nell’industria alimentare, nella lavorazione del sughero e delle calzature”. Per decisione dell’Alto Commissariato dell’alimentazione, fissato al 31 luglio di quell’anno il termine della disciplina sul tesseramento e sul razionamento del pane e degli altri generi di prima necessità, in Sardegna.
E poi la disoccupazione, imperante per tutto il secondo dopoguerra, emblematica la situazione sulcitana dove si è andata formando una tra le più consistenti concentrazioni operaie dell’intero Meridione d’Italia e dove proseguono a migliaia, negli anni 1948-49, i licenziamenti di massa, alimentando non solo la disoccupazione ma anche la ripresa di una grande emigrazione verso l’Europa, in particolare. Oltre 5.000 gli operai allontanati in poco tempo, mentre si prevedono, per l’ottobre del ‘49, altri 1.500 licenziamenti solo nel settore manutenzione delle Bonifiche ACaI. Ribadendo la direzione, per bocca dei massimi dirigenti, Spinoglio e Corsi, come “tutto rientrasse nella normale attività dell’azienda, e come Carbosarda e Ferrovie Meridionali Sarde avrebbero dovuto cessare ogni attività, già da tempo ormai in grave passivo”.
Lo storico Antonello Mattone, in Velio Spano, a dare una visione, quella delle sinistre, sulla questione sociale in Sardegna, riportando la Risoluzione del II Convegno dei quadri sardi del Pci a Sassari, febbraio 1949: “Mai era apparsa, così piena e oppressiva…, l’intesa fra il capitalismo continentale e le forze reazionarie locali, intesa realizzata nel quadro di un regime totalitario di rapina e sotto la protezione del centralismo esasperato di uno Stato di polizia, al fine di comprimere qualsiasi rinnovamento sociale”. E poi l’autore, citando Velio Spano, “ la cricca e la parrocchia sono […] i pilastri e gli argini della vita paesana che esse limitano così come il muro di cinta limita un carcere. E’ evidente che per chiarire i termini reali della lotta sociale e autonomista i sardi debbono combattere, il movimento democratico e socialista deve distruggere le cricche locali e togliere alla parrocchia la sua funzione politico amministrativa”. Ed ancora, riprendendo la Risoluzione del Comitato regionale del Pci, “nel capitalismo forestiero, nello Stato accentratore democristiano e nei reazionari sardi i nemici dei nostri lavoratori; occorre adesso che costoro vengano chiaramente individuati come i nemici di tutta la Sardegna. Mancando del tutto, nei territori, una industria basata sulle risorse della regione, di trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e della pastorizia, città e paesi ancora fermi ad una condizione pressocché di inizio secolo: gravissimo il problema dell’acqua, nelle campagne e nelle città e nei paesi, da affrontare al più presto, come quelli delle infrastrutture e della rete stradale e dei mezzi di trasporto.
1 commento
1 Aladinpensiero
5 Marzo 2023 - 13:57
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=141268
Lascia un commento